I piloti ucraini hanno completato un programma di addestramento intensivo di sei mesi in Francia, necessario per padroneggiare la complessa avionica e sistemi d’arma del Mirage, che include radar per l’ingaggio simultaneo di bersagli multipli e i missili aria-aria Mica con portata fino a 80 chilometri. L’integrazione di questi caccia rappresenta una sfida logistica per l’aviazione ucraina che opera già un mix di velivoli di epoca sovietica come i MiG-29 e Su-27, oltre ai più recenti F-16 forniti da Olanda e Danimarca.
Il programma Purl e le resistenze europee
Parallelamente agli accordi bilaterali, sta riprendendo vigore il programma Purl (Prioritized ukraine requirements list), l’iniziativa lanciata dalla Nato lo scorso luglio per coordinare l’acquisto di armi americane destinate all’Ucraina con finanziamenti europei. Il meccanismo, che secondo il segretario generale della Nato Mark Rutte necessita di circa 1 miliardo di dollari al mese per essere efficace, prevede che i paesi membri dell’Alleanza atlantica acquistino sistemi d’arma statunitensi secondo una lista di priorità concordata con Kyiv, concentrandosi su sistemi di difesa aerea Patriot, munizioni d’artiglieria e missili a lungo raggio che l’Europa non produce. Dopo uno stallo di oltre due mesi, sedici paesi hanno aderito al programma versando complessivamente oltre 2 miliardi di dollari: Germania con 500 milioni, seguita da Olanda, Danimarca, Norvegia, Svezia, Canada, Belgio, Islanda, Lussemburgo, Estonia, Lettonia, Lituania, Slovenia e Finlandia.
Le assenze più significative riguardano Italia, Francia e Spagna, che non hanno ancora aderito al Purl per ragioni diverse. La Francia mantiene la posizione che i fondi europei dovrebbero sostenere l’industria della difesa europea piuttosto che quella americana, preferendo fornire direttamente sistemi d’arma di produzione nazionale come i Mirage e i missili Scalp. La Spagna cita altre priorità economiche interne, mentre sostiene di compensare con il dispiegamento di truppe nelle missioni Nato. L’Italia si trova in una situazione particolarmente delicata dopo le dichiarazioni del vicepremier e leader della Lega Matteo Salvini, che venerdì ha affermato che fornire ulteriori aiuti all’Ucraina rischierebbe di “alimentare ulteriore corruzione“, facendo riferimento allo scandalo da 100 milioni di dollari nel settore energetico ucraino che ha portato Zelensky a chiedere le dimissioni di due ministri.
L’Italia ha comunque approvato il dodicesimo pacchetto di aiuti militari all’Ucraina, come annunciato dal ministro degli Esteri Antonio Tajani, che include generatori elettrici per riabilitare le centrali colpite oltre a sistemi per rafforzare le capacità di difesa aerea. Roma ha finora allocato oltre 100 milioni di euro per la resilienza energetica ucraina, ma la tensione all’interno della coalizione di governo rimane alta in vista del voto parlamentare di gennaio sul rinnovo del mandato per l’invio di armi, che rappresenterà un test cruciale per la coesione del governo Meloni. Il mancato incontro con Zelensky, che aveva pianificato una visita a Roma già rinviata a ottobre, evidenzia come l’Italia rischi di marginalizzarsi nel sostegno occidentale all’Ucraina proprio mentre altri partner europei intensificano gli sforzi per colmare il vuoto lasciato dall’incertezza americana sul futuro degli aiuti militari dopo il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca.



