Alcune delegazioni, infatti, avevano alzato il tipico cavaliere con inciso il nome dello stato in segno di disapprovazione prima che Corrêa do Lago battesse il martelletto. La presidenza ha risposto alle critiche sostenendo di non aver visto, ma questo non ha placato il disappunto: “Come molti di voi, non ho dormito e probabilmente questo non ha aiutato, così come la mia età avanzata”. Una forma di amara autoironia.
La protesta guidata dalla Colombia
Capofila della protesta contro Corrêa do Lago è stata la Colombia, che aveva precedentemente annunciato l’intenzione di organizzare, insieme ai Paesi Bassi, un vertice extra, con decine di paesi tra i più ambiziosi e vogliosi di portare avanti un phase out, un’uscita dai combustibili fossili. Sarà il First international conference on fossil fuel phaseout e si terrà a Santa Marta, in aprile. La Colombia ha preso più volte parola per notificare in modo fermo e deciso la propria contrarietà alla modalità di conduzione della plenaria e all’assenza dei punti sopracitati, da loro considerati imprescindibili. Insieme alla delegazione colombiana, hanno espresso considerazioni analoghe anche Panama e Uruguay.
Quanto accaduto nel pomeriggio del 22 novembre è l’ennesima miccia accesa su una dinamite per troppo tempo implosa all’interno dei negoziati, ma che ora potrebbe esplodere nella riforma, da tempo attesa, di un sistema (quello delle conferenze sul clima) che è ormai rotto.
Nei fatti, i paesi che hanno contestato le procedure in plenaria avevano un altro scopo, decisamente con un orizzonte temporale più lungo: porre fine ai veti da parte dei petrostati, come quello prevedibile dell’Arabia Saudita, e sbloccare quello che in apparenza sembrava l’auspicio di questa Cop, ovvero trasformare in azioni la transizione dai combustibili fossili messa nero su bianco due anni fa, sotto la presidenza degli Emirati Arabi Uniti.
Questa forma di protesta legata alle procedure è stata condotta altre volte in passato, senza mai cambiare le sorti dei negoziati né tantomeno portato a dietrofront, specie se arrivate dopo il battito del martelletto. Le posizioni espresse dai rappresentanti delle delegazioni restano quindi parte del cerimoniale, come riportato da diversi esperti consultati da Wired, nonostante negli ultimi anni – e in particolare qui a Belém – abbiano assunto forme incontrollabili di insofferenza verso questo modo di guidare il processo.
Le parole del ministro Pichetto Fratin
“Questo documento non è l’ambizione che si era data l’Unione europea che ha sempre funto da traino, ma il quadro politico a livello mondiale è cambiato molto e bisogna prenderne atto”, ha dichiarato persino il nostro ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin, da sempre attento a non sbilanciarsi troppo. E infatti ha aggiunto che a noi europei spetta il compito “di portare avanti in modo serio ed equilibrato la questione”.



