È stato quindi dimostrato che l’umidità favorisce la formazione di arsenolite, un composto cristallino che rende la pittura fragile mentre la luce ossida l’arsenico in superficie, creando uno strato biancastro che rende opaco e meno smagliante il dipinto. Inizialmente sulla tela sono state eseguite analisi non invasive in situ, su macroscala, per valutare la composizione e lo stato di conservazione delle aree verdi, identificando i punti più idonei per il micro-campionamento: sono indagini, ci dice Letizia Monico, “provvidenziali”. Nello specifico, queste sono avvenute con il supporto del MOLAB (MObile LABoratory), laboratorio mobile coordinato dall’Istituto di scienze del patrimonio culturale (Ispc) del Cnr che appartiene all’Infrastruttura di Ricerca Europea per la Scienza del Patrimonio, E-RIHS.
“Per noi ricercatori è fondamentale trovare responsabili e direttori di musei disponibili al nostro intervento: l’indagine diagnostica non è invasiva e permette di fare quel necessario lavoro di prevenzione sulle opere d’arte prima che sia troppo tardi, ma serve ovviamente il consenso di chi ha la tutela dell’opera. Solo grazie ad analisi così approfondite siamo in grado di “viaggiare nel tempo” cioè di capire se un determinato materiale è a rischio, come nel caso del verde dell’Intrigo di Ensor, e che cosa potrebbe succedere se i restauratori non interverranno. Per questo parliamo di conservazione preventiva: è un lavoro scientifico fondamentale per tutelare il nostro patrimonio artistico”, continua Letizia Monico.
Nel caso del quadro di Ensor si sono capite le cause del deterioramento del verde, «ma la scienza non ama mettere i punti fermi», continua Monica. Strumentazioni avanzate possono continuare a identificare precocemente e a monitorare nel tempo altri effetti sulle pitture: i dipinti diventano così “osservati speciali dei ricercatori” e ne guadagnano in salute futura.




