La solidarietà per Gaza costa cara ai partecipanti svizzeri alla Global sumud flotilla. Il dipartimento federale degli Affari esteri (Dfae), l’equivalente elvetico della Farnesina, ha inviato nelle scorse settimane fatture comprese tra 300 e 1.047 franchi a 20 cittadini che avevano preso parte alla missione umanitaria intercettata dalla marina israeliana nella notte tra il 1 e il 2 ottobre 2025 in acque internazionali del mar Mediterraneo orientale. 19 erano affiliati a Waves of Freedom, un’organizzazione attiva da anni nelle iniziative marittime per la Palestina. La Confederazione richiede il rimborso delle spese consolari e di emergenza sostenute durante la detenzione degli attivisti nella prigione israeliana di Ketziot, nel deserto del Negev.
Il principio di responsabilità individuale
La decisione del governo elvetico si basa sulla legge federale sulle persone e le istituzioni svizzere all’estero, entrata in vigore nel 2015, che stabilisce un principio cardine: chi non rispetta i consigli di viaggio ufficiali può essere chiamato a rimborsare i costi dell’assistenza consolare ricevuta. Il Dfae aveva sconsigliato esplicitamente ai cittadini di partecipare a viaggi o missioni verso la Striscia di Gaza, area sottoposta a blocco navale israeliano dal 2007. La differenza negli importi richiesti riflette, secondo il dipartimento, il carico di lavoro dedicato a ciascun cittadino: interventi presso le autorità israeliane, visite in carcere di durata variabile, disponibilità e assistenza al rientro in patria.
Gli attivisti, però, contestano duramente le richieste. Sébastien Dubugnon, tra i partecipanti espulsi attraverso la Turchia, ha dichiarato alla radio pubblica Rts che l’unico intervento consolare di cui ha beneficiato si è ridotto a una visita di dieci minuti nella prigione di Ketziot. “Abbiamo visto un rappresentante consolare che è stato letteralmente cacciato dopo pochissimo tempo, senza nemmeno vedere la metà di noi. E ci ha detto che non poteva aiutarci nemmeno lui”, ha raccontato. Inoltre, il biglietto aereo per il ritorno, ha fatto sapere l’attivista, è stato pagato dalla Turchia e non dalla Svizzera.
Il Dipartimento svizzero stima, tuttavia, un costo medio di circa 510 franchi a persona, anzi, sostiene che le spese dalla Confederazione siano state addirittura più elevate, ma che è stato applicato un rimborso parziale come previsto dalla normativa, che tiene conto dell’impossibilità per molti cittadini di coprire per intero i costi delle operazioni consolari. Adesso, i membri della Global sumud flotilla hanno 30 giorni per saldare le somme richieste, ma alcuni hanno già annunciato ricorso.
La Svizzera rappresenta un’eccezione
La scelta della Svizzera appare isolata nel contesto delle risposte fornite dai governi europei ai propri cittadini coinvolti nella flottiglia. La Spagna ha adottato l’approccio opposto: il primo ministro Pedro Sánchez aveva annunciato già a settembre l’invio di una nave militare per scortare il convoglio e garantire protezione diplomatica completa ai 49 cittadini spagnoli a bordo. L’Italia, nonostante avesse definito la missione “pericolosa e irresponsabile” per bocca della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, aveva comunque inviato due fregate della Marina militare e il ministro degli Esteri Antonio Tajani si era attivato per mediare il rilascio dei 58 italiani detenuti.



