I pazienti liberi dal virus dell’Hiv sono diventati sette. L’ultimo caso riguarda un uomo che, ricevendo un trapianto di cellule staminali per curare un tumore del sangue, è risultato non essere più sieropositivo. Ma non solo: è anche il secondo dei sette pazienti ad aver ricevuto cellule staminali non resistenti al virus dell’Hiv, rafforzando quindi la tesi secondo cui le cellule resistenti all’Hiv potrebbero anche non essere necessarie per la guarigione. Lo studio è stato pubblicato su Nature da una team di ricercatori guidato dalla Charité – Universitätsmedizin Berlin, in Germania.
Il virus dell’Hiv e la rara mutazione genetica
Ricordiamo brevemente che il primo paziente libero dall’Hiv, o virus dell’immunodeficienza umana, è stata Timothy Ray Brown, noto anche come paziente di Berlino, nel 2009. Da lì, cinque persone, tra cui il paziente di Londra e il paziente di Dusseldorf, sono guarite dall’Hiv dopo aver ricevuto un trapianto di cellule staminali da donatori portatori di una rara mutazione genetica che resiste all’infezione dell’Hiv (di cui solo l’1% della popolazione ne è provvista) e capace di eliminare la proteina Ccr5, che il virus usa solitamente per entrare nelle cellule del sangue. Come vi abbiamo raccontato, tuttavia, lo scorso anno un sesto paziente, ribattezzato come paziente di Ginevra, è stato dichiarato libero dal virus dell’Hiv per più di due anni dopo aver ricevuto cellule staminali normali, o meglio prive della mutazione genetica Ccr5. “Si riteneva che l’utilizzo di queste cellule staminali resistenti all’Hiv fosse essenziale”, ha commentato l’autore Christian Gaebler. “Vedere che è possibile una cura senza questa resistenza ci offre più opzioni per curare l’Hiv”.
Il settimo paziente
Sebbene molti esperti ritengano che il periodo di circa due anni senza virus non sia abbastanza per dimostrare una guarigione effettiva del paziente di Ginevra, questo ultimo caso rafforza invece questa tesi, dimostrando una remissione. Si tratta di un uomo affetto dall’Hiv che, nell’ottobre 2015, ha ricevuto cellule staminali per curare la leucemia mieloide acuta. Durante il trattamento, gli è stata somministrata una chemioterapia per annientate la stragrande maggioranza delle sue cellule immunitarie, lasciando spazio alle cellule staminali del donatore. Tuttavia, non essendo disponibile un donatore omozigote per la Ccr5, i medici hanno fatto ricorso a un donatore eterozigote, ossia con una copia normale e una mutata del gene Ccr5. Tre anni dopo il trapianto, il paziente ha interrotto la terapia antiretrovirale (Art), e poco dopo il team non ha più trovato tracce del virus nei suoi campioni di sangue. Da allora è rimasto libero dal virus abbastanza a lungo per essere considerato “guarito”.
Le prospettive future
I risultati del nuovo studio confermano quindi come le doppie copie della mutazione genetica Ccr5 non siano un requisito essenziale per raggiungere la remissione del virus dell’Hiv, spostando l’attenzione dalla ricerca di rari donatori. E che, di conseguenza, un bacino di trapianti di cellule staminali più ampio di quanto pensassimo, compresi appunto quelli senza due copie della mutazione genetica Ccr5, “potrebbe potenzialmente curare l’Hiv”, ha spiegato al New Scientist Gaebler, sottolineando che è probabile che molti fattori, come la genetica del ricevente e del donatore, debbano allinearsi affinché ciò funzioni: in questo caso l’uomo era portatore di una copia della mutazione Ccr5, e ciò “potrebbe aver reso più facile la remissione del virus”, conclude l’esperto. “Ciò significa che la maggior parte delle persone che ricevono i trapianti di cellule staminali per l’Hiv e il tumore del sangue dovrebbero prevedere, ove possibile, l’impiego di cellule staminali resistenti all’Hiv”. È importante, infine, sottolineare che i pazienti con Hiv, ma non oncologici, “non possono trarre beneficio dai trapianti di cellule staminali, poiché si tratta di una procedura molto rischiosa che può portare a infezioni potenzialmente letali”, ha concluso Gaebler.



