Lo slogan United by Music sembra essere meno appropriato che mai dato ciò che sta succedendo attorno all’Eurovision Song Contest 2026. Israele e la sua partecipazione alla competizione canora paneuropea che si terrà il prossimo maggio a Vienna sono ancora una volta al centro di tutto. Dopo le proteste degli anni scorsi legate al genocidio in corso a Gaza e le tensioni degli ultimi mesi, nella giornata del 4 dicembre l’assemblea generale dei rappresentati dell’EBU (l’European Broadcasting Union, ovvero l’unione delle varie tv nazionali che organizzano l’Eurovision) ha votato a ballottaggio segreto una mozione che riteneva sufficienti le norme di sicurezza e trasparenza proposte a novembre, dunque non ritenendo necessario votare ulteriormente per confermare o meno l’inclusione di KAN, l’emittente statale israeliana, alla prossima competizione.
Questo significa che all’Eurovision Song Contest 2026 Israele è stata confermata come partecipante ufficiale alla prossima edizione del festival canoro, che sarà tra l’altro la 70esima. Secondo diverse fonti, la decisione dei membri dell’EBU e la spinta verso un voto segreto sono avvenute dopo mesi di diplomazia dietro le quinte sostenuta da vari rappresentanti dei media e del governo israeliani. Il risultato di questa votazione, tuttavia, ha scatenato immediate reazioni, soprattutto da parte di quei paesi che già da tempo avevano minacciato di boicottare l’Eurovision in caso di partecipazione israeliana: almeno quattro paesi, ovvero Spagna, Irlanda, Paesi Bassi e Slovenia hanno annunciato che non parteciperanno all’edizione 2026; altri, come Islanda e Belgio, hanno detto che una decisione in merito sarà presa nei prossimi giorni. C’è però anche chi acconsente a questa decisione: l’Austria, cioè il paese ospitante nel 2026, e la Germania sono sempre state favorevoli all’inclusione di Israele, mentre il Portogallo ha confermato la sua partecipazione nonostante la delibera delle scorse ore.
La scelta dei paesi che non parteciperanno a Eurovision 2026 (e cosa significa per la manifestazione)
“Vogliamo esprimere i nostri seri dubbi sulla partecipazione della tv israeliana KAN all’Eurovision 2026”, ha fatto sapere Alfonso Morales, segretario generale della spagnola RTVE: “La situazione a Gaza, nonostante il cessate il fuoco e l’approvazione del processo di pace, e l’utilizzo del concorso da parte di Israele per raggiunger obiettivi politici rendono ogni volta più difficile mantenere la neutralità di un evento come Eurovision”. Lo stesso tenore da parte dal direttore generale della tv nederlandese Avrotros, Taco Zimmerman: “La cultura connette, ma non a ogni costo. (…) I valori universali come l’umanità e la libertà di stampa sono stati seriamente violanti ma sono per noi non negoziabili… l’indipendenza e la natura unificante dell’Eurovision non possono più essere dati per scontati”. L’irlandese RTÉ ha dichiarato che “la partecipazione rimane spregiudicata data la sconcertate perdita di vite a Gaza e la crisi umanitaria che continua a mettere a rischio la vita di così tanti civili”.
Il boicottaggio dei vari paesi non implica solo la mancata partecipazione dei loro cantanti nazionali ma anche, nella maggior parte, la mancata trasmissione dei tre show televisivi (le due semifinali e la finale) e anche il mancato contributo economico all’organizzazione dell’evento stesso. Quello del budget è un tema sempre più delicato per l’Eurovision, in un periodo in cui i vari governi nazionali stanno tagliando le spese per questo tipo di partecipazioni. A novembre la governance dell’EBU aveva cercato di evitare scontri e disdette mettendo mano al regolamento sulle votazioni durante le varie fasi del concorso canoro: si era tentato di dare maggior rilievo ai voti delle giurie tecniche nazionali, bilanciando il televoto che secondo molti era passibile di manipolazione (inteso: da parte delle lobby israeliane accusate negli anni scorsi di aver accumulato parecchi punti al televoto con tecniche inappropriate). Questo non è bastato a rassicurare diversi paesi, che anzi hanno preteso come condizione necessaria l’esclusione di Israele. Mai come oggi il sogno unitario di Eurovision è fortemente in pericolo.



