Non c’è Starship che tenga. Sono i propulsori ad antimateria la speranza e il futuro dell’esplorazione spaziale. Come spiega Casey Handmer, Ceo di Terraform Industries, nel suo blog, la tecnologia missilistica attuale non è sufficiente per portarci verso altri mondi (e magari anche tornare a casa). Certo, c’è ancora qualche piccolissimo problema, ma niente che un nuovo “Progetto Manhattan”, non possa risolvere.
Il razzo ad antimateria
Oltre i limiti dei propulsori chimici
Oggi ciò che fa schizzare i nostri veicoli nello Spazio è principalmente la propulsione chimica. Un sistema che genera una spinta enorme, ma che consuma tutto il carburante in pochi secondi e non è efficiente per i lunghi viaggi. Un’altra modalità è la propulsione ionica, usata da alcuni satelliti, che è molto efficiente ma con una spinta così debole che ci vorrebbero ere per spostare grandi navi. Quello che serve per trasformarsi in una specie interplanetaria è una tecnologia che offra sia alta spinta sia alta efficienza.
È qui che entra in gioco l’antimateria.
L’antimateria, infatti, quando incontra la materia ordinaria, si annichila completamente, convertendo la massa in energia secondo la famosa equazione di Einstein, E=mc2. E poiché c2 è un numero estremamente grande (approssimativamente 1017), una quantità minuscola di massa può essere convertita in un’enorme quantità di energia. Prodotta sulla Terra, insomma, sarebbe una forma estremamente condensata di energia in potenza, facile da trasportare nello Spazio. Basti pensare – scrive Handmer – che la capacità di 1,3 TW della rete elettrica degli Stati Uniti, se fosse utilizzata per un anno intero e condensata in antimateria, peserebbe solo 227 kg.
Quello che propone Handmer è un piano audace: un vero e proprio programma di sviluppo accelerato di propulsori ad antimateria, qualcosa di simile al “Progetto Manhattan” che portò all’era atomica. L’obiettivo? Rendere possibili viaggi veloci verso Marte, Giove, Saturno e persino le stelle vicine. Nella pratica, però, bisogna risolvere tre grandi sfide: produzione, stoccaggio e utilizzo.
Come produrre antimateria
Siamo già in grado di produrre antimateria, ma il processo, oggi come oggi, è incredibilmente inefficiente (l’efficienza è circa lo 0,000001%) e costoso, e richiede grandi acceleratori di particelle e anelli di accumulo a vuoto. Inoltre, siamo capaci di creare solo poche migliaia di atomi al giorno. I margini di miglioramento, però, sono enormi, come dimostrato di recente al Cern, che nel corso di un esperimento ha aumentato l’efficienza del processo di otto volte.
Come conservare l’antimateria
Come si conserva qualcosa che esplode appena tocca qualsiasi altra cosa? Gli attuali contenitori elettromagnetici sono enormi, pesanti e complessi, non adatti ad applicazioni missilistiche. Una soluzione concettualmente semplice potrebbe essere il confinamento elettrostatico in dispositivi simili a quelli che si utilizzano per i computer quantistici: piccole camera a vuoto, freddissime, dove l’anti-idrogeno viene conservato sotto forma di cristallo di ghiaccio o goccioline liquide, intrappolato in sospensione da campi elettrici. Un sistema di questo tipo – sostiene l’esperto – potrebbe già essere testato su idrogeno normale, semplicemente invertendo la carica del sistema di contenimento, e costare meno di un milione di dollari.
Come usare l’antimateria in un propulsore
Non basta far esplodere l’antimateria. Un altro grosso problema è la trasduzione, ossia convertire quell’energia generata (principalmente raggi gamma) in spinta. Di modi ce ne sarebbero diversi, ma un’idea promettente, quella che consentirebbe di uscire dal Sistema solare, è usare l’antimateria per innescare la fissione dell’uranio. In questo scenario – come riassunto dal tecnico – “un piccolo cannone elettronico a raggi catodici modula la carica superficiale di una gocciolina immagazzinata di anti-idrogeno raffreddato criogenicamente, sfaldando antiprotoni. Questi attraversano un iniettore, incontrando minuscole goccioline di U-238 (la forma di uranio inerte presente in natura, nda) fuso […]. I nucleiprodotti dalla fissione si espandono rapidamente verso l’esterno, scontrandosi con milioni di molecole di vapore parzialmente dissociate in un’area compatta, surriscaldando i gas di scarico. I gas di scarico si espandono generando un’elevata spinta ad alta velocità […]”.
Con questo sistema, con soli 45 grammi di antimateria e 10 kg di uranio (per uno spazio complessivo occupato di soli 500 centimetri cubi), si potrebbe spingere un’astronave grande come la Starship fino a Plutone e ritorno in meno di vent’anni. Se l’U-238 venisse arricchito con circa il 20% di U-235, si potrebbe creare un effetto di amplificazione, riducendo la necessità di antimateria a soli 0,5 g.



