KPop Demon Hunters ha battuto un numero impressionante di record: è il film più visto di sempre su Netflix, con 236 milioni di visualizzazioni globali nelle prime settimane dall’uscita, ed è rimasto per quindici settimane consecutive nella classifica dei film della piattaforma più visti. La colonna sonora è stata la prima della Storia a piazzarsi con quattro canzoni contemporaneamente nella Top 10 del Billboard Hot 100, mentre la versione “singalong” del film, ha esordito al numero uno del box office americano durante il weekend di apertura. Il trio di idol che combatte contro i demoni è diventato un fenomeno culturale globale, generando un circuito di merchandise richiestissimo (chi non vorrebbe i peluche di Sussy e Derpy?) e diventando un trend costante sui social.
Non sorprende che abbia ricevuto tre candidature ai Golden Globe (Miglior film d’animazione, Miglior canzone originale per un film, Miglior risultato al botteghino), e che i suoi registi, sceneggiatori e animatori, Chris Appelhans e Maggie Kang (lei anche creatrice) abbiano creduto fin dal primo momento nelle potenzialità del film. Che, curiosamente, è arrivato in un momento particolare: KPop Demon Hunters ha debuttato sulla piattaforma di streaming a ferragosto, poche settimane dopo la terza stagione di Squid Game. Dopo il successo della serie, a sua volta preceduto dal film pluripremiato agli Oscar Parasite, è stata la volta di un cartone animato com protagonisti coreani conquistare il mondo. Ne abbiamo parlato con la Kang, regista d’animazione e artista di storyboard che ha lavorato per DreamWorks Animation, ospite al Busan Film Festival e poi alla VIEW Conference di Torino assieme ad Appelhans.
Le eroine di Kpop Demon Hunters sono idol della Corea del Sud, la loro creatrice è canadese e la produzione è Made in Usa. Parliamo, infatti, di un film americano, eppure, per tutti, è l’ennesimo titolo che evidenzia l’eccellenza coreana. Cosa ne pensa?
Maggie Kang: Definirei KPop Demon Hunters culturalmente composita. Nasce dalla mia mente, e metà di me è coreana. L’altra parte invece è canadese. Sono nata a Seoul, e la mia famiglia si è trasferita in Canada quando avevo cinque anni. Ho sempre trascorso le mie estati in Corea. Quindi, quando tornavo, ero immersa nella cultura coreana e nella lingua, e oggi mi identifico più come coreana che come canadese. Ho scritto molte delle battute della sceneggiatura in coreano, pensando a come sarebbero state dette in un K-drama, e poi le ho tradotte in inglese. Grazie a questo penso di essere riuscita a connettere sia il pubblico occidentale che quello orientale e mi chiedo se sia per questo che abbiano ricevuto così tanta approvazione a livello globale. Sa, anche i coreani lo hanno accettato come propria rappresentazione culturale.
Vi aspettavate un tale successo?



