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mercoledì, Feb 03

A che punto è il colpo di stato militare in Myanmar



Da Wired.it :

Aung San Suu Kyi resta in arresto sotto accusa di possesso illegale di dispositivi radio, mentre in tutto il paese cominciano le proteste

Medici in sciopero a Yangon contro il regime militare (foto: Aung Kyaw Htet via Getty Images)

In Myanmar, la cittadinanza si sta schierando contro il colpo di stato militare avvenuto il primo febbraio. Ieri le strade di Yangon si sono riempite del suono di pentole e padelle sbattute dalle finestre delle case in segno di protesta e il personale di 70 ospedali in tutto il paese è entrato in sciopero, rifiutandosi di lavorare per la dittatura militare. Nel mentre, la Cina ha bloccato una risoluzione dell’Organizzazione delle nazioni unite di condanna verso il nuovo regime.

La forma di protesta non è casuale: secondo la tradizione birmana, sbattere pentole e padelle serve a scacciare gli spiriti maligni dalla propria casa. Nel 1988 il clangore metallico risuonò contro il generale Sein Lwin che ordinò di sparare contro i manifestanti pro democrazia e lo stesso avvenne di nuovo nel 2007, quando i monaci buddisti protestarono per porre fine a un altro regime militare, retto dallo stesso Usdp, il partito dell’esercito. Nella notte di ieri sono tornate a farsi sentire, come segno di dissenso verso il nuovo colpo di stato.

Anche durante gli ultimi dieci anni di democrazia l’esercito birmano ha continuato a godere di vasti poteri nel paese e il controllo di diversi ministeri tra cui esteri, difesa e interno. Inoltre, a seguito delle terribili repressioni del 2017 contro i Rohingya, una minoranza etnica di religione islamica, la leader Aung San Suu Kyi ha coperto i crimini commessi dall’esercito nell’operazione di pulizia etnica. Più di 600mila Rohingya sono dovuti emigrare in Bangladesh, mentre l’esercito sparava colpi di mortaio contro i civili in fuga.

A seguito di questi fatti Suu Kyi ha perso gran parte del sostegno internazionale, ma ha continuato a governare con l’approvazione della cittadinanza che le ha garantito una vittoria schiacciante alle elezioni generali dello scorso novembre. La Lega nazionale per la democrazia di Suu Kyi ha ottenuto il 61.6% delle preferenze, mentre il Partito per la solidarietà e lo sviluppo dei militari ha ricevuto solo il 3.1%. Probabilmente con il timore di vedere il proprio potere ridimensionato dalla nuova giunta, i generali hanno accusato Suu Kyi di brogli e a seguito del rifiuto delle corti di procedere con nuove elezioni, per mancanza di prove, hanno attuato il colpo di stato. La leader potrebbe restare agli arresti anche per due anni e mezzo, secondo Associated Press, con l’accusa di essere in possesso di dispositivi radio illegali (si tratterebbe di dei walkie-talkie).

La società civile però, si sta schierando contro il nuovo regime, e rimarcando il suo sostegno al governo democratico. Diverse associazioni stanno incitando alle proteste e chiedono l’immediata scarcerazione dei leader arrestati, tra cui alcuni capi del movimento studentesco birmano. A esempio, sulla pagina Facebook dello Yangon Youth Network si legge un post che invita alla protesta: “La disobbedienza civile è importante in questo momento e chiediamo altre organizzazioni si uniscano a noi”.

Le reazioni del mondo

I ministri degli Esteri di Stati Uniti, Canada, Francia, Germania, Giappone e Regno Unito, nel contesto del G7, hanno rilasciato una dichiarazione congiunta a sostegno del regime democratico e di sostegno alla popolazione del Myanmar. Dagli Stati Uniti, il presidente Joe Biden ha dichiarato che studierà “immediatamente la possibilità di ripristinare le sanzioni” al Myanmar in vigore fino al 2011, e che ricorrerà a “un’azione appropriata” contro i militari golpisti. Anche l’Unione Europea ha rilasciato una dichiarazione ufficiale congiunta, tramite l’Alto rappresentante agli affari esteri, Josep Borrell, in cui si legge che l’Unione “condanna con la massima fermezza il colpo di stato perpetrato in Myanmar”.

Queste dichiarazioni vanno a creare nuove tensioni tra il blocco occidentale e la Cina che, invece, come si diceva ha posto il veto alla risoluzione di condanna proposta dalle Nazioni Unite in una sessione straordinaria convocata ieri sera. L’obiettivo di Pechino è verosimilmente quello di riprendere il controllo dell’area stringendo accordi commerciali con i militari, e di scongiurare l’influenza statunitense sul Myanmar.

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[Fonte Wired.it]