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giovedì, Lug 23

A che punto sono i rapporti tra l’Italia e l’Egitto?



Da Wired.it :

Si torna a parlare del caso dell’omicidio di Giulio Regeni, ma i rapporti tra Italia ed Egitto dipendono da moltissimi fattori (compresa la guerra in Libia) e i recenti accordi del governo egiziano con Eni e Finmeccanica

Matteo Orfini, deputato e già presidente del Partito democratico, commentando la mancanza di passi avanti nelle indagini sull’omicidio di Giulio Regeni e la carcerazione da parte delle autorità egiziane dello studente dell’Università di Bologna Patrick Zaki, ha dichiarato: “Che altro deve accadere per interrompere la vendita di forniture militari all’Egitto e per richiamare il nostro ambasciatore?”. Orfini non è il solo a pensarla così: Luigi Di Maio, ministro degli Esteri, ha dichiarato che “l’’Egitto ha dato un vero e proprio cazzotto in faccia all’ a tutti gli italiani, al nostro Stato. Bisogna dare una risposta risoluta e veloce”, aprendo così, di fatto, al ritiro dell’ambasciatore. Ma sei due partiti di maggioranza sono d’accordo, perché il ritiro non avviene?

Il primo motivo è che all’interno della stessa maggioranza giallo-rossa l’accordo non è unanime (Manlio di Stefano, sottosegretario dei 5 stelle alla Farnesina, vorrebbe “dialogare”). Il secondo motivo (da cui il primo, di fatto, dipende) è che il caso Regeni e quello di Zaki non sono gli unici dossier diplomatici che legano Roma e il Cairo. Ecco quali sono, partendo proprio dal caso dell’omicidio del ricercatore italiano.

L’omicidio Regeni

Il 3 febbraio del 2016 un ricercatore universitario italiano, Giulio Regeni, veniva trovato senza vita fuori da Il Cairo, sull’autostrada Cairo-Alessandria. La causa della morte: frattura di una vertebra cervicale causata da un forte colpo al collo, ma l’autopsia ha messo in luce anche un’emorragia cerebrale, diverse bruciature da sigaretta, coltellate, denti rotti, sette costole fratturate, una grande bruciatura tra le scapole, molte contusioni e ferite dovute probabilmente alla lama di un rasoio. Le ossa delle mani, dei piedi e delle scapole, rotte. 

Ventuno giorni dopo il ritrovamento del corpo di Regeni, Paolo Gentiloni, al tempo ministro degli Esteri, riferiva in parlamento al question time dicendo che “l’ semplicemente, chiede a un paese alleato la verità e la punizione dei colpevoli”. Quelle parole, in particolare quel “semplicemente”, facevano presagire che il timore di una volontà di insabbiare il delitto da parte delle autorità egiziane esisteva sin da subito. E purtroppo non si trattava solo di un presentimento: oggi, a distanza di quattro anni, i nomi dei colpevoli non ci sono. Anzi, le autorità egiziane, in una recente riunione tra la procura di Roma e quella della capitale egiziana, hanno nuovamente avanzato sospetti su cosa ci facesse, Giulio Regeni, al Cairo.

Erasmo Palazzotto, deputato e presidente della Commissione parlamentare sulla morte di Regeni, ha detto nei primi giorni di luglio ciò che molti temevano negli scorsi mesi: “Non avevamo alcun elemento per immaginare un esito diverso dell’incontro tra le due procure”. Aggiungendo che “La richiesta, da parte egiziana, di investigare sul lavoro di Giulio Regeni ha il sapore di una nuova provocazione”.

La famiglia Regeni ha chiesto l’immediato ritiro del nostro ambasciatore al Cairo:

Gli egiziani non hanno fornito nessuna risposta alla rogatoria italiana sebbene siano passati 14 mesi dalle richieste dei nostri magistrati. E addirittura si sono permessi di formulare istanze investigative sulle attività di Giulio in Egitto. Istanze che oggi dopo quattro anni e mezzo dalla sua uccisione, senza che alcuna indagine sui suoi assassini e sui loro mandanti sia stata seriamente svolta al Cairo, suonano offensive e provocatorie

La vendita di navi militari

Recentemente si è tornati a discutere del caso Regeni perché l’ attraverso una firma del premier Conte, ha perfezionato la vendita all’Editto di al-Sisi, da parte di Fincantieri (azienda pubblica, su cui quindi lo stato italiano ha il controllo), di due fregate Fremm per il valore complessivo di circa 1,2 miliardi di euro. L’accordo prevede la vendita immediata delle due navi militari e altre quattro in futuro. Ma secondo molti la vendita andrebbe interrotta proprio per fare pressione e ottenere la verità sull’uccisione del ricercatore italiano.

Sul caso della vendita delle fregate Fremm va detto che, dal punto di vista strettamente diplomatico, all’estero l’accordo con Fincantieri è stato commentato come un successo italiano. La Tribune, testata francese, ne ha scritto rimproverando al governo di Emmanuel Macron di essersi fatto scavalcare da quello di Conte. E se una vendita di questo tipo ha un peso strategico non è soltanto per l’aspetto economico (miliardario) ma perché i rapporti con l’Egitto, per l’Italia come per la Francia, sono cruciali per un altro campo d’interesse: la Libia.

La guerra in Libia

La Libia è importante per molti motivi: è un paese con grandi risorse di greggio, è lacerato da un conflitto interno sul quale pesa un intricato gioco di alleanze internazionali. Ma è anche il conflitto più vicino al territorio italiano, e quindi europeo. Sempre in Libia vengono gestite con soprusi, torture, uccisioni e riduzioni in schiavitù le vite di migliaia di migranti che cercano di arrivare in Europa. Sulle coste libiche arrivano i fondi europei, anche italiani, che purtroppo vanno a finanziare la guardia costiera libica che, però, è composta spesso dagli stessi trafficanti. 

La Libia è legata all’Egitto e al suo rapporto con l’Italia perché tra le due fazioni in campo, quella di Haftar e quella di al-Sarraj, ci sono interessi contrapposti e piuttosto importanti. Dalla parte di Haftar ci sono, oltre agli Emirati Arabi Uniti (che hanno fretta di far valere il potere militare accumulato grazie alle ricchezze ottenute col commercio di greggio, prima che il mondo punti definitivamente sull’abbandono del fossile) anche la Russia, la Francia e appunto l’Egitto. L’Italia invece sta dall’altra parte, da quella di al-Sarraj, anzi nonostante qualche tentennamento il nostro paese è addirittura il suo primo sponsor. 

Il grande giacimento gestito dall’Eni

L’Italia in Egitto però non ha soltanto l’interesse dovuto alla guerra libica: c’è anche quello egemonico. L’Italia ha una storia di rapporti con l’Egitto lunga e importante. Per citare il fatto più recente Eni, la multinazionale italiana che lavora nel campo dell’energia, è l’azienda scelta dal governo egiziano per l’affidamento di un giacimento di gas al largo delle sue coste, che sarebbe il più grande di tutto il Mediterraneo. Scoperto nel 2016, il giacimento di Noor è entrato in produzione, dice Eni, “in tempi record” nel 2019.

La detenzione di Patrick Zaky

Il 7 febbraio scorso Patrick George Zaki, studente egiziano dell’Università di Bologna, è stato arrestato all’aeroporto del Cairo con l’accusa di “propaganda sovversiva”. 

Lo studente si era recato in Egitto per far visita alla sua famiglia, quando è scomparso per le successive 24 ore. Stando a ciò che hanno riferito i suoi avvocati è stato fermato, torturato e poi incriminato. Il giovane è in carcere per reati di opinione da ormai sei mesi, senza processo, nel carcere di Tora in una sezione, la II Scorpion, dedicata agli oppositori politici.

Lo scorso 6 luglio il comune di Bologna ha conferito a Zaki la cittadinanza onoraria, con la speranza di vederlo tornare presto in ateneo. Nel frattempo, però, la sua carcerazione preventiva viene rinnovata continuamente. E il timore è che l’epilogo tragico della vicenda di Patrick Zaki sia simile a quello di Regeni.

Quindi, perché l’Italia non richiama l’ambasciatore dall’Egitto? In breve potremmo dire che non lo fa perché la diplomazia è un sistema di pesi e contrappesi in cui la morale non è l’unico elemento sul tavolo delle trattative. A contare sono, al contrario, l’insieme delle questioni economiche, militari e diplomatiche in ballo. Ciò che sappiamo è che l’Egitto è un paese alleato dell’ oggi strategicamente ancora più importante che in passato per via di accordi militari, economici, e del suo peso nella questione libica e negli scontri diplomatici su una serie di giacimenti contesi tra Grecia, Turchia e Cipro. In questo scacchiere traballante quella del ritiro dell’ambasciatore è solo una delle opzioni, e forse non è quella dal peso maggiore. Ciò che più importa è la possibilità di ristabilire la verità sull’omicidio di Giulio Regeni e di scarcerare, finalmente, Patrick Zaky, ma per farlo ci vuole una strategia, un’idea sul come far valere questi pesi e questi contrappesi a proprio favore. L’Italia ce l’ha? Non lo sappiamo.

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[Fonte Wired.it]