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lunedì, Ago 26

A chi farebbe davvero comodo un Conte-bis?


Economia, giustizia, esteri: senza confronto in atto, il governo “giallorosso” non potrà segnare una vera discontinuità. Eppure molti lo vogliono, e i leader Pd e 5 stelle sembrano nell’angolo

Conte al Senato il 20 agosto (Foto Vincenzo Livieri/LaPresse)

Davvero il Pd Antonio Misiani all’Economia o il M5s Stefano Patuanelli, oggi capogruppo al Senato, alle Infrastrutture – sarebbe un addio a gianburrasca Toninelli, che così tanti sorrisi ci ha regalato – potrebbero rappresentare quella “discontinuità” di cui il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, si va riempiendo la bocca dal primo giro di consultazioni al Quirinale?

A quanto pare, stante il cul de sac in cui si è infilato Luigi Di Maio – nel weekend è scappato a Palinuro: d’altronde dove vi rifugereste nel corso della più surreale crisi politica della storia della Repubblica? – l’unica alternativa per varare davvero il governo giallorosso è quella di cedere al Pd qualche ministero chiave, come si dice. Economia, appunto, Giustizia (con Andrea Orlando, già guardasigilli, in pole position), Esteri (dove potrebbe tornare l’ex presidente del Consiglio Gentiloni) e poco altro. Perché a capo di questo esecutivo para-balneare resterebbe lui: Giuseppe Conte. Posto da Di Maio, forse un po’ troppo impulsivamente, come unica condizione per reggere l’urto della cosiddetta base grillina, quella che starebbe bombardando sui social il patto col famigerato “partito di Bibbiano” ma che invece un sondaggio di ieri (fonte: Winpoll-Sole 24 Ore) dipinge, tutto sommato, come favorevole all’accordo: oltre il 40% di consensi.

Può bastare tutto questo? Può bastare agli elettori dem una manciata di ministri, tenendo però al comando l’avvocato del popolo? Un leader senza leadership – almeno fino al j’accuse in Senato della settimana scorsa – e incolore, ma forse proprio per questo buono per tutte le stagioni.

Senza dubbio nel corso dei 14 mesi del suo primo governo il professore di diritto privato di Volturara Appula ha guadagnato un po’ di autonomia rispetto ai due vicepremier-manovratori fino agli strappi di palazzo Madama e, ancora ieri, del G7 di Biarritz. Eppure è l’uomo che ha firmato senza mai dissociarsi i decreti sicurezza di Salvini, che ha difeso il ministro dell’Interno sul caso Diciotti, che ha sostenuto altri provvedimenti imbarazzanti e inutili come la legittima difesa. Un visconte dimezzato che oggi tutti osannano a statista, amato dal paese, ma che rimarrà forse niente più che una statistica nella storia .

Tuttavia, questo c’è sul tavolo e forse dovrà bastare, visto che i gruppi parlamentari dem sono ancora in gran parte in mano a Renzi, in pieno godimento per aver sparigliato i giochi di tutti e aver spinto per un esecutivo che gli restituisce il protagonismo di cui è assetato. Il resto è tutto in divenire: sono saltati in questi giorni i piani di Salvini, che si vedeva già alle urne (ma che potrebbe uscire autentico vincitore solo a distanza di qualche mese: oggi soffocato, domani trionfante), di Zingaretti ridotto a passacarte, di Di Maio incastrato nella morsa fra il fichismo di sinistra e il tardoleghismo del pasionario low cost Di Battista (senza dimenticare le indicazioni della Casaleggio per le solite cliccarie).

In molti, però, sembrano volere a ogni costo questo governo senza dna tracciabile e senza alcuna discontinuità reale, da Bruxelles al Vaticano (difficile smentirli, però: qualsiasi cosa sembrerebbe meglio di Matteo Salvini al Viminale), tanto che il totoministri del weekend e la partita sui nomi non solo hanno oscurato qualsiasi confronto sui punti da tentare di onorare dopo un eventuale accordo – Di Maio era in spiaggia – ma paiono suggerire che quel governo esiste già.

Un ologramma politico lungo un fine settimana, il più breve governo balneare dell’epopea repubblicana, nato prima di nascere: una sospetta gravidanza di cui avremo conferma solo nei prossimi due giorni.

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