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venerdì, Ott 18

A cosa servirebbe un’Agenzia nazionale della ricerca?


Il premier Giuseppe Conte, intervenendo al Cnr, ha dichiarato che la prossima legge di bilancio prevederà l’istituzione di un’Agenzia nazionale della ricerca. Ecco a cosa dovrebbe servire

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(foto: Getty Images)

Politica della ricerca: Giuseppe Conte ha parlato. Intervenendo al Consiglio nazionale delle ricerche, in occasione della presentazione del Rapporto 2019 sulla ricerca, il premier ha infatti annunciato che “nella prossima legge di bilancio ci sarà un’Agenzia nazionale della ricerca, che avrà una funzione di coordinamento tra i vari poli universitari ed enti pubblici e privati di ricerca”, un ente che – è sempre Conte a parlare –  “negli anni, governi di tutti gli orientamenti politici hanno colpevolmente omesso di porre al centro della propria agenda, mossi da un atteggiamento miope, che certamente non vogliamo replicare”. Una specie di cabina di regia, insomma, che dovrebbe mettere a sistema le tante realtà scientifiche italiane ancora troppo frammentate. Al momento non c’è nulla di più: il premier, infatti, non ha specificato come dovrebbe funzionare l’Agenzia, né chi dovrebbe nominarne i componenti, a quale organo di controllo dovrebbe far capo, quali sarebbero le sue mansioni e, soprattutto, quanti e quali fondi dovrebbe gestire e assegnare. In mancanza di queste informazioni è ovviamente troppo presto per capire il reale impatto di un’operazione del genere sulla ricerca scientifica; ma abbiamo comunque cercato di comprendere, con l’aiuto di un esperto, a cosa potrebbe eventualmente servire un’Agenzia nazionale della ricerca.

Un’idea che viene da lontano

L’idea di costituire un ente che si facesse carico della governance scientifica in modo forte e sistemico, naturalmente, non è nuova. Tra i primi a occuparsi del tema gli scienziati del Gruppo 2003, associazione che raggruppa gli esperti italiani che lavorano nel nostro paese, figurano negli elenchi dei ricercatori più citati al mondo nella letteratura scientifica e si dicono “profondamente insoddisfatti e preoccupati” per lo stato della ricerca in in quanto “elemento essenziale del suo progresso intellettuale, materiale e civile”. Uno dei primi promotori dell’Agenzia nazionale della ricerca è stato Silvio Garattini, farmacologo e fondatore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano, che propone “non un nuovo carrozzone a motore burocratico, bensì una struttura agile e snella, indispensabile per il rilancio della ricerca, in particolare della ricerca di base, che il Piano nazionale delle ricerche, tarato su Horizon 2020, ignora sostanzialmente”. Nell’idea di Garattini e colleghi, l’Agenzia dovrebbe essere collegata direttamente con la Presidenza del consiglio e riassumere in una sola sede tutte le risorse destinate alla ricerca da parte dei ministeri. E cercare di dare un indirizzo ai finanziamenti, promuovendo nello specifico le aree attualmente più penalizzate, come la ricerca di base e quella traslazionale.

E ancora: si è tornato a parlare di Agenzia nazionale della ricerca appena un anno fa, quando l’allora Ministro dell’istruzione Marco Bussetti annunciò di aver portato al presidente del Consiglio il progetto “di una cabina di regia per la ricerca”, che avrebbe dovuto “riguardare non solo le attività del Miur, ma anche i ministeri interessati alla ricerca scientifica (sette in tutto) nonché controllori dei ventidue enti di ricerca”. Dichiarazioni a cui, però, non sono seguiti fatti sostanziali.

Come funziona altrove…

“La nostra proposta di istituire un’Agenzia nazionale della ricerca”, ci racconta Luca Carra, segretario del Gruppo 2003, “nasce anche sulla scorta di quello che accade in molti altri paesi, tra cui per esempio Francia, Germania, Regno Unito. O Stati Uniti, dove esistono i National Institutes of Health (Nih) e la National Science Foundation (Nsf), che gestiscono, in modo indipendente dalla politica, i cosiddetti finanziamenti competitivi della ricerca, con metodi a promozione del merito”. Competitivi vuol dire molto competitivi: l’approccio statunitense, in questo senso, è quasi brutale. Oltreoceano, infatti, non esiste un’agenzia di valutazione della ricerca, che è finanziata quasi esclusivamente attraverso progetti. Nel senso che un ricercatore ottiene dagli Nih o dalla Nfs il budget per il proprio laboratorio per un certo numero di anni, dopodiché deve trovare in autonomia fondi per proseguire. E può farlo rivolgendosi a ministeri, fondazioni, agenzie o addirittura privati.

…e come potrebbe funzionare da noi

In Italia le cose sono (ancora) un po’ diverse: la ricerca è finanziata principalmente dal cosiddetto Ffo, ovvero Fondo di finanziamento ordinario, che assegna la maggior parte dei fondi alle università sia su base storica che in base alle valutazioni di enti come l’Anvur, e in secondo luogo dai cosiddetti finanziamenti contrattuali, tra cui i Prin (Progetti di rilevante interesse nazionale) e i Firb (Fondo per gli investimenti della ricerca di base). “Attualmente”, prosegue Carra, “i bandi per la ricerca rappresentano circa il 10% dei finanziamenti totali. Il resto, la gran parte dei denari, sono utilizzati per le spese di gestione ordinarie, come per esempio il pagamento degli stipendi nelle università. C’è da dire che negli ultimi anni qualcosa sta cambiando: l’ultimo Prin ammontava a circa 400 milioni di euro, un ordine di grandezza più alto rispetto ai precedenti. È proprio questa la componente che potrebbe essere gestita da un’Agenzia nazionale per la ricerca”, che dunque, almeno nelle intenzioni, dovrebbe occuparsi di coordinare atenei, poli di ricerca ed enti pubblici e privati e ripartire i finanziamenti in modo più meritocratico e trasparente possibile. Il problema, però, è che se i finanziamenti contrattuali continuano a essere così esigui un ente del genere servirebbe a ben poco. Una sorta di ciliegina sulla torta senza avere la torta, insomma.

Autonomo e indipendente, ma come?

Un altro importante nodo da sciogliere è quello relativo alla terzietà dell’Agenzia. Un requisito indispensabile: per funzionare bene, un ente del genere dovrebbe essere il più possibile slegato dalla politica e sottoposto al controllo di un’istituzione centralizzata: “Si tratta”, prosegue Carra, “di una questione molto delicata, che se affrontata con leggerezza potrebbe portare all’ennesimo pasticcio. La nostra proposta iniziale era di porre l’Agenzia nazionale della ricerca direttamente sotto il controllo della Presidenza del consiglio, ma non ha funzionato. Stiamo cercando e chiedendo un incontro per chiarire questo punto”. Staremo a vedere.

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