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mercoledì, Giu 24

Abbiamo un’occasione irripetibile per finanziare la rivoluzione energetica



Da Wired.it :

Per stimolare l’economia messa in crisi dalla pandemia di Covid-19 i governi sono pronti a spendere una fortuna: è l’ultima chance per salvarci dal riscaldamento globale?

Nei prossimi sei mesi avremo l’inaspettata opportunità di cambiare il corso della crisi climatica. E non tanto perché il lockdown ha fatto crollare le emissioni di gas serra, che torneranno a crescere in fretta se il mondo continuerà a girare a combustibili fossili. Bensì perché i governi hanno messo sul tavolo un mucchio di soldi per stimolare la ripresa economica – la bellezza di novemila miliardi di dollari, secondo un rapporto appena pubblicato dall’International Energy Agency (Iea) – che, se ben spesi, potrebbero dare una spinta decisiva alla transizione energetica verso le rinnovabili. Le decisioni che prenderemo nei prossimi mesi, scegliendo di salvare le vecchie industrie inquinanti o, al contrario, di vincolare gli aiuti alla riconversione energetica, “determineranno il corso delle emissioni di gas serra almeno per almeno i prossimi 30 anni”, ha detto Fatih Birol, direttore esecutivo dell’Iea.  Insomma, adesso o mai più.

Agire sulle cause strutturali

Con un terzo della popolazione mondiale chiusa in casa, la pandemia di Covid-19 ha fatto colare a picco le emissioni di gas serra come mai era successo prima d’ora: diversi studi stimano una contrazione del 4-8% per il 2020, pari a 2-3 miliardi di tonnellate di CO2 in meno; un calo assai maggiore di quello registrato dopo la crisi finanziaria del 2008-2009 (450 milioni di tonnellate) o dopo la seconda guerra mondiale (800 milioni di tonnellate). Come già avvenuto in passato, tuttavia, senza interventi strutturali sui sistemi di produzione e consumo energetico, industriale e alimentare, che si reggono in gran parte sull’impiego di combustibili fossili, l’effetto sarà solo transitorio: non appena l’economia mondiale si rimetterà in moto, le emissioni recupereranno in un baleno il tempo perduto. Ecco perché è vitale impiegare gli stimoli economici per accelerare la transizione energetica e non sprecare “un’occasione che capita una volta sola nella vita”, per usare le parole di Birol.

L’Iea ha così redatto un piano triennale molto articolato (seppure piuttosto conservativo, come da tradizione dell’agenzia) per finanziare lo sviluppo sostenibile del mondo post-pandemia in sei settori chiave: elettricità, mobilità, edilizia, industria, combustibili e nuove tecnologie a bassa emissione di carbonio. Si può coniugare la ripresa economica con la difesa dei posti di lavoro e dell’ambiente, assicurano gli esperti dell’Iea, che alla fine del triennio, per effetto degli interventi proposti, auspicano una riduzione delle emissioni di 4,5 miliardi di tonnellate. Non abbastanza per restare entro la soglia di sicurezza di 1,5°C, a dire il vero. Ma almeno stavolta la riduzione dei gas serra avverrebbe per merito nostro e non per colpa di una pandemia devastante. In più, agendo sulle cause strutturali del riscaldamento globale, gli effetti sarebbero duraturi.

Andrà tutto bene?

Non è la prima volta che affrontiamo uno scenario del genere. Nel 2010, quando l’economia si lasciò alle spalle il momento più buio della crisi finanziaria cominciata nel 2008, le emissioni di gas serra fecero un balzo del 6% ma non tutto tornò come prima: in Europa il consumo di combustibili fossili non raggiunse più i livelli precedenti perché nel frattempo gli investimenti nelle rinnovabili avevano reso molto più competitivi il solare e l’eolico. All’epoca appena il 16% degli stimoli alla ripresa furono destinati alla green economy, oggi dobbiamo fare di più e meglio se vogliamo lasciarci finalmente alle spalle il picco delle emissioni globali.

Finora non è andato tutto bene: secondo la società di analisi Bloomberg New Energy, 509 miliardi di dollari sono stati impegnati per salvare compagnie aeree e industrie inquinanti senza vincoli sulla riduzione delle emissioni. Del resto, i governi sono stati costretti ad agire in fretta nel tentativo di salvare imprese e posti di lavoro del vecchio mondo, ma adesso non ci sono più scuse: se vogliamo trovare una via d’uscita alla crisi climatica, questo è il momento giusto. Magari approfittando anche di un’altra congiuntura favorevole: il surplus di petrolio a prezzi stracciati. Come? Dando retta a quel che ha suggerito Birol in un’altra occasione: eliminando i generosi sussidi che tengono in piedi l’industria dei combustibili fossili: contando soltanto quelli al consumo, si parla di 400 miliardi di dollari all’anno (un milione di dollari ogni minuto e mezzo). Soldi pubblici che potrebbero essere spesi per finanzaire la transizione energetica anziché il riscaldamento globale.

Un’Italia a emissioni zero

Si potrebbe stimolare la transizione energetica anche in Italia? Sì, e secondo Greenpeace si può fare molto meglio di quel che finora ha proposto il governo. L’associazione ambientalista ha appena presentato un’analisi molto dettagliata che mostra come il nostro Paese possa raggiungere il traguardo delle zero emissioni nette entro il 2040. Lo studio di Greenpeace prende di mira il Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (Pniec) predisposto dal governo italiano, giudicato non abbastanza ambizioso per soddisfare gli obiettivi dell’accordo di Parigi. E anziché puntare sul gas, suggerisce di raddoppiare la quota del solare fotovoltaico, e di investire molto di più in batterie e sistemi di accumulo. Le tecnologie esistono e sono ormai mature e competitive.

In questo modo l’Italia potrebbe fare la sua parte nella difesa del clima, e per di più con notevoli vantaggi economici e occupazionali. Secondo lo studio di Greenpeace – commissionato all’Institute for Sustainable Future di Sydney (Isf) e realizzato con la metodologia già impiegata negli scenari globali di decarbonizzazione promossi dalla Leonardo DiCaprio Foundation – per portare l’Italia a emissioni zero entro il 2040 servirà un investimento di 37 miliardi di euro spalmati sul prossimo decennio, ma alla fine la transizione energetica si sosterrebbe da sé grazie al risparmio sulle importazioni di gas e petrolio. E porterebbe alla creazione di 163mila posti di lavoro entro il 2030: un incentivo niente affatto sgradito, di questi tempi.

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[Fonte Wired.it]