Secondo il Dsm-5, i sintomi devono essere ricorrenti per almeno sei mesi, comparire in due o più contesti (come scuola, lavoro o casa) e non essere più compatibili con altre condizioni, come depressione o ansia, oppure con situazioni straordinarie, come una crisi emotiva o cambiamenti improvvisi nella vita quotidiana.
Le variabili che incidono sulla diagnosi
Secondo un articolo pubblicato su Nature, una valutazione accurata prevede la raccolta di un’anamnesi dettagliata e l’uso di questionari comportamentali. Ma deve anche includere il punto di vista di insegnanti, familiari e, in alcuni casi, datori di lavoro.
I medici sottolineano che la compromissione funzionale è un elemento chiave: i sintomi devono incidere in modo clinicamente significativo sulla vita della persona. Questa valutazione però è spesso soggettiva e ha dato origine a un ampio dibattito, perché i livelli di disattenzione o iperattività possono variare molto da individuo a individuo. E non è nemmeno chiaro se il grado di compromissione vada valutato rispetto al potenziale di ciascun individuo o alla media della popolazione.
Queste criticità incidono soprattutto nei paesi a medio e basso reddito, dove gli specialisti sono pochi. Se negli Stati Uniti la diagnosi può essere formulata da diversi professionisti – come psichiatri, psicologi clinici o medici di base – nelle regioni con meno risorse le valutazioni vengono affidate quasi esclusivamente a neurologi o psichiatri, figure poco presenti sul territorio. Secondo Rohde, “il problema qui è chiaramente la sottodiagnosi, lo stigma e il sottotrattamento, che colpiscono in modo particolare le comunità più vulnerabili”.
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Il ruolo dei social
A rendere il quadro ancora più complesso contribuiscono il dibattito pubblico e la diffusione di contenuti sui social – soprattutto TikTok, Instagram, Snapchat – che hanno aumentato la consapevolezza collettiva sull’Adhd e potrebbero aver favorito l’aumento delle diagnosi. Margaret Sibley, esperta di psichiatria e scienze del comportamento presso l’Università di Washington a Seattle, osserva che questi contenuti “raggiungono persone che convivono con i sintomi da molto tempo, senza aver mai davvero capito che cosa stesse accadendo loro”.
Altri esperti invitano comunque alla cautela, perché la grande quantità di informazioni disponibili online ha favorito anche diagnosi poco affidabili e spesso formulate in assenza di una vera valutazione clinica, per esempio tramite servizi digitali o professionisti senza una formazione specifica. Uno studio pubblicato nel 2022 e citato da Nature ha rilevato che oltre la metà dei video su TikTok dedicati all’Adhd conteneva informazioni fuorvianti.



