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mercoledì, Gen 29

Airbnb, breve vita per l’emendamento anti-affitti brevi


Presentato alla Camera da due deputati Pd, è già stato ritirato. Conteneva una serie di strette per chi affitta per breve tempo: numero massimo di notti, tetto sulle licenze, possesso di partita Iva

airbnb
(Immagine: pixabay)

Ha fatto molto rumore l’emendamento del Pd al dl Milleproproghe che cercava di mettere paletti agli affitti brevi in Italia. Giusto il tempo di salire agli onori della cronaca, ed è stato subito ritirato da uno dei suoi stessi firmatari, il deputato Nicola Pellicani, che insieme alla collega Rosa Maria Di Giorgio lo aveva appena presentato alla Camera.

La stretta su chi affitta stanze o case per pochi giorni prevedeva misure senza precedenti: l’obbligo da parte dei Comuni di decidere un numero massimo di permessi da concedere a chi affitta, sanciti da specifiche licenze; un tetto sulla durata degli affitti, soprattutto nei centri storici delle grandi città. L’obbligo di possedere la partita Iva per chi affitta più di tre stanze – anche in case differenti – per meno di otto giorni, perchè ritenuto essere a tutti gli effetti proprietario di un’attività d’impresa.

Nel mirino portali come Airbnb, che solo in Italia conta 459mila appartamenti in affitto, ma anche Booking, Homeaway e tutte le piattaforme che creano match tra proprietari di stanze, appartamenti e case vacanza nella penisola.

La querelle

La proposta ha avuto vita breve, complice il dibattito che si è animato appena la notizia ha iniziato a diffondersi. Dubbi di natura tecnica ma soprattutto screzi anche all’interno della stessa maggioranza che lo ha ipotizzato. Italia Viva si è fin da subito sfilata. “Siamo contrari. Probabilmente il settore ha bisogno di qualche migliore regolamentazione ma sicuramente non così”, ha twittato Luigi Marattin, vicepresidente dei deputati di Italia Viva: “Non lo condividiamo e non lo voteremo. Una migliore regolamentazione non ha nulla a che vedere con maggiore burocrazia, con il blocco del mercato e con il freno ad un’attività che finora ha stimolato turismo e ha portato benefici a tutti”.

L’emendamento del Pd non è che l’ultimo capitolo di una questione che tiene banco da anni, e che vede contrapposte due fazioni ben distinte. Al centro soprattutto il tema delle tasse: è stimato che la sola Airbnb valga l’11% dell’ospitalità italiana, ma che al Fisco entri poco nelle tasche.

Federalberghi è in prima fila nella battaglia e chiede una stretta da anni. Recentemente ha stimato che solo nella città di Roma ci sarebbero 1,4 miliardi di sommerso generati dalle piattaforme. Ma anche i comuni italiani più gettonati dagli affitti brevi hanno iniziato a fare ipotesi per delineare un perimetro d’azione definito. La preoccupazione è che sempre più proprietari, essendo un’attività profittevole, decidano di mettere su piazza la propria casa. Diminuendo l’offerta degli affitti a lungo termine, molto richiesti soprattutto nelle grandi città. E svuotando i centri storici.

Le strette

Negli anni qualcosa è cambiato. Diversi comuni hanno accordi bilaterali con Airbnb e applicano la tassa di soggiorno direttamente dalla piattaforma. In Italia sono ancora pochi, solo 23. Nel mondo hanno introdotto questa regola località alle Bermuda, in Brasile, alle British Vergin Islands, in Canada, Francia, Germania, India, Messico, Olanda, Portogallo, Svizzera e Usa. Complessivamente 13 Paesi. Nei comuni dove non c’è l’accordo, l’imposta deve essere riscossa e versata dall’host. E questo genera un margine di “nero”, come denunciano diverse associazioni.

Ma le singole amministrazioni negli anni hanno iniziato ad applicare alcune strette, indipendentemente da decisioni politiche prese a livello nazionale. Ad Amsterdam il limite per gli affitti brevi è di 60 giorni all’anno, a Londra 90 giorni per la prima casa. Parigi 120 giorni per la prima casa, obbligo di registrazione e principio della “compensazione” a partire dalla seconda casa: per ogni appartamento destinato ad affitti brevi, il proprietario deve garantire di possederne uno simile nello stesso quartiere destinato all’affitto a lungo termine.

Barcellona ha introdotto le licenze, come San Francisco e tutta la Grecia, per fare degli esempi. Berlino per le seconde case ha messo un tetto di 90 giorni. In Giappone tetto massimo di affitti fissato a 180 giorni; omologazione alle normative sulle emergenze antincendio e antisismiche in vigore negli hotel e nelle dimore tradizionali; registrazione dei proprietari alle autorità di competenza.

Il caso Milano

Nel capoluogo lombardo si dibatte da tempo sulla necessità di avere più case a disposizione per gli affitti lunghi, soprattutto in centro. Non è stato preso nessun provvedimento, per ora. Anzi, in vista dei Giochi Olimpici del 2026, il Cio per la prima volta ha siglato un accordo con Airbnb, per alloggi a prezzi bloccati per la famiglia olimpica. Almeno 3mila case in tutta la città. La proposta è partita dal comune di Milano, quando – prima di aggiudicarsi la vittoria – si era mosso contattando la piattaforma. Dovendo garantire al Cio un numero di camere a prezzi calmierati, dopo essersi assicurato stanze di hotel e residence, ha chiesto ad Airbnb la disponibilità di 3mila alloggi.

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