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venerdì, Lug 26

Alcuni batteri intestinali sembrano combattere l’obesità


Si tratta di alcuni batteri della classe dei clostridia, naturalmente presenti nel nostro microbioma. La somministrazione di questi batteri, nel topo, ha frenato l’ingrassamento prevenendo l’obesità. Una strada che potrebbe essere utile studiare anche nell’essere umano

batteri intestinali
(foto: Pixabay)

Dieta, attività fisica e abitudini di vita sane rappresentano un primo passo essenziale per contrastare il sovrappeso e l’obesità, oltre che per mantenersi salute. E se in alcuni casi non fossero sufficienti? In futuro una ulteriore possibilità potrebbe arrivare da alcuni batteri intestinali. Oggi, infatti, un gruppo di ricerca dell’Università dello Utah ha identificato un ceppo di batteri che in un modello animale, in particolare nel topo, prevengono l’ingrassamento e l’obesità. I batteri in questione fanno naturalmente parte del nostro microbioma intestinale, l’insieme di tutti i microorganismi presenti nel nostro intestino, e rientrano nella classe dei clostridia. I risultati sono pubblicati su Science. Ecco come funzionano e le potenziali applicazioni.

Il risultato

I batteri intestinali clostridia includono 20-30 specie differenti, nella maggior parte dei casi (e anche in questo) sono buoni. I ricercatori hanno osservato che in alcuni topi, obesi nonostante una dieta equilibrata, la somministrazione di questi batteri ha portato un dimagrimento. Il gruppo di ricerca ha mostrato che i clostridia riescono a prevenire l’aumento del peso bloccando la capacità dell’intestino di assorbire il grasso. In pratica è come se fornissero una barriera che impedisce al grasso di attecchire.

“Ora che abbiamo individuato l’insieme più piccolo di batteri responsabile del dimagrimento – spiega June Round, patologa alla University dello Utah Health – potremmo comprendere davvero l’azione compiuta da questi organismi e se hanno un valore terapeutico”.

I meccanismi

Ma come hanno fatto i ricercatori ad arrivare a questo risultato? Intanto, ricerche precedenti hanno messo in luce la presenza di un legame fra batteri intestinali e obesità. Studi su topi, ad esempio, hanno mostrato che la composizione del microbioma intestinale può influenzare lo sviluppo di patologie metaboliche. Tuttavia, finora i meccanismi responsabili non erano ben noti. Gli autori li hanno indagato e hanno identificato uno dei possibili anelli mancanti che spiegherebbero il collegamento.

Il sistema immunitario, il nodo centrale

Il nodo centrale, come spesso avviene, è rappresentato da un’alterazione del sistema immunitario. In particolare, alcune cellule (i linfociti T helper follicolari) di questo sistema forniscono uno scudo all’animale contro l’obesità, promuovendo la produzione di particolari anticorpi (alcune immunoglobuline A – IgA) che proteggono dal sovrappeso. In questo caso, i topi sono hanno un difetto di queste cellule immunitarie e non riescono a produrre in quantità sufficiente le immunoglobuline A necessarie per difendersi dall’obesità. La ridotta generazione di questi anticorpi, poi, impedisce la colonizzazione da parte dei batteri clostridia e favorisce invece i batteri del gruppo desulfovibro. Questi, a loro volta, aumentano l’espressione di geni che sono alla base dell’assorbimento dei grassi introdotti con l’alimentazione.

In un articolo di commento, gli immunologi Yuhao Wang e Lora Hopper scrivono che i risultati di Petersen e colleghi “illuminano in modo magnifico come i difetti del sistema immunitario possono portare a malattie metaboliche”.

Le potenziali applicazioni

Il risultato di oggi, l’individuazione del ruolo dei batteri clostridia, potrebbe aprire nuove strade di ricerca. L’idea è che i microorganismi possano servire anche per costruire nuovi approcci terapeutici, spiega June Round, considerando che ben 2 miliardi di persone al mondo sono sovrappeso o obese. In specifiche situazioni il trapianto fecale di probiotici – già studiato per vari scopi clinici – potrebbe risultare utile per ripristinare un microbioma sano. Un approccio del genere, però, funzionerebbe solo su alcuni individui, secondo Round, dato che le caratteristiche individuali (le abitudini alimentari insieme ad altri fattori) possono influenzare la sopravvivenza dei batteri.

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