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venerdì, Set 27

Almeno 70 paesi del mondo organizzano campagne di disinformazione


I ricercatori dell’Internet Institute di Oxford hanno redatto un report allarmante: la propaganda affidata a bot e fake news coinvolge sempre più stati, ed è diventata sofisticata e difficile da fermare

(foto: Visual China Group via Getty Images/Visual China Group via Getty Images)

L’università di Oxford ha di recente pubblicato un report sulla disinformazione, secondo il quale il fenomeno – cioè la consapevole immissione nel dibattito pubblico di falsità e nozioni distorte ad arte per ottenere un obiettivo politico o sociale – sta peggiorando rispetto al passato.

Nel documento si legge che negli ultimi due anni il numero degli stati che ha avuto a che fare con campagne di disinformazione è raddoppiato fino a raggiungere un totale di 70 nazioni e, in tutti i casi, si è in presenza della prova che questa manipolazione è stata opera di almeno un partito politico o del governo nazionale. In Vietnam, per esempio, il governo ha assunto persone per diffondere sui social network messaggi a suo favore mentre quello del Guatemala ha hackerato e rubato account per mettere a tacere i dissidenti. I troll sono anche al servizio della Cina, che a sua volta non si limita più a manipolare il dibattito interno: è stato infatti dimostrato che alcune persone hanno cercato di influenzare l’opinione pubblica diffondendo fake news sulle proteste di Hong Kong.

Dati preoccupanti

Il fatto che queste campagne siano aumentate non è l’unico motivo per cui dobbiamo essere in allarme. Non ci si limita più a diffondere fake news o messaggi a favore di un determinato partito politico o esponente del governo: come emerge dal report, anche i dissidenti e i giornalisti più critici sono diventati bersagli della propaganda automatizzata.

Inoltre, le campagne sono molto più sofisticate e organizzate. Chi le mette in piedi, ha capito come funzionano gli algoritmi delle piattaforme e sta sfruttando questa conoscenza per espandere il potenziale target delle sue azioni. Il risultato è che i meme, i video e tutti gli altri strumenti di questa manipolazione diventano subito virali.

Questo è il motivo principale per cui gli autori dello studio di Oxford, come Samantha Bradshaw, credono che non si possa combattere la disinformazione senza rivedere il funzionamento stesso alla base di queste piattaforme: uno sforzo che va ben oltre alle misure messe in campo in questi anni – e che si sono rivelate solo in parte efficaci.

Basti pensare che Facebook è stato utilizzato come strumento di manipolazione in 56 dei 70 stati nei quali sono state organizzate campagne di disinformazione.

Agire in fretta è fondamentale anche per preservare l’integrità delle prossime elezioni: a partire da quelle statunitensi, che si svolgeranno nel 2020 e che diversi esperti considerano particolarmente a rischio.

 

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