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venerdì, Nov 15

Amazon vince tutti i ricorsi: niente contratto agli ex magazzinieri


Terza sconfitta per gli ex lavoratori interinali che reclamano la stabilizzazione dopo l’accusa dell’Ispettorato del lavoro. I giudici danno ragione all’azienda

Un magazzino Amazon (LaPresse/Andrea Alfano)
Un magazzino Amazon (LaPresse/Andrea Alfano)

Un’altra sconfitta. La terza, per i 180 ex magazzinieri di Amazon che si sono mossi contro il colosso dell’ecommerce per farsi riconoscere un contratto a tempo indeterminato, dopo che l’Ispettorato del lavoro ha accusato l’azienda di aver sfondato le quote di contratti in somministrazione tra luglio e dicembre del 2017 nel deposito di Castel San Giovanni, in provincia di Piacenza. Anche il ricorso di uno dei 30 dipendenti assistiti dall’avvocato Annarita Bove per conto dell’Ugl piacentina non è andato a segno. “Inammissibile”, questo è il verdetto del tribunale del lavoro della città emiliana.

Il primo round della battaglia legale è andato tutto a vantaggio di Amazon. Né i giudici di Milano né i colleghi di Piacenza (le due città dove sono stati depositati i primi ricorsi) hanno accolto le ragioni dei lavoratori. I sindacati del commercio – Filcams Cgil, Fisascat Uil, Uiltucs Uil e Ugl Terziario – e i loro legali hanno annunciato di voler ricorrere in appello, ma la strada è in salita.

Il fattore tempo

Il motivo è presto detto: i tempi. Per i giudici sono scaduti i termini per reclamare la stabilizzazione. I fatti risalgono alla seconda metà del 2017. Stando ai risultati dell’Ispettorato del lavoro, tra agosto e dicembre, quando sul calendario della piattaforma di ecommerce lampeggiano le date più calde dell’anno, come il Black Friday e Natale, Amazon ha arruolato 1.308 lavoratori interinali, circa un terzo dei 444 a cui avrebbe avuto diritto in rapporto ai dipendenti fissi. Il dato, però, viene reso noto solo a giugno del 2018. Quando dall’Ispettorato partono anche lettere che espongono ai lavoratori il diritto a impugnare il contratto per ottenerne uno a tempo indeterminato.

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Amazon si è sempre difesa sostenendo di non aver mai superato la quota del 28% di interinali nell’arco di quei sei mesi, mentre per i sindacati sono avvenuti sforamenti. Addirittura, tre mesi dopo la comunicazione dell’Ispettorato, in un’interrogazione parlamentare l’allora sottosegretario al ministero del Lavoro, Claudio Cominardi, ritocca il numero al rialzo: 1.951, per effetto di un ricalcolo. Ma per i giudici il fattore chiave è quello del tempo. La legge dà 60 giorni di tempo per trovare una mediazione e, se questa fallisce, 180 per fare ricorso. Ma dalla chiusura del contratto, motivo per cui le impugnazioni dei lavoratori sono stare rispedite ai mittenti.

Partita in appello

Gli avvocati si sono sempre appellati al fatto che gli ex magazzinieri non avessero potuto fare prima ricorso, perché, fino alla nota dell’Ispettorato, non erano a conoscenza dello sforamento. L’avvocato Bove ha persino chiamato in causa la Corte costituzionale, chiedendo al giudice di Piacenza di rinviare la partita alla Consulta per stabilire un criterio sulla legittimità dell’impugnazione. Ma anche questa strada è stata sbarrata, anzi la lavoratrice si è ritrovata a dover pagare le spese legali (onere compensato dal tribunale di Milano). Le sigle dei lavoratori soppesano la possibilità di fare appello. Finora, però, il vento soffia in direzione contraria.

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