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giovedì, Nov 28

Anche chi oggi usa “Ok, boomer” un giorno si lamenterà dei giovani


E non è colpa di nessuno: persino gli psicologi evolutivi più esperti cadono nella trappola di “preferire” il passato. Forse la risposta risiede nel modo in cui l’essere umano costruisce la sua memoria

(foto: Christopher Furlong/Getty Images)

È un meme che state trovando ovunque sui social network e nei discorsi di giovani e giovanissimi. È un’arma contundente in due parole: “Ok, boomer”, rivolto dalla generazione Z contro degli adulti (e non sempre i baby boomer veri e propri) accusati di paternalismo e indifferenza per le questioni ambientali e sociali.

Ok, boomer, tra le altre cose, è diventato anche l’occasione per ricerche sociologiche e fini analisi politiche: sono fondate le critiche dei giovani che si sentono presi di mira da chi è nato soprattutto tra la metà degli Quaranta e Sessanta? E se non è così, hanno invece ragione i nonni – o quasi – a borbottare per la maleducazione, la decadenza e in definitiva l’inadeguatezza dei nati invece tra la fine dei Novanta e la fine dei Duemila? Il dibattito – finito anche sul New York Times – ci costringe anche a interrogarci sul modo in cui funziona (o non funziona) la nostra memoria, e su cosa spiegano di noi le valutazioni critiche che facciamo su altri.

È probabile che la GenZ, una volta invecchiata, userà lo stesso parametro impietoso di giudizio che adesso si vede imporre dai boomer, e accuserà i giovanissimi del 2050 o del 2060 di essere più viziati, narcisi e dipendenti dagli adulti di quanto fossero i suoi appartenenti ai loro tempi. L’argomento i ragazzi di oggi è una forma antichissima di lamento sociale, e un ciclo di rimostranze che sembriamo condannati a ripetere ad libitum. “È come un tic della memoria che si ripete generazione dopo generazione”, ha spiegato a Vox John Protzko, psicologo della University of California, che recentemente ha pubblicato un paper scientifico sul pregiudizio che accompagna i giovani d’oggi quasi dalla notte dei tempi.

Nel 2017 Protzko ha messo mano a un enorme archivio contenente 60 anni di valutazioni sugli studenti delle scuole dell’obbligo, nelle quali erano misurate la pazienza e la capacità di dilazionare la gratificazione. Prima di elaborare le informazioni, lo psicologo ha intervistato 260 colleghi specializzati nello sviluppo giovanile e gli ha chiesto una previsione. Secondo questi esperti i ragazzini – col passare dei decenni – erano diventati più bravi, meno bravi oppure rimasti sostanzialmente uguali nella loro abilità di resistere alle tentazioni e concentrarsi sullo studio?

La maggioranza degli psicologi intervistati – l’84 per cento – ha predetto che gli studenti sarebbero peggiorati col passare del tempo. Sbagliando. Poiché invece pare che guardando a quello che in gergo viene chiamato test dei marshmallow – uno dei test più celebri delle scienze sociali, in cui in buona sostanza si prevede il successo e la riuscita nella vita adulta di bambini da 4 a 6 anni d’età, a seconda di quanto riescono a vincere temporaneamente la voglia di mangiare un marshmallow; un test, peraltro, la cui validità scientifica è stata messa in discussione da più parti – pare che invece i ragazzini siano migliorati col passare degli anni.

Le lagnanze degli adulti sono sempre le stesse da secoli: “Ci suggeriscono che i giovani siano pigri, viziati, e agiscano solo per il tornaconto personale”, ha confermato Cort Rudolph, uno psicologo della Saint Louis University che ha passato anni a studiare questa tipologia di critiche nei libri di storia. Il problema è che la memoria umana non funziona come un registratore, ma viene costruita. E molto di ciò che usiamo per costruirla è frutto della nostra stessa pigrizia, che ci porta a scegliere solo le informazioni più semplici o più facilmente raggiungibili per dare senso al mondo che ci circonda.

Il risultato, stando a questa prospettiva, è che la nostra mente è affetta da una distorsione chiamata presentismo: nel cercare di ricordare qualcosa, prendiamo pezzi del presente e lo infiliamo nelle nostre ricostruzioni del passato. Anche le memorie delle persone con cui abbiamo vissuto, abbiamo lottato, amato e patito sono definite dal modo in cui ci rapportiamo a quelle persone oggi, o a ciò che quelle persone oggi rappresentano.

Nel giudicare i ragazzi, gli adulti dunque tendono non tanto a riflettere su come erano nell’età più verde, ma piuttosto su ciò che vedono nel presente. Un altro studio a firma John Protzko e Jonathan W. Schooler, pubblicato su Science Advances, mostra inoltre come gli adulti che ripongono maggiore importanza nella nozione di autorità (rispetto delle regole e delle gerarchie) tendano a ripetere come i ragazzi di oggi siano molto meno rispettosi di quelli di un tempo passato; gli adulti che reputano un parametro primario quello dell’intelligenza tendono invece a giudicare i ragazzi di oggi più ottusi di com’erano loro. E così via.

Inoltre, spiega Protko, va tenuto conto di come la retorica sui ragazzi di oggi sia uno stereotipo culturale che viene tramandato di generazione in generazione, e ne viene affetto anche colui che tende a non dare troppa importanza all’autorità o all’intelligenza nel giudicare il merito di una generazione.

Forse, infine, molti adulti sono affetti semplicemente da quella retromania molto in voga, vale a dire da una tendenza imperante e onnipervasiva a ritornare continuamente al passato. Si pensi al libro Retromania di Simon Reynolds, che per l’appunto parla di una condizione culturale giunta a un vicolo cieco poiché incapace di organizzare la costruzione di un immaginario futuristico (o anche solo diverso da quelli passati).

Senza le informazioni corrette, però, rischiamo di parlare delle generazioni presenti, passate e future un po’ come quando parliamo di segni zodiacali: come un’opportunità di distinguersi dagli altri basandosi più su storie semplicistiche e ricorrenti, che ci aiutino a dare un senso alla realtà – e quindi a costruire la nostra memoria di conseguenza.

Inoltre, se davvero gli adolescenti vanno accusati di egocentrismo, questo può avere una spiegazione molto più socialmente razionale di quanto si pensi: si tratta di individui che stanno per prendere decisioni cruciali sulla propria vita in un mondo sempre più spietato e competitivo, e sanno che una decisione potrebbe condizionarne l’esistenza per sempre.

Al di là degli aspetti scientifici della faccenda, ci sono però i fatti, e va detto che la povera GenZ si sta comportando davvero bene (secondo i parametri di un adulto occidentale di vedute conservatrici, perlomeno): fa minore uso di droghe, beve meno alcol, aspetta più tempo prima di far sesso, e ha meno figli durante l’adolescenza o fuori dal matrimonio. Certo, il problema è che si tratta di una generazione anche più ansiosa e depressa del solito. Ma è una tara non solo sua.

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