Per Scott e gli altri membri, la distruzione un videogioco è “una perdita culturale per la società”, alla stregua di quella di un libro, un album o un film. “Pur essendo media meno riconosciuti, i videogiochi meritano comunque tutele di base contro la distruzione totale e intenzionale“, spiega. Il gruppo chiede alle aziende di mettere a punto piani che permettano ai videogame di continuare a vivere in un formato giocabile anche una volta finiti offline.
“Sebbene Anthem abbia ricevuto molte recensioni negative, è evidente che il valore della produzione è alto”, continua Scott, aggiungendo che ci sono molte persone che vogliono continuare a giocare al titolo. Il fondatore di Stop killing games ammette di non aver mai provato Anthem; ora, dice, non avrà più l’occasione di farlo.
I videogame sono un medium più dinamico rispetto ai libri o ai film, che si basa sull’autonomia del giocatore e può essere integrato da aggiornamenti e contenuti scaricabili. I giochi online comportano criticità aggiuntive. Ma Stop killing games sostiene che in passato i titoli multiplayer sono riusciti a sopravvivere anche senza server aziendali, grazie all’hosting privato dei giocatori.
Con la sua prima grande petizione, il movimento fondato nel 2024 sta cercando di ottenere il sostegno del governo britannico, che discutere le istanze in Parlamento al raggiungimento di centomila firme. Ma anche se la campagna ha superato quota un milione di firme, per il momento non ci sono stati riscontri.
Il gruppo sperava inoltre che, raccogliendo il sostegno di un numero sufficiente di persone, avrebbe potuto convincere la Commissione europea a introdurre una legge a tutela dei consumatori finalizzata a preservare i giochi. La scorsa settimana, Video games Europe – associazione di categoria che rappresenta l’industria dei videogiochi nel continente – ha risposto alla petizione osservando che “la decisione di interrompere i servizi online si presenta sotto varie forme. Non viene mai presa alla leggera e deve essere un’opzione per le aziende quando un’esperienza online non è più commercialmente redditizia”. Il trasferimento dei giochi su server privati, continua l’organizzazione, potrebbe rendere i dati dei giocatori vulnerabili e impedire alle aziende sviluppatrici di “censurare i contenuti non sicuri della comunità” o di rimuovere quelli illegali.
Nella dichiarazione diffusa da si legge anche: “Molti titoli sono stati progettati da zero per esistere eslusivamente online; queste proposte limiterebbero la scelta degli sviluppatori rendendo la creazione di questi giochi proibitiva dal punto di vista economico“, aggiunge Video Games Europe.
I videogame non sono mai stati così costosi, sia per i produttori che per gli acquirenti. I giocatori chiedono contenuti di cui possano continuare a usufruire per gli anni a venire, e i giochi live service sono venduti con la promessa di aggiornamenti e supporto continui. Ora però non è chiaro se i giochi online di oggi saranno in grado di durare quanto i loro predecessori. “Mi complimento per l’onestà con cui Video games Europe ammette di considerare i clienti che giocano ai vecchi giochi come un problema del settore, perché li considera in competizione con i nuovi – afferma Scott –. Noi siamo ovviamente contrari a questa visione e riteniamo che i clienti debbano godersi ciò per cui hanno pagato“.
Questo articolo è apparso originariamente su Wired US.