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venerdì, Feb 12

Apple dice di puntare tutto sulla privacy. Ma a modo suo



Da Wired.it :

L’azienda ne ha fatto una leva di business. E lo usa per distinguersi da altre multinazionali, come Facebook. Ma con le proprie regole

Apple Store galleggiante | Credit: Javan Ng, via Twitter (screenshot)

La privacy non è mai stata così tanto al centro delle discussioni come in questo periodo. Sul piano internazionale la grande battaglia di questi giorni si gioca Apple e Facebook, per via dei prossimi aggiornamenti del sistema operativo iOS. A lanciare l’ultima sferzata è stato direttamente Tim Cook, amministratore delegato di Apple, e per farlo ha scelto una data e un’occasione precisa, il 28 gennaio, la giornata europea dedicata alla protezione dei dati. Quel giorno di 40 anni fa fu introdotta dal Consiglio d’Europa la Convenzione numero 108, che tutela in modo più approfondito il diritto alla protezione dei dati, già introdotto con l’articolo 8 della Carta europea dei diritti fondamentali, firmata a Roma nel 1950.

Da 14 anni in quei giorni si tiene il Cpdp, un ciclo di conferenze sulla protezione dei dati cui partecipano accademici, istituzioni politiche e aziende per discutere le nuove sfide del settore. Quest’anno, benché online, Tim Cook ne è stato uno degli ospiti più attesi per lanciare un messaggio molto forte e chiaro al mondo, big tech incluse, ovvero che la tutela della privacy costituisce un obiettivo di primaria importanza per Apple.

Non è un caso che Cook abbia scelto un palco europeo, benché virtuale, per questo tipo di prese di posizione. Un paio di anni fa, alla conferenza internazionale dei commissari della privacy, Cook auspicò pubblicamente l’approvazione di una legge federale negli Stati Uniti sul modello del Gdpr europeo, diventato punto di riferimento per molti altri Paesi, Cina inclusa. A quel tempo fu invitato da Giovanni Buttarelli, ex garante europeo della privacy, morto nell’estate del 2019, il cui pensiero è ancora oggi fonte d’ispirazione per tutti coloro che si occupano di privacy.

Se il Gdpr è stato il primo passo di questo percorso verso una maggiore attenzione alla protezione dei dati e la legge californiana sulla protezione dei dati il secondo, per Cook “è giunto il tempo di scrivere leggi globali che prescrivano la minimizzazione dei dati, garantiscano la loro sicurezza, rendano i cittadini consapevoli”.

Più controllo sui dati condivisi

L’ad di Apple evidenzia le scelte fatte negli anni dall’azienda di Cupertino per aumentare la sicurezza dei suoi prodotti a beneficio della privacy e degli utenti che sono diventati più consapevoli. A questo scopo sono state pensate le Privacy nutrition label, informazioni che tutte le app presenti sull’App Store devono includere per spiegare come usano i dati personali. Queste etichette hanno permesso, per esempio, di valutare a colpo d’occhio i dati che sono usati dalle diverse app di messaggistica di cui si è parlato tanto dopo che WhatsApp ha annunciato il cambio della sua privacy policy.

Ma la novità che sarà introdotta a breve, e che Cook ci teneva a presentare a uno dei più importanti eventi sulla privacy, è l’App Tracking Transparency, un banner che chiederà agli utenti se vogliono permettere all’app che stanno usando di tracciare le loro azioni su iPhone e iPad. Questa nuova funzione, annunciata lo scorso agosto, ha portato un colosso come Facebook, il cui business model si basa sulla raccolta pubblicitaria profilata, a pubblicare sui principali quotidiani americani, come The New York TimesThe Washington PostThe Wall Street Journal, un attacco diretto alle nuove politiche di Apple, auto-eleggendosi portatore degli interessi delle piccole e medie imprese, che secondo le sue stime avrebbero perso il 60% del fatturato derivante dalle vendite online. 

Cook, pur senza fare nomi, durante il suo intervento ha duramente criticato quelle aziende che preferiscono diffondere contenuti estremi perché più coinvolgenti per gli utenti, anche quando gli effetti sono la polarizzazione delle idee, la diffusione di notizie false e, in ultima analisi, la violenza, con chiaro riferimento agli avvenimenti del 6 gennaio a Washington.

Privacy first a corrente alternata

Se è pur vero che Apple sta lavorando al suo motore di ricerca, è altrettanto vero che l’azienda di Cupertino riceve annualmente 12 miliardi di dollari da Google perché questo sia il motore di ricerca di default del suo browser Safari. Bisogna dire che da qualche tempo si può modificare nelle impostazioni il motore di ricerca di default e sceglierne uno tra quelli più attenti alla privacy come DuckDuckGo, Ecosia o Qwant, ma resta il fatto che il primo sia Google e, salvo un utente non lo sappia già, questa possibilità non è particolarmente pubblicizzata.

Finora la pubblicità mirata sui dispositivi della Mela avveniva tramite l’Idfa, Id for advertisers, un codice identificativo unico che permetteva agli sviluppatori di seguire i movimenti tra le app, una sorta di cookie per i dispositivi Apple degli utenti. Con il prossimo aggiornamento Apple chiederà agli utenti il loro permesso, tuttavia questo prova che prima non lo faceva, come invece chiederebbe la direttiva europea ePrivacy quando parla di cookie e tracciatori.

Proprio per questo l’associazione Noyb, che si occupa di diritti digitali (l’ha fondata l’attivista austriaco Max Schrems) ha denunciato la pratica all’autorità tedesca e a quella spagnola. La denuncia si base anche sul fatto che, con l’arrivo del Gdpr, l’indirizzo più recente dei garanti europei è che il tracciamento degli utenti tramite cookie e simili richieda un consenso liberamente dato, inequivocabile e dato con un’azione affermativa, escludendo di fatto l’opt-out. Al di là del consenso però, anche in questo caso Apple non fornisce normalmente agli utenti chiare indicazioni sull’esistenza dell’Idfa e su come revocare il consenso (Basta andare su Impostazioni > Privacy > Pubblicità Apple > Annunci personalizzati). Le informazioni esistono sul sito, ma se non si è già consapevoli sufficientemente di questi strumenti, difficile che gli utenti si muoveranno autonomamente.

Da ultimo, dopo l’annuncio della nuova policy, la denuncia di molte aziende e sviluppatori è che nel nuovo sistema solo a loro sia richiesto il consenso attivo dell’utente mentre per Apple spetta alla persona revocarlo, essendo impostato di default. A questa critica ha risposto Jane Horvath, senior director of global privacy di Apple, ospite del panel della conferenza dove ha parlato Cook, dicendo che Apple non usa quei dati per scopi pubblicitari.

La notizia è che la privacy sta diventando sempre più un asset aziendale che ha un suo valore economico e può essere una leva nei confronti dei competitor. Questo vale per chi vende smartphone come per chi vende qualsiasi bene o servizio che tratti dati personali. Chissà se Apple sarà da traino e rivoluzionaria in questo campo come lo è stata con computer e smartphone.

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[Fonte Wired.it]