Tra gli aromi del passato il peggiore è certamente l’odore dell’inferno, descritto come quello di “un milione di cani morti”. Ma ce ne sono molti, moltissimi altri, tutti raccolti in Odeuropa, un grande database che contiene quasi 2 milioni e mezzo di differenti odori menzionati in quasi 180mila documenti storici relativi agli ultimi cinquecento anni di storia europea. Come si può immaginare, si tratta di un progetto estremamente complesso, che unisce competenze multidisciplinari e strumenti di intelligenza artificiale per documentare, ricostruire e preservare gli aromi storici del vecchio continente. Tra cui, per l’appunto, quello dell’inferno, ricostruito dal ricercatore britannico William Tullet, esperto di storia dell’olfatto alla University of York, nel Regno Unito, che ha messo a punto l’olezzo oltretombale raccogliendo centinaia di riferimenti nei sermoni del sedicesimo e diciassettesimo secolo, ottenendo una mistura nauseabonda che, evidentemente, doveva fare paura più dell’inferno stesso.
Una questione culturale
Tra i tantissimi odori del passato, liberamente consultabili in Odeuropa Smell Explorer, i responsabili del progetto ne hanno selezionati una dozzina (tra cui, ovviamente, quello dell’inferno) che hanno presentato al padiglione europeo dell’Esposizione universale di Osaka 2025: da menzionare, per esempio, gli aromi di incenso, mirra e dei canali di Amsterdam, ciascuno con le proprie connotazioni emotive, culturali e storiche. L’esposizione, a detta di Inger Leemans, storica della Vrije Universiteit di Amsterdam e coordinatrice del progetto, è stata “la vivida dimostrazione di quanto gli odori siano soggettivi e dipendenti dal contesto storico”: alcuni europei hanno perfino trovato “attraente” l’odore dell’inferno, perché ricordava loro il profumo della carne grigliata, mentre la maggior parte dei visitatori asiatici lo hanno descritto come “completamente disgustoso”. “Questo progetto – ha spiegato Leemans – è riuscito a riunire competenze sugli odori provenienti da diversi ambiti: la storia, la storia dell’arte, la chimica, la scienza del patrimonio culturale”. L’obiettivo di Odeurope è di aiutare i ricercatori e i decisori a riconoscere e salvaguardare odori e “paesaggi olfattivi” particolarmente significativi, che caratterizzano un particolare luogo, ambiente o momento storico e che dunque fanno parte del patrimonio immateriale del nostro continente. “L’olfatto – ha detto Tullett – può essere uno strumento potente per aiutare le persone a entrare in contatto con la storia, e può essere utilizzato da musei e siti culturali per rendere le mostre più coinvolgenti e memorabili”.
L’aiuto dell’intelligenza artificiale
Per estrarre le “testimonianze olfattive” da circa 43mila immagini e 167mila testi storici in sei lingue diverse, i ricercatori hanno addestrato modelli di intelligenza artificiale in grado di scorrere tutti i documenti e individuare i riferimenti agli aromi. Sulla base dell’output dell’algoritmo, hanno quindi creato dei cosiddetti knowledge graph, una sorta di rete strutturata di informazioni interconnesse che collega e contestualizza i dati e permette di navigarli. L’idea è venuta dall’Oriente: nel 2001, infatti, il ministero dell’ambiente giapponese aveva stilato un elenco dei cento paesaggi olfattivi più significativi del paese, tra cui la nebbia marina che avvolge la regione di Kushiro, le pesche bianche delle colline di Kibi e la cucina coreana nel quartiere di Tsuruhashi a Osaka. Confrontandosi con i colleghi giapponesi, i ricercatori europei hanno deciso di provare a esportare l’idea nel nostro continente, per recuperare “la delicatezza e la sensibilità agli odori che oggi abbiamo perso”.
Un senso dimenticato
Secondo Leemans, grazie a progetti come questi l’olfatto potrebbe infatti tornare di moda: “La maggior parte delle persone – ha spiegato – ha conoscenze olfattive a cui normalmente non attinge. Se li aiutiamo, potrebbero recuperarli e usare queste conoscenze”. Se proprio dobbiamo scegliere, meglio nebbia marina e pesche bianche che zolfo e cani morti.