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martedì, Ago 27

Attacco al potere 3 rimette (maldestramente) il machismo al centro della saga


Sconclusionato, con una scrittura inaccettabile e ideologicamente maldestro: il terzo capitolo della saga chiude nel peggiore dei modi una trilogia che meritava di più

Attacco al potere 3 è una versione priva di freni inibitori degli altri due film della saga, totalmente a briglia sciolta e senza nessun ritegno nel manifestare la propria adesione a un universo machista da sempliciotti: lo si capisce dai dialoghi. Fin dall’inizio le scelte e la brutale schiettezza degli scambi rivelano quasi un’insofferenza per le più basilari regole di approfondimento e sofisticazione di scrittura, quelle che di regola raffinano, smussano e ripuliscono le sceneggiature.

Attacco al potere 3 è la storia di un uomo migliore degli altri contro il quale si rivolta tutto il paese, dall’Fbi in giù, perché qualcuno l’ha incastrato. Una piccola macchia e diventa un reietto, in fuga dalla polizia per cercare di ripulire il proprio nome e continuare ancora a proteggere il presidente ora più in pericolo che mai a causa della sua assenza. Una specie di piccola storia di spionaggio scritta per somigliare a quelle adulte, ma senza nessuna conoscenza – né voglia di farsene una.

L’abbiamo letto nella cartella criptata trovata nel dark web” viene detto a Mike Banning, il protagonista, con questa genericità, usando questi termini da titolone di quotidiano senza bisogno di sapere cosa siano o come vadano usati, per fargli capire che è fregato. “Sono entrati in tutte e tre le schede madri” è la maniera in cui veniamo avvertiti che è in corso un attacco hacker. Tutto è approssimativo in questo film, tutto tranne quel che serve a definire l’uomo protagonista e il mondo in cui è immerso. “Dai no! Puzzi di polvere da sparo” gli dice nelle prime scene la moglie quando lui tenta un approccio a letto, per sentirsi rispondere: “Lo so che ti piace”. Da incorniciare.

Questa fantasia quindicenne è poi costellata di riferimenti per nulla vaghi a posizioni politiche incredibilmente precise. Mike Banning è stato incastrato e una delle piste che vengono fatte credere all’Fbi prevede che a manovrarlo e a dargli ordini siano i russi, quindi che sia una loro pedina come nell’età dell’oro della guerra fredda al cinema. Per essere ancora nauseantemente più chiaro, il film farà anche dire ai suoi personaggi “…come quando hanno manipolato le elezioni”. Forse la posizione anti-Russia di questo film è la più netta e chiara vista negli ultimi 20 anni al cinema.

Un finale in crescendo d’esagerazione, ambizione e insensatezza chiarirà poi che Attacco al potere 3 ha intenzione di giustificare tutto quello che nel film ha fatto fare ai personaggi (distruzione, violenza e truffa) nel nome dell’essere leoni e avere ancora bisogno di una guerra. Pura celebrazione dell’entrare in azione e prendere parte a qualcosa – qualsiasi cosa – per il piacere che dà. Ovviamente è il cattivo a recitare questa apologia, ma la mancanza di obiezioni dall’altra parte unita alla reticenza ad andare in pensione del protagonista suonano come un tacito assenso.

Non che tutto questo sia una novità nel cinema d’azione, ma la maniera in cui non sono supportati da una vera struttura muscolare, capace di trasformare il film in una grande corsa in cui la forza dei personaggi regge tutto, dà pochissimo fiato ad Attacco al potere 3. Lo si capisce bene quando fa la sua comparsa, a un certo punto, un Nick Nolte barbutissimo nei panni del padre del protagonista, e porta un alito di personalità e forza al film. Nonostante la sua sia la figura più trita (un veterano rimbambito dalla guerra, autoesiliatosi nei boschi), riesce comunque a infondere nelle poche scene cui partecipa tutta un’altra credibilità d’azione.

Se infatti i precedenti capitoli della saga – al netto di una certa semplificazione di ogni conflitto – potevano vantare una capacità di usare l’azione per creare tensione, in questo caso anche quella componente è appiattita sugli standard minimi di urla, spari, tuffi e pugni del cinema americano.

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