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Attacco di Israele in Iran, quali conseguenze ha sull’economia

da | Giu 13, 2025 | Tecnologia


L’attacco di Israele all’Iran ha scatenato il panico sui mercati globali. I bombardamenti di venerdì 13 giugno contro l’impianto nucleare di Natanz hanno innescato una reazione a catena: il petrolio è schizzato ai massimi dell’anno, le borse internazionali sono crollate e l’oro ha toccato nuovi record storici. A preoccupare gli investitori è il rischio che l’escalation in Medio Oriente comprometta le forniture energetiche provenienti da una regione che produce oltre un terzo del petrolio mondiale. Ma la crisi sta andando oltre il settore energetico: le maggiori piazze finanziarie stanno vivendo una delle giornate più instabili dell’anno.

L’effetto domino sui mercati energetici

La prima conseguenza economica dell’escalation militare si è vista sui mercati del petrolio, dove il prezzo del greggio è aumentato del 9% superando i 75 dollari al barile. Si tratta dell’aumento più forte in una sola giornata dal 2022, quando i prezzi erano schizzati dopo l’invasione russa dell’Ucraina. L’impennata è stata immediata e ha coinvolto tutti i principali mercati energetici mondiali, dal greggio americano al Brent europeo.

Il timore principale degli investitori riguarda una possibile chiusura dello Stretto di Hormuz, un passaggio marittimo fondamentale attraverso cui passa un quinto di tutto il petrolio che viaggia via mare nel mondo. Se l’Iran decidesse di bloccare questo corridoio come ritorsione, secondo gli esperti della banca JPMorgan i prezzi potrebbero schizzare fino a 120 dollari al barile. Tuttavia, gli stessi analisti sottolineano che questo scenario rimane improbabile, dato che lo Stretto non è mai stato chiuso nella storia moderna nonostante le numerose minacce. Le ripercussioni dell’escalation non si limitano, però, al petrolio. Anche il gas naturale rischia di essere coinvolto, dato che il Qatar, uno dei principali esportatori mondiali di gas liquefatto, dipende dallo stesso Stretto di Hormuz per spedire i suoi prodotti verso l’Europa e l’Asia.

Ma le conseguenze dell’attacco di Israele all’Iran più ampie riguardano l’effetto domino sull’economia globale. La Cina, seconda economia mondiale, acquista dall’Iran circa 1,5 milioni di barili di petrolio al giorno a prezzi scontati. Se queste forniture dovessero interrompersi, Pechino sarebbe costretta a comprare petrolio più costoso da altri fornitori. Questo si tradurrebbe in costi di produzione più alti per le fabbriche cinesi, che a loro volta potrebbero aumentare i prezzi dei prodotti che esportano in tutto il mondo.

Il crollo delle borse e la corsa verso gli investimenti sicuri

Quando sui mercati energetici è scattato l’allarme, le borse mondiali hanno reagito con forti vendite. A Wall Street l’indice Dow Jones ha perso oltre 500 punti nelle prime ore di contrattazione, trascinando al ribasso anche gli altri principali indicatori della borsa americana. I titoli delle aziende tecnologiche, che negli ultimi mesi avevano trainato la crescita dei mercati, sono stati tra i più colpiti dalle vendite. La paura si è rapidamente diffusa anche nelle altre borse del mondo. In Asia, Tokyo ha chiuso con un calo dello 0,89%, Seoul ha perso lo 0,87% e Hong Kong si è fermata con una perdita dello 0,59%. Anche le borse cinesi hanno accusato il colpo, mentre in Europa tutte le principali piazze finanziarie hanno aperto in forte ribasso. Questo fenomeno è tipico quando gli investitori temono che una crisi geopolitica possa danneggiare l’economia globale.

Di fronte all’incertezza, molti investitori hanno spostato i loro soldi verso quello che nel mondo finanziario vengono chiamati “beni rifugio”, cioè investimenti considerati più sicuri durante le crisi. L’oro, da sempre considerato un porto sicuro nei momenti difficili, ha raggiunto nuovi record storici. Anche alcune valute storicamente stabili, come il franco svizzero e lo yen giapponese, si sono rafforzate. I titoli di stato giapponesi hanno visto aumentare la domanda, segno che gli investitori li stanno comprando come forma di protezione. Le criptovalute, invece, hanno mostrato il loro lato più rischioso: nonostante il Bitcoin sia spesso definito “oro digitale” e considerato da alcuni un bene rifugio, durante questa crisi ha perso oltre il 3% del suo valore, comportandosi più come un investimento speculativo che come una protezione dalla volatilità.



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Scritto da Flavio Perrone, consulente informatico e appassionato di tecnologia e lifestyle. Con una carriera che abbraccia più di tre decenni, Flavio offre una prospettiva unica e informata su come la tecnologia può migliorare la nostra vita quotidiana.

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