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sabato, Mar 13

Auto elettriche, la Cina punta all’Europa



Da Wired.it :

Le case automobilistiche del Dragone investono in impianti, ricerca e ora anche vendite di veicoli elettrici o ibridi nel vecchio continente, che nel 2020 ha visto esplodere gli acquisti

La vista dalla trequarti posteriore della NIO x Razer ES6 Night Explorer

All’inizio di febbraio Faw, un gruppo automobilistico cinese partecipato dal governo, ha confermato di voler costruire in Emilia Romagna la sua prima fabbrica di auto elettriche all’estero. Tra Modena e Bologna, in quei duecento chilometri che hanno messo su strada alcune delle aziende di motori più famose al mondo, da Ferrari a Ducati, da Dallara a Lamborghini, da Maserati a Pagani, Faw in tandem con la startup sino-americana Silk-Ev investirà un miliardo di euro nell’impianto. Jonathan Krane, presidente di Silk-Ev, ha precisato che la fabbrica produrrà auto elettriche e plug-in di alta gamma, “che rappresentano quelle in più rapida crescita nel mercato mondiale”, sia per il mercato cinese sia per quello europeo.

Nel 2020 il vecchio continente ha sorpassato il Dragone per vendite di veicoli elettrici o ibridi, stando ai dati preliminari degli specialisti del settore di Ev-volumes. In un mercato che, a causa del Covid-19, ha visto calare del 20% il giro d’affari, le immatricolazioni di auto elettriche e ibride plug-in hanno raggiunto quota 1,39 milioni, +137% rispetto al 2019. Circa sessantamila in più di quelle vendute in Cina, che da cinque anni era capolista imbattuta. L’associazione delle case automobilistiche europee, Acea, calcola che nel 2020 i mezzi elettrici e ibridi hanno raggiunto, rispettivamente, il 10,5% e l’11,9% del parco veicoli del vecchio continente. Solo dodici mesi prima erano fermi al 3% e al 5,7%.

Tutti i produttori di auto europei hanno annunciato piani per l’elettrificazione. Stellantis, nata dalla fusione tra Fiat-Chrysler e Psa, adotta una piattaforma che consente di produrre veicoli termici ed elettrici. Volkswagen ha messo sul piatto 73 miliardi. La sola Audi ha un piano al 2025 da 17 miliardi. I dati dell’osservatorio europeo per i carburanti alternativi mostrano che, con il 10,7% del totale, è la Renault Zoe l’auto elettrica più venduta del 2020, seguita dalla Tesla Model 3 (5,2%).

La campagna d’Europa

Il vecchio continente fa gola. Dagli Stati Uniti è approdato Elon Musk, che alle porte di Berlino sta costruendo il primo impianto europeo. Ma, come dimostra Faw, anche i produttori cinesi stanno scendendo in campo. Geely, multinazionale di Hangzhou che nel 2010 ha acquistato Volvo, conta presto di affiancare in Europa le auto elettriche di Volvo e della controllata Polestar un terzo marchio, Lynk & Co, che, pur essendo nato in Svezia, finora era stato destinato al mercato cinese, dove ha venduto circa 400mila veicoli. “Per l’Europa stiamo esplorando nuovi modelli di business, come la vendita diretta al consumatore – spiega un portavoce di Geely a Wired -. Lynk & Co si sta già espandendo rapidamente sul mercato con experience store ad Amsterdam e Gothenburg e altri sono stati pianificati”.

Tutti i produttori cinesi stanno muovendo le loro pedine verso l’Europa. A febbraio Xpeng ha spedito 209 auto elettriche in Norvegia, “che è il paese capofila per penetrazione delle auto elettriche”, commenta Philippe Vangeel, segretario generale dell’associazione europea della mobilità elettrica (Avere). William Li, amministratore delegato della cinese Nio, ha indicato il 2021 come l’anno in cui vuole sbarcare in Europa con le sue quattro ruote a batteria. Byd, sede nella città dell’esercito di terracotta, Xi’an, ha già piazzato circa 1.400 bus elettrici nei paesi del vecchio continente. Svolt, branca del colosso dell’auto Great Wall Motors, investirà due miliardi di euro nella sua prima fabbrica di batterie in Germania, dove già nel 2019 è approdata dal Fuzhou Catl, specializzata in batterie agli ioni di litio.

Più vendite nel vecchio continente

Ciò che rende l’Europa un mercato ghiotto sono le ambiziose politiche della Commissione. Nel suo piano per la transizione ecologica, lo European green deal, Bruxelles si pone l’obiettivo di “arrivare a un milione di punti di ricarica e 13 milioni di veicoli a basse o zero emissioni per strada”, riassume Vangeel. La combinazione di piani comunitari, incentivi locali e “aumento dell’offerta”, prosegue Vangeel, “passata dai 5-10 modelli di pochi anni fa ai quasi 50 della fine dell’anno scorso” spiegano il balzo delle vendite tra 2019 e 2020.

Per la Cina questa situazione offre molto opportunità. Da un lato, osserva il segretario di Avere, Pechino “ha rallentato i suoi sussidi per l’acquisto di auto elettriche” e questo potrebbe mettere in difficoltà le startup più giovani. Dall’altro l’Europa ha alzato l’asticella del taglio delle emissioni.Vuole arrivare al -37,5% entro il 2030”, fatto cento il livello al 2020, dice Vangeel, ma la produzione delle case automobilistiche tradizionali è ancora limitata “e la domanda più alta dell’offerta”.

Secondo Davide Di Domenico, direttore generale e partner di Boston consulting group (Bcg), l’Europa è “sì appetibile”, ma anche “costosa e complessa e i nuovi entranti fanno fatica”. Questo perché è “frammentata in tanti mercati: Spagna, Germania, Francia, si vende in modo diverso, ed è complessa dal punto di vista regolatorio”. Anche l’offerta si farà più corposa, creando un nuovo fattore di sfida: Bcg calcola che raggiungerà cento modelli nel 2022. In linea di massima, una buona strategia, secondo Di Domenico, “sarebbe attaccare prima i paesi del nord Europa, che hanno forti e stabili incentivi, e poi passare all’Europa continentale e del sud”. La Cina si presenta con startup “che sono avanti o allo stesso punto di quelle statunitensi e con un mercato interno digitalmente avanzato e consumatori pronti a questo cambiamento”, commenta l’esperto.

Rotta inversa

Per questo l’Europa, almeno in una prima fase, potrebbe servire per risciacquare i panni dei propri marchi e collocarli una fascia alta di prezzo. Faw e Silk-Ev, per esempio, puntano al design italiano della Motor valley emiliana per la nuova gamma che sveleranno a Shanghai ad aprile. Changan ha fatto dell’Europa il suo centro di ricerca e sviluppo. A Torino ha reclutato 200 persone, in un impianto di 12.500 metri quadri, che lavorano su design, esperienza e interfaccia utente, progettazione di modelli dalla a alla z. “Il centro di Torino fornisce servizi di design completo per molti prototipi di ricerca e nuovi modelli della gamma di produzione Changan e ha dato un contributo eccezionale a vari successi del marchio nel mercato automobilistico globale”, dicono dall’azienda. Tra le frontiere di ricerca, anche i mezzi ibridi, elettrici e sistemi di guida autonoma.

Tuttavia, pur con team in Germania, Francia e Finlandia, oltre che in Changan non ha finora investito nelle vendite in Europa (due milioni i veicoli venduti nel 2020). “Abbiamo esplorato opportunità e modi per entrare nel mercato europeo e siamo fiduciosi che questo avverrà in un futuro non troppo lontano”, la risposta a Wired.

Per Di Domenico in questa fase è più semplice puntare sull’alta gamma per il mercato interno, vantando un design made in Europe. Quello che potrebbe rompere gli equilibri, aggiunge, “è un’auto di bassa gamma. Ci sta pensando Tesla, che sulle parti critiche ha sviluppato soluzioni innovative e si trova cinque anni avanti dal punto di vista tecnologico, e ci stanno pensando i cinesi”. Altra variabile sono le flotte aziendali, sempre più orientate ad auto ibride ed elettriche. In Europa, stando a Bloomberg, sei veicoli elettrici ogni dieci sono destinati a rimpolpare il parco auto delle aziende, che stanno premiando i produttori tradizionali a dispetto di Tesla per la capillarità dei servizi di assistenza. Infine pesa la scarsa produzione di chip, che per il 12% circa viene assorbita dall’industria dell’auto. Nio, per esempio, ha dovuto rassicurare i suoi investitori di averne abbastanza per coprire la produzione del primo semestre dell’anno.

L’espansionismo del Dragone

Non solo. Negli anni scorsi gli stessi produttori europei, come emerge da un’analisi del centro studi Mercator institute for China studies (Merics), hanno spostato in Cina i centri di ricerca sull’auto elettrica, per stare più vicini al mercato più vivace in termini di vendite (almeno fino al 2020) e recuperare terreno nello sviluppo di nuovi veicoli. Dal 2018 si contano 41 progetti di collaborazione tra case automobilistiche europee e gruppi cinesi, tra cui i colossi tecnologici Baidu, Huawei e Tencent. Il Merics si attende che ora si presenti il conto: “Le aziende tecnologiche cinesi saranno sempre più in grado di esportare i loro standard fornendoli dietro il pagamento di royalties” e “un futuro problema per l’Europa potrebbe riguardare l’uso di veicoli basati su piattaforme tecnologiche cinesi”. Il pericolo, insomma, è che ora le chiavi dell’innovazione siano strette saldamente da Pechino.

Questo non è solo un vantaggio in termini di progettazione e modelli, ma anche a livello strategico. Le case automobilistiche cinesi hanno più conoscenza per aggredire il mercato e, all’occorrenza, inglobare qualche concorrente o espandersi in settori ritenuti appetibili. È il caso della partita per l’Iveco. Proprio Faw sta corteggiando Cnh Industrial, a sua volta sotto l’ombrello della Exor della famiglia Agnelli, per la cessione del marchio. Una prima offerta da 3 miliardi di euro è stata rispedita al mittente perché considerata troppo bassa. Ma i cinesi non demordono: sono interessati alla ricerca su elettrificazione e idrogeno per i veicoli commerciali e agli stabilimenti della Iveco di Brescia e Suzzara, nel Mantovano. Nel primo sono impiegati 2.200 lavoratori sulle linee dell’Eurocargo, nel secondo 1.680 per il Daily. Il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, non ha escluso di voler utilizzare il veto speciale concesso al governo su aziende considerate strategiche, il cosidetto golden power, per regolare l’operazione.

Ricaricare la rete

Il coronavirus ha rimescolato le carte del mondo delle quattro ruote. Bcg calcola che Europa e Stati Uniti non recupereranno prima del 2023 i livelli di produzione pre-pandemia. La Cina, al contrario, sta accelerando verso il traguardo dei 30 milioni di veicoli al 2025. Un rafforzamento che potrebbe spingere l’espansione in altri mercati e garantirle il primato nel settore della mobilità elettrica.

Già oggi è un laboratorio avanzato rispetto alla situazione in occidente. Tanto che lo scorso novembre Enel X, il braccio innovativo della compagnia energetica, ha aperto un ufficio a Shanghai dedicato al settore dei trasporti elettrici. “Siamo un player mondiale nel campo dell’elettrificazione della mobilità, dai punti di ricarica ai servizi connessi – spiega Alberto Piglia, a capo della divisione e-mobility di Enel X – per questo siamo voluti entrare nel più grande mercato al mondo dell’auto elettrica”. L’obiettivo è esportare “le infrastrutture intelligenti di ricarica per i clienti privati e capire se abbiamo un vantaggio competitivo”, aggiunge.

Per ora i primi segnali sono incoraggianti e ci sono stati contatti con diverse case automobilistiche. Nei prossimi mesi entrerà nel vivo un accordo con Weltmeister, marchio dal nome tedesco ma di proprietà della Wm motor di Shanghai, per spingere l’export attraverso la creazione di reti di ricarica. Dalla Cina Enel X si guarda intorno. Ha già messo piede a Singapore e stretto accordi in India. D’altronde in tutta l’Asia c’è grande fermento intorno all’auto elettrica. La società di consulenza Inkwood research stima un tasso di crescita annuale delle vendite del 21% fino al 2028. L’Europa dovrà scrollarsi di dosso velocemente il motore a scoppio se vuole mantenere il passo.

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[Fonte Wired.it]