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venerdì, Apr 21

Beau ha paura piacerà ai fan di Ari Aster e solo a loro | Wired Italia



Da Wired.it :

Un film eccessivo per un regista sopravvalutato

Alla fine, mentre guardiamo uno dei migliori attori della sua generazione andarsene in giro con uno sguardo semplicemente irricevibile, tra amplessi mortali e peni alieni, ci rendiamo conto di una semplice verità: Ari Aster è sopravvalutato. I suoi film sono potenti, ma non sono belli, non sono genuinamente creativi o innovativi. Solo Hereditary era veramente di livello, ma poi, un po’ come capitato ai nostri d’Innocenzo, è andato a calare per sposare l’effetto fine a se stesso, l’autocelebrazione. Beau ha paura la prima pellicola che mi ha fatto venire in mente è stata proprio America Latina, parimenti vanaglorioso e allo stesso modo inconcludente. Di base prende in prestito da Hardy, Friedkin, fa un cocktail pieno di fumo ma con poca roba interessante, però è furbo e funziona almeno stando al botteghino. Ma non è un vero creatore di film o visioni genuine e che valgono qualcosa di più del necessario disturbo. Perché manca qualcosa che non sia gelidamente studiato, c’è la mera ricerca di una sensazionalità che è semplicemente di maniera, invocata, perseguita con ferocia senza che vi sia un qualcosa da dire.

Beau ha paura, sorta di enciclopedia su tutte le paure più intimamente condivisibili, quella della società, della violenza, dei ragni, della povertà, della solitudine, del sesso e soprattutto della figura materna, è però soprattutto un film della A24. Da casa di distribuzione a casa di produzione, nuova dominatrice che dal Sundance si è appropriata di quello che sarà probabilmente il futuro del cinema: la rinascita del genere. Il successo di Everything Everywhere All At Once all’ultima notte degli Oscar l’ha posta in una posizione di assoluto predominio. Tutto bene? Insomma. A film di valore come the Whale, Pearl o A Sexy Horror Story ha accompagnato anche opere furbette e poco oneste come Men e soprattutto lo spocchioso Cocainorso. Perché esagerare deve essere un mezzo, non un fine e questa supposta rinascita del cinema di genere, anzi di generi, si comincia ad avere l’impressione che sia soprattutto un fregare il pubblico, quel pubblico che dopo quasi vent’anni di cinecomic, chiede di essere scosso. Come? Con emotività grossolana, non raffinata, qualcosa di indefinito e quindi universale, basta che ci si senta intelligenti. Joker ha aperto la strada a questa mentalità.

A24

Come la casa di produzione e distribuzione indipendente newyorkese si è presa le luci della ribalta nello storytelling moderno

Aster non riesce a creare qualcosa di convincente neanche per quello che riguarda la componente comica e il suo alternarsi con quella horror, totalmente squilibrata e senza senso.
Beau ha paura alla fine è un passo falso, gigantesco e potente, ma comunque un passo falso da parte di un regista che rimane comunque dotato di talento, ma che forse è stato spinto fin troppo in alto. Succede sempre più spesso oggi, succede quando si deve colmare un vuoto, quello degli autori, visto che i “vecchi” non sono sopravvissuti al cambiamento del pubblico e del nuovo mercato. Qualcosa di percepibile e chiaro, però poi come con la Zhao, con Coogler, con Waititi, alla fine li si brucia, li si imprigiona dentro un obbligo di riconoscimento che non ha senso se privo di realtà, se mero strumento del nuovo volto dell’industria che deve trionfare perché sì.
I grandi registi sono diventati tali anche sbagliando, negare che qui Aster non abbia sbagliato non è esattamente fargli un favore, è mancanza di onestà. Cosa pensavano quando hanno avallato questa sceneggiatura?

Beau ha paura è il perfetto esempio di un cinema egoista, senza freni, senza limiti, ma anche senza uno scopo che non sia quello di guardarsi allo specchio e dirsi che si è bravi.
Per carità, notevoli le scenografie, Pawel Pogorzelski fa miracoli alla fotografia, molto interessante l’uso simbolico che si fa degli elementi, dell’acqua in particolare, qui nella duplice funzione di portatrice di vita e di morte. Ma finita lì, tutto è monco, strozzato, vittima di un overwriting impietoso. Si può anche scorgere una critica fino ad un certo punto riuscita alla società americana, al suo classismo, al nuovo feudalismo, che pone il potere davanti a tutto e chiunque lo detenga al di sopra della legge della morale. La violenza traspare ed inghiotte tutto, il focolare domestico è una trappola, il culto dei morti è un macabro rituale che si ripete all’infinito. Ma dov’è lo spavento? Non era un film dell’orrore questo? Dovremmo ridere per un paio di battute messe in mezzo così, de botto, senza senso? Davvero meritiamo tutto questo? Che ti abbiamo fatto di male Aster?



[Fonte Wired.it]