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venerdì, Feb 28

Benvenuti nell’era dello spillover, in cui i virus vanno alla conquista dell’uomo



Da Wired.it :

Prima del coronavirus, un libro aveva raccontato i virus che fanno “salti di specie”, con cui siamo destinati a una convivenza sempre più difficile: Spillover, di David Quammen

Pubblichiamo un estratto da Leggere la terra e il cielo. Letteratura scientifica per non scienziati (Laterza), il libro di Francesco Guglieri dedicato alle opere e ai divulgatori che hanno raccontato in senso letterario la complessità dei fenomeni umani e scientifici.

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Ed ecco, mi apparve un cavallo verde. Colui che lo cavalcava si chiamava Morte e gli veniva dietro l’Inferno. Fu dato loro potere sopra la quarta parte della terra per sterminare con la spada, con la fame, con la peste e con le fiere della terra”. Spillover di David Quammen si apre con una citazione dall’Apocalisse (6,8): la discesa sulla terra dei cavalieri che portano guerra, carestia e, l’ultimo, su un cavallo verdastro come un cadavere, pestilenza: dopo di lui – l’unico indicato con un nome, Morte – segue l’Inferno. Come a dire che dopo la pestilenza non resta che il lucore plumbeo delle fiamme dell’inferno. E in effetti Spillover ha qualcosa di apocalittico: l’argomento di cui tratta va inevitabilmente a toccare le zone profonde della nostra psiche, quelle più arcaiche, premoderne, forse anche pre-umane: il terrore del contagio.

Spillover si può leggere come un sottogenere particolare dei libri di scienza: il nature writing. Genere particolarissimo, a metà tra l’esplorazione naturalistica e l’indagine letteraria, in cui il racconto di un paesaggio o di un animale o di una regione, insomma della natura, viene indagato in tutti i suoi prismatici aspetti, da quello scientifico a quello storico-culturale, da quello sociale a quello individuale, ad esempio l’esperienza concreta dell’autore con questo paesaggio o quell’animale. Sono stati scritti libri bellissimi così, come Leviatano di Philip Hoare, sulle balene; o Io e Mabel di Helen Macdonald, sull’astore. Bene. Anche Spillover, volendo, lo si può vedere così: solo che gli animali che racconta sono miliardi e microscopici. Spillover è un nature writing su virus e batteri.

È noto che il 60% delle malattie che affliggono gli esseri umani ha origine animale, dall’influenza alla peste bubbonica. Scambi di batteri e virus tra umani e altre specie ci sono sempre stati, soprattutto da quando Homo sapiens ha messo in cattività altri animali. Quello che però sta cambiando è questo: la trasformazione radicale degli ecosistemi ha aumentato esponenzialmente i casi in cui un virus fa un salto di specie, in gergo tecnico uno spillover.

Quando ci fu questo balzo di scala, questo aumento strutturale delle malattie di origine zoonotica? Impossibile scegliere una data precisa, o un singolo evento, sarebbe una forzatura: ma un buon candidato potrebbe essere la comparsa del virus Machupo tra le popolazioni boliviane tra il 1959 e il 1963. All’inizio non si chiamava così, anzi non si accorsero nemmeno che aveva colpito: la prima volta passò quasi inosservato – la febbre molto alta ma non fatale di un contadino – ma nel giro di tre anni si presentò in altri 245 casi, per il 40% mortali. I locali lo chiamavano tifo negro, cioè tifo nero, perché di questo colore erano il vomito e le feci liquide. “Continuò a uccidere le sue vittime fino a quando il virus fu isolato, l’ospite serbatoio identificato e le dinamiche di trasmissione comprese”: comprese abbastanza per progettare misure di prevenzione (in questo caso, la cattura sistematica dei topi). 

Ma in un elenco dei momenti più drammatici della diffusione di malattie contagiose bisognerebbe ricordare molti altri episodi, tra cui la comparsa di Ebola nel 1976, dell’Hiv-1 nel 1981, dell’Hiv-2 nel 1986, fino alla Sars nel 2003 e all’influenza suina nel 2009. “Che sia chiaro da subito”, sottolinea Quammen, “c’è una correlazione tra queste malattie che saltano fuori una dopo l’altra, e non si tratta di meri accidenti ma di conseguenze non volute di nostre azioni”. L’aumento di nuovi virus che vengono scoperti perché infettano gli esseri umani provocando migliaia, in alcuni casi milioni, di morti è “lo specchio di due crisi planetarie convergenti: una ecologica e una sanitaria”. La devastazione ambientale portata avanti dalla nostra specie sta creando nuove occasioni di contatto con soggetti patogeni; inoltre il nostro stile di vita, i modelli sociali e di consumo della tarda modernità fanno sì che la diffusione delle malattie infettive sia ancora più veloce ed esplosiva di prima. 

La “disintegrazione” di interi ecosistemi da parte dell’uomo ha le caratteristiche del cataclisma: deforestazione, aumento del terreno destinato all’agricoltura, costruzione di strade e altre infrastrutture, inquinamento dei mari e dell’atmosfera, sfruttamento insostenibile delle risorse ittiche, urbanizzazione di massa, cambiamento climatico e molti altri elementi non fanno che sbriciolare interi ecosistemi. In questi ecosistemi, ad esempio nelle foreste tropicali, esistono milioni di specie, in gran parte sconosciute alla scienza moderna. “Tra questi milioni di specie ignote ci sono virus, batteri, funghi, protisti e altri organismi, molti dei quali parassiti”. Gli specialisti usano il termine virosfera per identificare un gruppo di esseri viventi la cui estensione, probabilmente, fa impallidire qualsiasi altro gruppo. Una volta che distruggiamo la sua casa, al parassita non resta che una scelta: trovarne una nuova (adattandosi e mutando: e i virus il cui genoma consiste di Rna e non di Dna sono più soggetti a mutazioni) o estinguersi.

 “Se osserviamo il pianeta dal punto di vista di un virus affamato o di un batterio, vediamo un meraviglioso banchetto con miliardi di corpi umani disponibili, che fino a poco tempo fa erano circa la metà di adesso, perché in venticinque-ventisette anni siamo raddoppiati di numero. Siamo un eccellente bersaglio per tutti gli organismi in grado di adattarsi quel che basta per invaderci”. Le malattie di origine zoonotica sono anche molto più difficili da debellare perché non basta, quando c’è, un vaccino o una profilassi: i virus possono nascondersi fuori dall’uomo, prosperare presso una specie animale e tornare mutati dopo molto tempo, dopo essere stati dimenticati.

Quammen procede con la perizia dell’investigatore, ricostruisce le vicende che hanno portato alla diffusione delle malattie con una precisione che ha qualcosa di vertiginoso: ad esempio, è probabile che l’uccisione di un gorilla all’inizio del Novecento nel Camerun sudorientale da parte di un cacciatore abbia determinato lo spillover del virus all’origine della malattia in seguito chiamata Aids, che più tardi si sarebbe diffusa nel Congo belga durante gli anni Cinquanta per l’uso a scopo vaccinale di aghi non sterili, e un decennio dopo sarebbe passata a Haiti, stimolata da scarsi controlli profilattici nelle donazioni di sangue a scopo di lucro della popolazione impoverita, e dopo ancora, negli anni Ottanta, nella comunità omosessuale americana e poi globale.

Come un effetto domino che diventa sempre più distruttivo. Ma ricostruendone la storia – o meglio: raccontando gli sforzi dei medici e degli scienziati che lo fanno, al fine di isolare gli elementi patogeni – Quammen ci ricorda una cosa che in una realtà così complessa e interconnessa spesso dimentichiamo: tutto ha un’origine, per quanto remota, misteriosa, trascurata, e possiamo risalire ad essa.

Le malattie infettive sono dappertutto. Viviamo e ci muoviamo avviluppati in una rete fatta di virus e batteri che uniscono, ci connettono l’uno all’altro: “Rappresentano una sorta di collante naturale, che lega un individuo all’altro e una specie all’altra all’interno di quelle complessi rete biofisiche che chiamiamo ecosistemi”. Del resto, le infezioni hanno qualcosa in comune con la predazione: così come un predatore consuma la sua preda, per così dire, dall’esterno, gli agenti patogeni sono bestie assai più piccole che divorano le loro prede dall’interno.

Quammen, che non è uno scienziato ma uno scrittore e un giornalista, racconta tutto questo attraverso le storie concrete di alcuni casi di spillover dedicando un capitolo a ognuno di essi: si passa così dal Congo al Bangladesh, dalla Cina meridionale all’Australia. Egli spesso si reca sui luoghi dove sono iniziate le infezioni, intervista veterinari, biologi, medici, ricercatori, ripercorre la storia dei virus e ne smonta i miti scrivendo quello che è anche uno straordinario libro di avventure horror: sì, perché la zona oscura e profonda che le paure di Spillover vanno a toccare è quella che sfiora la nostra stessa idea di identità, di individui separati, singoli e singolari.

Spillover fa paura perché è un racconto apocalittico: quello che racconta non è solo la fine del mondo (gli epidemiologi lo chiamano Next Big One: il prossimo virus zoonotico in grado di diffondersi e infettare su scala planetaria), ma anche la nostra fine, come individui e come specie: “Guardandole da lontano, tutte insieme, queste malattie sembrano confermare l’antica verità darwiniana (la più sinistra tra quelle da lui enunciate, ben nota eppure sistematicamente dimenticata): siamo davvero una specie animale, legata in modo indissolubile alle altre, nelle nostre origini, nella nostra evoluzione, in salute e in malattia”.

© 2020, Gius. Laterza & Figli

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[Fonte Wired.it]