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giovedì, Ago 01

Bio-on Quintessential, cosa sappiamo della bioplastica


L’accusa: tecnologia vecchia e troppo cara. Gli esperti: inizia ora l’applicazione sul mercato. Il punto sui costi dei Pha. La ricostruzione di Wired anche sui rapporti con Banca Finnat e le creme di Unilever

Lo stabilimento di Bio-on a Bologna (foto: Bio-on)
Lo stabilimento di Bio-on a Bologna (foto: Bio-on)

Continua il muro contro muro tra Bio-on, startup bolognese della bioplastica, e il fondo statunitense Quintessential capital management, che l’ha accusata di irregolarità e di un business inesistente. Il titolo dell’azienda italiana, quotata all’Aim (il listino delle piccole imprese), ha recuperato terreno, benché la capitalizzazione si sia dimezzata rispetto al miliardo circa a cui viaggiava prima che il fondo di New York pubblicasse le sue contestazioni (il 31 luglio, a chiusura di mercato, vale 548 milioni).

Per Quintessential la contabilità sarebbe fasulla, le imprese controllate o in joint venture sarebbero “scatole vuote” e altre aziende, anche multinazionali, avrebbero sventolato bandiera bianca dopo i tentativi di produrre lo stesso tipo di bioplastiche. Il fondo ha dichiarato un interesse economico nella discesa del prezzo delle azioni.

Bio-on ha respinto le accuse. La società, fondata nel 2007 da Marco Astorri e Guido “Guy” Cicognani”, sviluppa tecnologie nel settore delle bioplastiche da polimeri poliidrossialcanoati (Pha). Il suo modello di business consiste nel brevettare delle applicazioni in ambito industriale, che poi rivende ad altre società, di cui è socia di maggioranza o in joint venture, per sperimentare la commercializzazione e incassare le royalties.

Quintessential ha messo nel mirino sia lo schema del business di Bio-on sia le sue innovazioni. La produzione di Pha, si legge nel rapporto, “è stata tentata da diversi gruppi industriali in passato, molti dei quali con risorse finanziarie, tecnologiche e scientifiche ben superiori” a Bio-on, come Zeneca, Monsanto o Metabolix, ma senza successo, specie “per la difficoltà di trovare domanda per una plastica che risulta sensibilmente più cara di quella tradizionale”.

Dopo aver effettuato una disamina della struttura societaria di Bio-on, dell’operatività del suo impianto di produzione a Castel San Pietro Terme (nel Bolognese) e dell’avanzamento dei progetti di collaborazione, Wired ha raccolto dati e pareri sull’industria delle bioplastiche, per inquadrare il business della startup bolognese.
E ha ottenuto anche informazioni aggiuntive sui rapporti con Banca Finnat, l’istituto che ha accompagnato Bio-on alla quotazione, ma il cui ultimo studio sul target price del titolo, fissato a 86 euro mentre il giorno prima viaggiava a 53,6 euro, non menzionava il fatto che fosse entrata in affari con l’assistita come socia di minoranza in due società, Liphe e Aldia, per sviluppare le applicazioni cosmetiche in partnership con Unilever. Proprio l’accordo che ha convinto gli analisti ad alzare le stime.

(Foto: courtesy of Bio-on)
(Foto: courtesy of Bio-on)

Cosa sono i Pha

Quintessential contesta che la tecnologia di Bio-on sia vecchia, perché i poliidrossialcanoati sono noti dal 1926. Ma lo ha ribadito più volte la stessa startup, per esempio in un articolo di Wired del 2011, così com’è risaputo tra ricercatori e industria. “È un settore maturo. La ricerca è ben avviata e consolidata, è partita negli anni Ottanta”, ricorda Roberto Frassine, ordinario di materiali polimerici e compositi al Politecnico di Milano: “Ora ci si concentra sul campo applicativo e su come modificare i polimeri per renderli applicabili”.

È vero, come dice Quintessential, che in passato i Pha siano stati studiati da alcune multinazionali senza successo. Frassine cita l’esempio di Monsanto, che ha lavorato a questi polimeri “senza dare seguito”. Ma per il docente c’è un motivo: “Le sintesi dei batteri sono poco in linea con l’economia imperante del processo continuo. Occorre aspettare e c’è una complicazione intrinseca: essendo una sostanza vivente è soggetta a vari fattori e rende difficile il controllo qualità”.

Negli ultimi tempi, tuttavia, la guerra dichiarata alla plastica, con il corollario di leggi e regole per limitarla, hanno dato nuovo slancio ai polimeri a base biologica. “Le norme che forzano le aziende ad avere una percentuale di produzione bio-based faranno in modo che molte società dedichino parte della loro produzione a questi prodotti”, riconosce Paola Branduardi, docente di fermentazione e microbiologia industriale all’università Bicocca di Milano.

I tempi, insomma, potrebbero essere maturi proprio adesso per effetto del combinato disposto di maggiore attenzione all’ambiente da parte dei consumatori, scienza più avanzata e regole. Lo riconosce anche Frassine: il fatto che il Pha “non abbia trovato finora grandi sviluppi produttivi e applicativi può essere dipeso dalle sue caratteristiche intrinseche e dalle condizioni di mercato, fattori che però possono cambiare nel tempo in base agli sviluppi della tecnologia e della ricerca e alla percezione dei consumatori”.

Le creme di Bio-on per Unilever (foto: My Kai)
Le creme di Bio-on per Unilever (foto: My Kai)

Come usare questi polimeri

In quest’ottica i Pha “stanno finalmente entrando nel mercato a un livello commerciale”, fa sapere a Wired una portavoce di European bioplastics (organizzazione delle aziende del settore), “con una capacità di produzione che si stima quadruplicherà nei prossimi cinque anni”. Le applicazioni più promettenti per i Pha sono nelle industrie del packaging, dell’agricoltura, dei cosmesi e del biomedicale. “I Pha stanno entrando sia in mercati di basso valore, ma di alto volume, sia in mercato di basso volume, ma di alto valore”, si legge in un rapporto del 2018 di Cambridge Consultants, società di consulenza del gruppo Altran.

Tutte le bioplastiche hanno le loro nicchie di applicazione”, commenta Paolo Pavan, ordinario di impianti chimici all’università Ca’ Foscari di Venezia. Cosmetica e biomedicale, per esempio, “sono nicchie con un margine alto – osserva Branduardi -. Pertanto sono definite specialties”.

La produzione di bioplastiche nel mondo (European Bioplastics)
La produzione di bioplastiche nel mondo (European Bioplastics)

Quanto costano i Pha?

Una delle contestazioni di Quintessential alla tecnologia di Bio-on riguarda i costi di sviluppo: sarebbero di 44 euro al chilo, un prezzo su cui l’azienda non si è mai espressa. Secondo il fondo queste stime metterebbero la startup fuori dal mercato, perché sarebbero di 15 volte superiori a quelli dei concorrenti, come Novamont. Interpellata da Wired, Novamont non ha confermato questi numeri, mentre Bio-on nei suoi comunicati ha ritenuto sbagliato comparare i suoi costi a quelli di aziende che operano in altri settori.

C’è però un dato di cui tenere conto. Nel 2018 l’agenzia stampa Adnkronos scrive del lancio di Celus Bi, una linea di bioplastiche sviluppata da Novamont per l’industria dei cosmesi. È lo stesso campo in cui si inseriscono i primi polimeri commercializzati da Bio-on, quelli per le creme solari My Kay con Unilever. Per l’agenzia il prezzo al chilo si aggira tra 40 e 100 euro. Lo stesso che Quintessential attribuisce a Bio-on.

I 2,3 euro al chilo attribuiti al colosso piemontese dal fondo tengono conto dei prezzi più accessibili del Mater Bi, la bioplastica da cui si ricavano i sacchetti biodegradabili del supermercato. Tutt’altro mercato, rispetto alla cosmesi. Tant’è che Novamont, che domina in questo ambito, ha dichiarato a Wired di non reputare Bio-on un concorrente.

Questo è un mercato con alte variabilità. Partiamo da 1 euro circa al chilo per la plastica da polimeri di massa, quelli fossili”, spiega Frassine: “Con i tecnopolimeri si arriva a 4/5 euro al chilo. Il Mater Bi si trova in un mercato artificiale, dettato dalla normativa”, che ha imposto l’adozione dei sacchetti di bioplastica.

La produzione di bioplastiche nel mondo (European Bioplastics)
La produzione di bioplastiche nel mondo (European Bioplastics)

I costi di produzione sono una delle variabili più critiche di questo mercato. I Pha sono prodotti della fermentazione batterica. E si possono ottenere dando da mangiare ai batteri diversi alimenti: da scarti agricoli ai rifiuti organici, come fa il progetto Res Urbis di cui fa parte Pavan, fino ai reflui dei caseifici, di cui si occupa il progetto Biocosì dell’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico (Enea). “Con i Pha occorre considerare che circa il 50% di quello che gli do da mangiare non va nel polimero e questo alza i costi – osserva Branduardi -. Mentre in fase downstream è un costo rompere le cellule, separarle e purificare le molecole”. E aggiunge: “In letteratura i costi oscillano tra 5 e 10 euro, perciò si va verso mercati in cui possano essere ammortizzati”.

L’alternativa è tagliare i costi alla fonte. Ossia sulla pappa dei batteri. Il consorzio Res Urbis, guidato dal professor Mauro Maione dell’università La Sapienza di Roma, sfrutta rifiuti organici. “L’obiettivo dell’Europa è veicolare il carbonio dagli scarti in matrici e materiali ad alto valore aggiunto, dove fissarlo e rallentarne il rilascio”, spiega Pavan. Il progetto, finanziato con fondi comunitari Horizon 2020, e di cui fanno parte gli atenei di Verona, Venezia e Bologna, nonché piccole startup e organizzazioni europee, “è al livello 6, con un impianto pilota a Treviso. Siamo pronti ad andare a un livello demo”. Con costi stimati, per ora, di 4-5 euro al chilo.

Anche il progetto Biocosì dell’Enea punta a tagliare i costi sfruttando gli scarti. “Se recuperiamo la materia prima a costo zero, il cui smaltimento per i caseifici è un costo, abbiamo una riduzione del prezzo dei Pha in commercio”, spiega Valerio Miceli, ricercatore alla divisione biotecnologie e agroindustria. Anche il loro impianto, in Puglia, è in fase pilota.

D’altronde, spiega Miceli, “la sostituzione delle plastiche di origine fossile con quelle bio non è semplice, perché le prime sono molto performanti”. Più in generale, per Frassine “è importante conoscere le miscele che compongono i polimeri, per sapere analiticamente come degrada”. E questo vale per tutte le aziende sul mercato visto che, per esempio, Quintessential ha segnalato l’offerta di bioplastiche a prezzi tra 1,5 e 5,5 dollari al chilo su Alibaba. C’è, insomma, un’offerta di costi che dalla pura commodity al prodotto speciale di alta gamma. A determinare il prezzo finale concorrono elementi come il tipo di batteri, il cibo con cui sono foraggiati, la struttura di monomeri e polimeri che vengono sviluppati (di base, i batteri non sono ingegnerizzati per produrre una sola molecola), le miscele finali e i mercati di applicazione.

La produzione di bioplastiche nel mondo (European Bioplastics)
La produzione di bioplastiche nel mondo (European Bioplastics)

Mercato in crescita

Certo è, come riconosce una fonte che ha richiesto l’anonimato, che “la competizione nel settore è forte”. European Bioplastics ha stimato che nel 2018 la produzione globale di bioplastiche è stata di 2,11 milioni di tonnellate. Di questi, i Pha rappresentavano l’1,4%. Entro il 2023 stima di toccare i 2,62 milioni di tonnellate, con i Pha al 4,5%.

Secondo l’associazione, stando ai dati di Cambridge Consultants, in Europa ci sono quattro aziende nel campo dei poliidrossialcanoati: Bio-on, per l’appunto, poi Biomer, Bioplastech e Kaneka. A livello mondiale si contano anche Newlight Technologies, Danimer Scientific, Tepha, Ecomann, Tianan Biologic Material, Biocycle, Tianjin Greenbio Materials, Mango Materials, PolyFerm Canada, Full Cycle Bioplastics e Sirim.

Danimer, in particolare, è citata nel rapporto di Quintessential attraverso un’opinione attribuita al management: “La Danimer non considera Bio-on un concorrente serio in applicazioni Pha”. Interpellata da Wired, l’azienda ha spiegato: “Non possediamo nessuna registrazione che possa confermare o negare che un impiegato di Danimer Scientific abbia fatto una dichiarazione su Bio-on. La nostra politica è di non commentare pubblicamente le operazioni dei nostri concorrenti”.

Wired ha anche consultato l’archivio europeo dei brevetti, dove emergono dieci licenze collegate a Bio-on, in aggiunta alle due riscontrate nel database del ministero dello Sviluppo economico, firmate, tra gli altri, da Simone Begotti, il responsabile scientifico; Jian Yu, docente dell’Hawaii natural energy institute; da professori e ricercatori della vicina università di Bologna, tra cui Paola Fabbri, di recente interpellata dalla startup per difendere la tecnologia dell’azienda.

La produzione di bioplastiche nel mondo (European Bioplastics)
La produzione di bioplastiche nel mondo (European Bioplastics)

Il prestito di Banca Finnat

L’ultimo capitolo dell’analisi ritorna a Banca Finnat. L’istituto, nell’ordine, ha accompagnato Bio-on alla quotazione, produce su commissione della startup stessa studi sul prezzo delle sue azioni ed è socia di minoranza di due delle sue partecipate, Aldia e Liphe, coinvolte nello sviluppo di applicazioni cosmetiche con Unilever. Proprio per effetto di quei due progetti il 13 dicembre 2018 gli analisti alzano il prezzo dell’azione a 86 euro, contro i 53,6 a cui viaggiava il 12 dicembre, ma senza mai menzionare che “l’importante partner finanziario” delle due aziende è Banca Finnat stessa.

Quintessential ha anche contestato un prestito dall’istituto a Capsa, la holding in mano ad Astorri e Cicognani che ha la maggioranza di Bio-on. Nel bilancio della società è indicato che a gennaio 2019 si è fatta garante di un fido di 15 milioni a Bio-on. In cambio l’istituto ha chiesto azioni in pegno per 45 milioni di euro, una somma più elevata di quella prestata. Fonti vicine alla banca hanno confermato a Wired il prestito, l’entità della garanzia (stabilita da politiche di Finnat), e che le azioni sono ancora in pegno, nonostante la scadenza fissata al 16 giugno, perché il fido è stato prorogato.

Il rapporto di Banca Finnat su Bio-on
Il rapporto di Banca Finnat su Bio-on

Wired ha contattato ancora Unilever sulla commercializzazione delle creme solari My Kay, primo prodotto sul mercato di Bio-on. La multinazionale ha ribadito che “la partnership è operativa da aprile 2019” e che “la linea è attualmente disponibile su Amazon.it e in saloni di bellezza selezionati”. In aggiunta il marchio di abbigliamento North Sails, che distribuisce le creme nei suoi punti vendita, ha fatto sapere che “sono disponibili in una decina di negozi. Abbiamo ordinato 280 pezzi e al momento ne sono stati venduti 20 pezzi”.

Le partecipate di Bio-on (fonte: report Banca Finnat)
Le partecipate di Bio-on (fonte: report Banca Finnat)

Nel frattempo Bio-on ha ricevuto il sostegno ufficiale dalla Walter Tosto, che sviluppa apparecchi di pressione per l’industria del gas e della petrolchimica e ha fornito alla startup i reattori degli impianti. Il titolare Luca Tosto ha dichiarato di aver investito “una cospicua somma di denaro” nell’azienda. In aggiunta investitori con posizioni lunghe, che hanno anche segnalato tramite i social network fonti aggiuntive per la compilazione di questo articolo, hanno dichiarato di aver mantenuto il loro investimento. Un report avvalora la pratica contabile adottata dall’azienda, anche in merito alle svalutazioni delle partecipazioni.

Sul registro della Consob restano aperte le posizioni corte, che scommettono al ribasso, di settimana scorsa: Cadian capital management, Engadine partners, Ennismore fund management e Think investiments. Wired ricorda che Consob sta monitorando il titolo, anche se quotato all’Aim, che Bio-on ha denunciato il fondo per diffamazione e che la procura di Bologna ha aperto un fascicolo per manipolazione di mercato contro ignoti. Il prossimo banco di prova, salvo nuovi colpi di scena, saranno i conti semestrali attesi entro il 30 settembre.

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