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sabato, Lug 27

Bio-on Quintessential, cosa succede alla startup delle bioplastiche


Il fondo statunitense Quintessential accusa la startup di irregolarità nella contabilità e di non aver venduto nulla, salvo alle sue joint venture. La società respinge le accuse. La ricostruzione di Wired

Lo stabilimento di Bio-on a Bologna (foto: Bio-on)
Lo stabilimento di Bio-on a Bologna (foto: Bio-on)

Soffiano venti di tempesta in Borsa su Bio-on, società bolognese specializzata in bioplastica. Nei giorni scorsi Quintessential capital management, un fondo di investimento di New York, ha diffuso un rapporto in cui accusa l’azienda emiliana, quotata al listino Aim di Borsa italiana (dedicato alle piccole e medie imprese), di essere “una grande bolla, basata su tecnologia improbabile, con fatturato e crediti essenzialmente “simulati” grazie a un network di scatole vuote”. In aggiunta, scrive il fondo, “non ha ancora prodotto né venduto nulla”, “la situazione finanziaria risulta precaria e la contabilità presenta serie irregolarità”.

Nonostante i comunicati con cui respinge le attribuzioni, Bio-on è precipitata in Piazza Affari. Il titolo è passato dai 55 euro di martedì 23 luglio ai 15 di giovedì 25, per rimbalzare a 24 euro venerdì 26; è stato sospeso dalle contrattazioni; e i fondatori, Marco Astorri e Guifo Cicognani, sono intervenuti per frenare il tracollo, acquistando 14mila azioni per un controvalore di 211mila euro.

In pochi giorni sono andati in fumo circa 700 milioni di euro di capitalizzazione, dopo che Bio-on aveva superato il miliardo. Alla chiusura della Borsa, venerdì 26 luglio, valeva circa 300 milioni. Quando ha divulgato il rapporto, il fondo americano ha dichiarato di aver aperto una posizione ribassista sul titolo e di avere “un interesse nella discesa del prezzo”.

Il j’accuse di Quintessential si fonda su cinque, principali argomenti. Primo: il fondo sostiene che finora Bio-on ha ricavi solo dalle sue società controllate, partecipate e in joint venture, alle quali da un lato vende le licenze per la tecnologia sui polimeri poliidrossialcanoati, detti Pha, mentre dall’altro conferisce aumenti di capitale per avviare l’attività. Secondo: i rapporti con Banca Finnat, l’istituto che ha accompagnato alla quotazione il gruppo nel 2014 e che emette analisi sul titolo. La banca ha partecipazioni di minoranza di due partecipate di Bio-on, Liphe spa e Aldia spa, senza che questo venga mai esplicitato né negli studi che firma, né nel bilancio dell’azienda di Bologna. Terzo: costi, volumi di produzione e stato di avanzamento dell’impianto principale di Bio-on a Castel San Pietro Terme, nel Bolognese. Quarto: irregolarità nella contabilità. Quinto: reale efficacia della tecnologia Pha. Wired ha analizzato gli studi del fondo, i documenti di Bio-on e ha contattato aziende e partner industriali per circoscrivere la situazione.

L'andamento del titolo di Bio-on (dal sito di Borsa italiana)
L’andamento del titolo di Bio-on (dal sito di Borsa italiana)

I protagonisti dalla vicenda

Prima di mettere in fila gli elementi raccolti, occorre tracciare un profilo dei due attori. Da un lato c’è Bio-on. La startup, nata nel 2007, si presenta come una intellectual property company, ossia un’azienda che fa ricerca applicata, nello specifico sulla bioplastica, e poi commercializza i suoi brevetti con altre imprese. È guidata dai fondatori, Marco Astorri, presidente e amministratore delegato, e Guido Cicognani, vicepresidente, e sottoposta al controllo della holding Capsa srl, diretta dagli stessi due vertici.

Nell’ottobre 2014 Bio-on si quota e colloca le azioni a 5 euro. Il titolo prende il volo nel 2018, quando in poche settimane passa dai circa 31 euro di fine maggio fino al picco di 71 euro a luglio, portando la capitalizzazione dell’azienda oltre il miliardo di euro.

Bio-on si occupa di bioplastiche: sviluppa tecnologie per produrre Pha da scarti agricoli o sottoprodotti agro-industriali (come canna da zucchero, barbabietola, glicerolo da biodiesel), per sostituire le plastiche in agricoltura, cosmesi, elettronica e packaging. Nel 2011 Wired ha dedicato una copertina a Bio-on, quando la startup stava muovendo i primi passi. Astorri, ex grafico pubblicitario, raccontava che l’ispirazione per trovare un sostituto della plastica era arrivata dagli skipass abbandonati, quando con Cicognani guidava un’azienda che produceva tag Rfid.

Il secondo protagonista è il fondo Quintessential. Fondato nel 2013, sede a New York, è guidato da Gabriele Grego, già nella società di consulenza israeliana Sfk e fondatore di Zanshin Capital. Quintessential è un fondo attivista, che effettua indagini sulle società nel mirino, che poi rende pubbliche. In passato ha denunciato gli affari delle società greche Folli Follie, nella distribuzione di gioielli, e Globo, sviluppatrice di software (la prima in liquidazione e con il top management sotto processo, la seconda cessata), la canadese Aphria, nella cannabis (dirigenti e membri del consiglio d’amministrazione sono stati licenziati), l’israeliana Ability e Aac Holding.

Le partecipate di Bio-on (fonte: report Banca Finnat)
Le partecipate di Bio-on (fonte: report Banca Finnat)

Primo: la galassia delle partecipate

Analizziamo ora le contestazioni di Quintessential a Bio-on sulla base delle informazioni del rapporto e di quelle raccolte da Wired. La prima accusa riguarda le dieci società controllate, partecipate e joint venture, che per il fondo rappresentano l’unica controparte con cui la capogruppo fa affari.

Bio-on ha il 100% della Bio-on plants, che “gestisce l’attività produttiva”, scrive Banca Finnat. Con la francese Cristal Union ha diviso al 50% dal 2015 la B-Plastic, per sviluppare attività oltralpe. Lo stesso anno avvia con la Seci del gruppo Maccaferri Sebiplast, per riconvertire l’ex zuccherificio Eridinia di San Quirico, a Parma, in un impianto Pha integrato. Nel 2017 è la volta della Zeropack, specializzata in packaging alimentare, a cui partecipa attraverso il veicolo Rk Zero la società cuneese di lavorazione frutta Rivoira. La Exolel è ora divisa al 50% con il gruppo di arredamento Kartell, attraverso la Felofin spa (che ha anche un 2% di Bio-on stessa), e si occupa di applicazioni nell’elettronica.

Nel 2018 Gima Tt raggiunge il 20% in Amt Labs, per nuovi materiali nell’industria del tabacco (per la quale l’azienda fa macchinari). A dicembre Maire Tecnimont (via la partecipata Nextchem) entra al 50,1% in U-coat, per fertilizzanti di nuova generazione. Mentre ad aprile 2019 nella neonata Lux-on, per la produzione di polimeri da CO2, subentra al 10% la multiservizi emiliana Hera, che ha fornito in passato un impianto per la fabbrica di Castel San Pietro.

I mobili presentati al Salone del Mobile da Kartell e Bio-on (sito: Bio-on)
I mobili presentati al Salone del Mobile da Kartell e Bio-on (sito: Bio-on)

Infine ci sono Aldia e Liphe, che devono sviluppare rispettivamente prodotti solari e per l’igiene orale per la partnerhsip con il colosso dei beni di largo consumo Unilever. A bilancio l’azienda di Astorri e Cicognani dichiara che “sono detenute al 90% da Bio-on e per il 10% da un importante partner finanziario”. Stessa descrizione riportata nello studio di Banca Finnat, la specialist che segue la società dalla quotazione, in un’analisi datata il 13 dicembre 2018, che mette il target price del titolo a 86 euro (quando il 12 dicembre era a 53,6). Nessuno dei due si è premurato di precisare che il partner è Banca Finnat stessa, come emerge dalle informazioni di Quintessential e come confermato a Wired.

Queste dieci società, in molti casi con sede allo stesso indirizzo di Bio-on e guidate dagli stessi manager, nel modello di business della startup si occupano di sviluppare ciascuna una specifica applicazione per nicchie di mercato, attraverso contratti di concessione che devono garantire alla capogruppo un flusso di royalties. Nel 2018 Bio-on ha licenziato un bilancio con dati positivi: 50,7 milioni di ricavi netti (9,6 milioni nel 2017), 42,8 milioni di margine operativo lordo e utili per 33,5 milioni. Dalla stessa fonte emerge che 44,7 milioni di ricavi provengono da rapporti intrattenuti con le imprese collegate, verso le quali Bio-on vanta crediti per 33,6 milioni.

La società ha effettuato la quasi totalità del fatturato nei confronti di imprese controllate e collegate”, scrive Maurizio Salom, il commercialista incaricato da Quintessential di fare una perizia su Bio-on: “La grossa parte del fatturato non risulta essere stato pagato al 31.12.2019 mentre la parte di fatturato pagata è stata saldata mediante somme fornite, in gran parte, dalla stessa Bio-on”. Per questo, per Quintessential, “Bio-on sembra generare fatturato attraverso la costituzione di una serie di scatole vuote alle quali vende la propria tecnologia sotto forma di licenze”. Bio-on ha smentito fin da subito questa lettura. E dichiarato che, rispetto ai crediti vantati, “sono previste contrattualmente scadenze differentemente regolate” e che nel 2019 ha già incassato 12,5 milioni.

Il fondo contesta anche che molti dei progetti annunciati non si siano concretizzati. Al momento, dice, “l’unica attività che sembra risultare effettivamente operativa è la collaborazione con Unilever nella produzione delle creme solari My Kai”, distribuite via Amazon e attraverso i negozi North Sail. Il fondo però dichiara che i volumi sono ridotti, sulla base di una fonte interna a Unilever. Wired ha chiesto conto dei dati di vendita a Bio-on e Unilever, ma non ha ottenuto risposta.

Le creme di Bio-on per Unilever (foto: My Kai)
Le creme di Bio-on per Unilever (foto: My Kai)

Il gruppo Maccaferri ha confermato a Wired che l’impianto di produzione di bioplastica da glicerolo, di cui si dovrebbe occupare Sebiplast, “non è iniziato in quanto siamo nella fase autorizzativa. È una riconversione che richiede autorizzazioni e, di conseguenza, tempi non immediati”. Lo stabilimento, che fino all’anno scorso ha prodotto zucchero da barbabietola, è di proprietà di Sadam, società saccarifera controllata da Seci, tra le quattro aziende del gruppo Maccaferri per le quali la capogruppo ha avviato una procedura concorsuale. Secondo Quintessential questa situazione renderebbe i crediti vantati da Bio-on rischiosi, circostanza che Maccaferri non ha commentato.

Quintessential contesta a Bio-on che i prodotti sviluppati con Kartell e annunciati al Salone del Mobile di Milano siano poi arrivati sul mercato ed evidenzia come la joint venture francese dal 2015 “mostri ancora un fatturato pari a zero e immobilizzazioni materiali inferiori a 1,5 milioni di euro, lontane dai 70 milioni annunciati”. Né Kartell né Cristal Union hanno risposto alle domande di Wired. Gima Tt ha fatto sapere che quella in Amt Labs “non è una partecipazione rilevante”, mentre Maire Tecnimont non ha rilasciato commenti.

Quintessential ha anche citato una serie di progetti annunciati e mai realizzati da Bio-on. Tra questi rientrebbe una collaborazione con Kering Eyewear, divisione di occhialeria del colosso francese del lusso. A Wired la società però ha fatto sapere che “Kering Eyewear ha stretto con Bio-on una collaborazione che è attualmente attiva e che sta procedendo in linea con i piani. Tecnicamente non è una partnership in senso stretto ma un accordo che rappresenta una delle numerose attività intraprese nell’ambito della sostenibilità e dello sviluppo di nuovi materiali”.

Risulta che a ottobre dello scorso anno Bio-on abbia partecipato alla missione del governo italiano in Russia, dove ha firmato un accordo con l’azienda russa Taif Jsc per un impianto Pha in Tartastan.

Infine, Quintessential riporta il caso di una società alle Hawaii, Virdhi, con cui Bio-on il 29 agosto 2013 annuncia un accordo per attività biomedicali, i cui risultati sarebbero stati rendicontati nel 2014. Sul sito, però, riferisce il fondo, non ci sono novità da allora. E i fondatori dell’azienda che doveva affari con Bio-on sono gli stessi della startup: Astorri e Cicognani, che l’hanno aperta il 5 agosto, venti giorni prima dell’annuncio. Il fondo lo definisce “il grande inganno”. Bio-on ha replicato che l’azienda era “finalizzata a poter operare alcune aree di ricerca della tecnologia direttamente attraverso una società con sede negli Usa” e che successivamente “la proprietà ha deciso di non proseguire con il progetto”.

Ma rispetto alle attività delle partecipate, non occorre dare tempo a quelle appena costituite perché raggiungano dei ricavi? “Certo, è impossibile prevedere il futuro per quanto riguarda le nuove jv – risponde Grego a Wired -. Il problema è che la loro costituzione segue esattamente lo stesso schema di quelle passate. Poi ci sono gli innumerevoli progetti annunciati e non portati a compimento. Infine il grave caso di Virdhi. Hanno dichiarato che la società non è mai stata attiva, ma è la dimostrazione di un modus operandi che si è via via ripetuto. Pertanto, per quanto ci riguarda, la credibilità del management rimane dubbia e ci sembra legittimo esercitare scetticismo verso le nuove iniziative”.

Il rapporto di Banca Finnat su Bio-on
Il rapporto di Banca Finnat su Bio-on

Secondo: i rapporti con Banca Finnat

Banca Finnat Euroamerica spa è l’istituto che ha accompagnato Bio-on nella quotazione. Ora funge da specialist, garantendo liquidità al titolo e offrendo studi sull’emittente. Tuttavia, come emerge dal registro imprese, Banca Finnat è partecipa con quote di minoranza in due società controllate da Bio-on: Liphe e Aldia. Sono le due incaricate di sviluppare applicazioni nella cosmesi con Unilever.

All’annuncio dà molto rilievo lo studio di Banca Finnat dello scorso 13 dicembre, tanto da fissare il target price (il prezzo obiettivo a cui liquidare un’azione) a 86 euro, quando il giorno prima Bio-on viaggiava a 53,6, proprio per effetto dell’accordo tra la startup e il gigante americano. Lo hanno confermato a Wired Gian Franco Traverso Guicciardi, capo dell’ufficio studi di Banca Finnat, e Tatiana Eifrig, prima firmataria dell’analisi.

Unilever è stato un trigger molto forte per noi”, risponde Eifrig: “La crema è partita come primo prodotto tangibile, a conferma che l’impianto di Bologna è partito. Sono in sviluppo altri prodotti, che ho visto dall’azienda stessa. Le creme solari sono un primo passo”.

Perché Banca Finnat non ha mai dichiarato le partecipazioni? “Le partecipazioni sono di 5.000 euro l’una. Magari per leggerezza non lo abbiamo detto – risponde Traverso -. Abbiamo reputato che il conflitto di interessi da specificare è quello indicato nel disclaimer (dell’analisi del titolo, ndr): pur comportandoci in modo indipendente, la ricerca è commissionata da Bio-on”. Traverso aggiunge: “Siamo sempre stati molto conservativi con l’azienda: quando il target price precedente era a 37 e il mercato è arrivato a 71, non siamo andati dietro”. Il responsabile nega che Banca Finnat abbia concesso una linea di credito a Capsa, come sostiene Quintessential. “La quintessenza del problema è credere o no nel business model – dice l’analista -. Tutto questo sta minando la confidenza del mercato, ma per noi sui fondamentali non è cambiato nulla”.

Terzo: l’impianto di Bio-on

Per Quintessential costi, volumi di produzione e operatività dell’impianto di Castel San Pietro Terme non sono credibili. Iniziato a settembre del 2017, è stato consegnato “nei primi mesi del 2019”, si legge nel bilancio di Bio-on. Secondo il fondo, però, “la fabbrica sembra ancora un cantiere”.

Ai microfoni di Class Cnbc il presidente Astorri, che ha aperto le porte dell’impianto, ha detto che la fabbrica ha raggiunto la piena operatività, “con una produzione di 80 tonnellate al mese” e una dato “di 2 tonnellate e mezzo insaccate ogni giorno”. L’obiettivo dichiarato di è arrivare a mille tonnellate all’anno. Wired ha domandato a chi siano vendute queste produzioni, ma Bio-on non ha risposto.

In effetti costo dell’opera è aumentato rispetto alle previsioni iniziali. Come si legge a bilancio, rispetto “al primo stanziamento di inizio progetto di circa 20 milioni di euro”, la fabbrica è arrivata a costare 43 milioni, comprensivi delle opere secondarie. L’avanzamento è a 40 milioni. Restano quindi almeno altri 3 milioni di lavori da completare e la nota integrativa riporta “l’avvio delle attività per i lavori di ampliamento”, il che potrebbe spiegare il cantiere fotografato dagli ispettori del fondo.

Secondo Quintessential Bio-on produce bioplastica a 44 euro a tonnellata, a un costo quindici volte più alto del principale produttore italiano, Novamont. Interpellata da Wired, Novamont non ha indicato se i parametri indicati dal fondo sono corretti, ma ha dichiarato che “Bio-On non è un concorrente di Novamont”. È una posizione sostenuta anche dagli esperti di Banca Finnat. “Novamont non è paragonabile con Bio-on”, ha dichiarato Eifrig. Bio-on dice che l’impianto “non potrà servire i futuri volumi di mercato (confermando il tipo di business non industriale di Bio-on) e sarà destinato a produzioni di nicchia ad altissimo valore aggiunto”. “Il dubbio più grande rimane la quantità di produzione già assorbita dal mercato”, ribadisce a Wired Grego.

Alcuni osservatori hanno fatto notare come Salom, consulente per Quintessential, tra le decine di incarichi come sindaco, consigliere di sorveglianza o presidente, sieda anche in Novamont e in alcune partecipate, come Mater Bi e Mater Biotech. Greco esclude a Wired un potenziale conflitto di interessi: “Salom detiene incarichi presso un’ottantina di società. Ho saputo che Novamont non era nemmeno al corrente di questa sua attività, e in grande franchezza non capisco in cosa ci potrebbe essere un conflitto di interessi”.

Marco Astorri, fondatore di Bio-on (a sinistra), con il direttore generale di Tai Jsc, Albert Shigabutdinov (foto: BIo-on)
Marco Astorri, fondatore di Bio-on (a sinistra), con il direttore generale di Tai Jsc, Albert Shigabutdinov (foto: BIo-on)

Quattro: la contabilità

Quintessential contesta a Bio-on alcune irregolarità nella gestione contabile. In particolare, per Salom “le immobilizzazioni materiali in corso esposte per 40 milioni non risultano adeguatamente spiegate nella nota integrativa” e “tutte le partecipazioni in imprese controllate e collegate non risultano svalutate per le perdite subite”. Inoltre, prosegue l’esperto, “Bio-on presenta 33 milioni di crediti verso società partecipate senza che ne siano illustrati i rischi”. Infine il consulente reputa che la startup non abbia rispettato gli articoli 2343 e 2343 bis del codice civile quando ha conferito alle partecipate le licenze, perché avrebbe dovuto chiamare un perito del tribunale per verificare la congruità dei valori con cui le trasferiva.

Rispetto alle norme del codice civile, la tesi di Bio-on replica è che il procedimento non sarebbe stato necessario perché i contratti di licenza non alienano la proprietà della privativa, né tutti gli oneri reali, mentre sorge un rapporto di tipo obbligatorio che si concretizza in un diritto d’uso del brevetto. Senza questi controlli, per Salom, “i valori delle vendite potrebbero risultare “gonfiati” per la parte imputabile alle licenze, creando serie preoccupazioni anche sull’ottenimento del beneficio fiscale relativo alla deduzione di 19 milioni di euro dal reddito imponibile dell’esercizio 2019”, visto che l’azienda ha beneficiato delle agevolazioni del patent box.

Wired ha interpellato anche l’attuale revisore dei conti, Ernst & Young, e il precedente, Pricewatehouse Coopers, ma entrambi si sono trincerati dietro la riservatezza dell’incarico. A Wired Grego osserva che non è sbagliato il modello di business in sé: “Il modello appare sbagliato semplicemente nella contabilità che utilizza. È legittimo vendere licenze e tecnologia, il problema è quando lo si fa a delle società controllate o affiliate e soprattutto se il valore di tali licenze non passa attraverso la procedura (una stima del valore) richiesta dalla legge (2343, 2343 bis codice civile)”.

(Foto: courtesy of Bio-on)
(Foto: courtesy of Bio-on)

Quinto: la tecnologia

Per Quintessential, infine, c’è un problema con la stessa tecnologia di Bio-on, i Pha, i cui “processi di produzione sono altamente complessi” e tentati senza successo da altri gruppi più grandi, come Zeneca, Monsanto e Metabolix. Inoltre non ci sarebbe nulla di rivoluzionario perché la scoperta risale al 1926. Astorri e Cicognani però non l’hanno mai nascosto: per esempio, lo hanno dichiarato nel servizio di Wired del 2011.

Bio-on afferma di possedere “la proprietà di oltre duecento tra brevetti concessi, formulazioni e domande di brevetto già richieste”. Wired ha consultato il registro dei brevetti presso il ministero dello Sviluppo economico e ha individuato solo due brevetti riconducibili a Bio-on. Il primo, Processo per recuperare e purificare poliidrossialcanoati da una coltura cellulare, è firmato da Simone Begotti, il responsabile scientifico di Bio-on, che però non ha altri brevetti depositati al Mise. Il secondo, Composizione comprendente almeno un polimero biodegradabile e almeno un plastificante, è firmato da Paola Fabbri dell’università di Bologna.

Wired ha chiesto chiarimenti all’azienda ma non li ha ottenuti. Secondo Greco, tuttavia, “non c’è un mercato sufficiente a generare utili. Purtroppo l’esperienza dei concorrenti della Bio-on ci dice questo”.

I brevetti di Bio-on sul registro del Mise

Le inchieste

Dopo le rivelazioni del fondo, Consob, l’autorità che regola la Borsa, sta monitorando il titolo: quando si tratta di aziende dell’Aim (che essendo un mercato per le pmi, ha controlli più leggeri), interviene per manipolazione informativa, operativa o abuso di informazioni privilegiata. Borsa Italiana, che gestisce direttamente l’Aim, non ha specificato a Wired se abbia preso iniziative oltre alla sospensione del titolo dalle negoziazioni. Bio-on, che ha liquidato Quintessential come “speculatori”, ha depositato una denuncia per diffamazione ai carabinieri di Bologna, mentre la procura del capoluogo emiliano ha aperto un fascicolo per manipolazione di mercato contro ignoti.

Grego dichiara a Wired che il suo fondo non ha guadagnato “per adesso nulla” dalla posizione short su Bio-on: “La nostra posizione è ancora aperta e non è stata ridotta”. Dai registri di Consob sulle posizioni short emerge che sul titolo si sono mossi anche i fondi Cadian capital management, Engadine partners, Ennismore fund management e Think investiments. La partita è aperta.

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