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lunedì, Lug 20

Bio-on, un anno dopo: cosa resta dell’ex unicorno della bioplastica



Da Wired.it :

Il 24 luglio esplodeva il caso della startup. Dodici mesi dopo si cerca un compratore, la rete di joint-venture si sfalda e il rischio è di perdere il know-how dei lavoratori

La Guardia di finanza nella sede di Bio-on (foto: Guardia di finanza Bologna)
La Guardia di finanza nella sede di Bio-on (foto: Guardia di finanza Bologna)

La prima bomba scoppiava un anno fa. Il 24 luglio 2019 un rapporto firmato Quintessential capital management, fondo di investimenti di New York, accusa Bio-on, startup bolognese della bioplastica, di essere “una grande bolla. La società emiliana, all’epoca, è una rampante matricola quotata alla Borsa di Milano: la sua capitalizzazione ha raggiunto il miliardo di euro, traguardo che le vale il titolo di unicorno. Ma dopo l’analisi del fondo, che le addebita una “tecnologia improbabile”, “fatturato e crediti essenzialmente “simulati” grazie a un network di scatole vuote”, una situazione finanziaria che “risulta precaria” e “serie irregolarità” nei conti, e nonostante l’azienda respinga gli addebiti, il titolo va a picco.

La seconda bomba scoppia dopo tre mesi. Il 23 ottobre la Procura di Bologna fa scattare misure cautelari per tre uomini di spicco del gruppo. A cominciare dal fondatore e ormai ex presidente, Marco Astorri, indagato per false comunicazioni sociali e manipolazione del mercato, ma che da sempre respinge le accuse (gli arresti domiciliari sono stati, nel frattempo, revocati).

Dopo che lo scorso dicembre il tribunale felsineo ha dichiarato il fallimento, l’azienda è stata affidata ai curatori Antonio Gaiani e Luca Mandrioli, che la traghetteranno verso il bando di vendita, previsto per l’autunno. Il prossimo passo è l’apertura della data room, a cui potranno accedere i potenziali acquirenti per predisporre le manifestazioni di interesse.

L'andamento del titolo di Bio-on (dal sito di Borsa italiana)
L’andamento del titolo di Bio-on (dal sito di Borsa italiana)

Il destino dei lavoratori

Ma cosa è rimasto di Bio-on un anno dopo? Sono sopravvissute due società: la spa, la cassaforte dei brevetti, controllata all’epoca dai due fondatori, Astorri e il socio Guido Guy Cicognani, attraverso la Capsa srl, e la Bio-on plants srl, che ha in pancia l’impianto per produrre bioplastica a Castel San Pietro Terme, alle porte di Bologna. A tenere accese le luci sono i 62 dipendenti ancora in forza, circa la metà rispetto ai tempi d’oro (38 alla spa e 23 alla srl). “Facciamo quel che possiamo per mantenere il valore dell’azienda in questa fase di transizione”, spiega Luca Del Bene, della rappresentanza sindacale aziendale della Filcams Cgil. Le uscite, anche in piena emergenza coronavirus, non devono stupire. “L’azienda ha alte professionalità, che trovano un posto nonostante il Covid-19 – osserva Delbene -. Noi vogliamo mantenere il know-how interno, che è grande”.

L’emergenza sanitaria ha messo tra parentesi la crisi della Bio-on e congelato la procedura fallimentare. L’udienza per lo stato passivo, per esempio, è slittata da aprile a settembre. E grazie alla causale Covid-19 i dipendenti della spa hanno ottenuto sei mesi in più di fondo di integrazione salariale, che li traghettano così fino a dicembre, visto che, a causa di un problema di registrazione, l’Inps aveva respinto la richiesta di cassa integrazione (accettata invece per i dipendenti della srl). E “l’azienda ha anticipato la mensilità di gennaio, che era rimasta scoperta”, ricorda Mattia Morotti della Filcams di Imola.

Da giugno i lavoratori sono rientrati negli uffici e in fabbrica su turni. “L’impianto c’è, la ricerca e sviluppo continua a lavorare, la curatela ha detto che il prodotto esiste. Ora bisogna trovare gli acquirenti”, commenta Morotti. “Interesse c’è ma il Covid-19 ha bloccato tutto”, ammette Stefano Biosa della Cgil Emilia-Romagna. Per questo per il sindacalista la priorità è “traguardare il 2020 in sicurezza, tenendo agganciati i lavoratori”. “Ci sono persone con altissima formazione qui, giovani, che ci tengono che sia un ambiente positivo”, rincara Delbene.

Le partecipate di Bio-on (fonte: report Banca Finnat)
Le partecipate di Bio-on (fonte: report Banca Finnat)

Il tracollo delle joint venture

Il futuro dell’azienda è appeso a un filo. Bio-on deve trovare un investitore che immetta liquidità, sostenga la ricerca e valorizzi i brevetti per le applicazioni di bioplastica. Far funzionare, insomma, quel modello di intellectual property company che Astorri aveva immaginato per la sua creatura (una società che si regge sulla vendita delle sue scoperte) e che non gli è riuscito, tanto che la Procura di Bologna gli ha contestato di aver comunicato “al mercato il raggiungimento, altrimenti mancato, degli obiettivi contenuti nei piani industriali”. “Notizie false”, si legge nelle carte dell’inchiesta, “idonee a provocare il sensibile aumento del prezzo delle azioni”, che avrebbero fruttato “un indebito vantaggio economico per la società e loro personale stimato in almeno 36 milioni di euro”.

Al momento la rete di joint-venture che avrebbero dovuto sviluppare i brevetti si sta sfaldando. Nel 2015, per esempio, Bio-on costituisce al 50% con la Seci del gruppo Maccaferri Sebiplast, per riconvertire l’ex zuccherificio Eridania di San Quirico, a Parma, in un impianto Pha (polimeri poliidrossialcanoati) integrato. Il progetto però non è mai decollato, per questioni autorizzative. E dopo che gli arresti hanno decapitato la startup bolognese, è definitivamente affondato.

Dal gruppo Maccaferri fanno sapere che la Sebiplast ha presentato ricorso per fallimento in proprio lo scorso novembre. E questo segna la fine delle sperimentazioni e la vendita dell’ex zuccherificio. Nel frattempo l’ex partner ha reclamato il pagamento dei crediti alla Bio-on e quindi si inserirà nella procedura concorsuale.

Tre mesi prima che esploda il report di Quintessential, la multiservizi emiliana Hera entra al 10% nella partecipata di Bio-on Lux-on, nata per la produzione di polimeri da CO2. L’indagine blocca anche quel progetto. Ma la multiutility fa sapere che il contratto “non è mai diventato efficace e alla scadenza dei termini è decaduto automaticamente”, prima che scoppiasse il caso. La collaborazione è ferma, anche se per Hera “lo sviluppo di soluzioni di bioplastiche da sfalci e potature rimane un’area di interesse”. In via Pichat sono alla finestra, in attesa della procedura fallimentare, perché il gruppo ha “una posizione aperta relativa alla fornitura avvenuta di un impianto di cogenerazione presso lo stabilimento” e spera in un acquirente per riavviarlo.

Il rapporto di Banca Finnat su Bio-on
Il rapporto di Banca Finnat su Bio-on

Anche Banca Finnat sta facendo i suoi conti. L’istituto di credito non è un socio a caso. È la banca che ha accompagnato Bio-on nella quotazione. Poi funge da specialist, garantendo liquidità al titolo e offrendo studi sull’emittente. Infine nel 2018 entra con il 10% in due joint venture con Bio-on, Aldia e Liphe, che devono sviluppare rispettivamente prodotti solari e per l’igiene orale per la partnerhsip con il colosso dei beni di largo consumo Unilever.

Proprio per effetto di quei due progetti il 13 dicembre 2018 gli analisti alzano il prezzo dell’azione a 86 euro, contro i 53,6 a cui viaggiava il 12 dicembre, ma senza mai menzionare che “l’importante partner finanziario” delle due aziende è Banca Finnat stessa. Lo farà con la semestrale del 2019, quando ormai la bolla è scoppiata.

L’istituto romano sta cercando di capire come uscire dal crollo della Bio-on senza rompersi le ossa. Conservare il valore dell’investimento, è la formula tecnica. Detto altrimenti: per ora la banca mantiene la sua quota di capitale ma, a quanto ha appreso Wired, ha già svolto analisi per valutare un’azione legale. E sulla base di questa decisione si imposterà l’approccio nella procedura di fallimento.

La partecipata Aldia è riuscita, in effetti, a portare sul mercato l’unico prodotto targato Bio-on: una linea di solari, My Kay, venduti online e in una decina di negozi della North Sails. Che a luglio dell’anno scorso ne aveva comprati 280 pezzi e venduti 20. A un anno di distanza ricorda: “I rapporti sono stati limitati nel tempo e di scarsa rilevanza”. La Gima, invece, che nel 2018 raggiunge il 20% in Amt Labs per nuovi materiali nell’industria del tabacco, per adesso resta al suo posto: l’obiettivo è proseguire con la sperimentazione. Wired ha interpellato anche gli altri partner delle joint venture con Bio-on, come Maire Technimont e Kartell, senza ricevere risposta.

Le creme di Bio-on per Unilever (foto: My Kai)
Le creme di Bio-on per Unilever (foto: My Kai)

Il ruolo della vigilanza

A Bologna la politica spinge perché la Bio-on resti in Emilia. “Non è una scatola vuota”, spiega l’assessore al Lavoro del Comune felsineo, Marco Lombardo: “Noi vogliamo che l’impresa sia tenuta qua, c’è know-how e si lega alla nostra politica industriale in termini di green economy”. “Quello delle bioplastiche è un settore del futuro”, gli fa eco dalla Regione l’assessore allo Sviluppo economico Vincenzo Colla.

Con l’apertura della data room la palla passa ai potenziali corteggiatori. Ma il caso ha aperto una crepa anche nella fiducia nella vigilanza dell’Aim, il listino delle piccole imprese a cui Bio-on era iscritta. Ci si entra leggeri, grazie a un documento di ammissione garantito da un nominated advisor (nomad). Il 20 luglio Borsa Italiana ha introdotto nuove regole, a dieci anni dalla nascita dell’Aim. Tra queste alcune riguardano la gestione societaria, come avere un amministratore indipendente (però sempre individuato dal nomad, che è pagato dalla matricola) e un investor relations manager, la disciplina di ammissione e le regole dei consulenti stessi. Quanto abbia inciso la scottatura di Bio-on in questo giro di vite, però, Borsa Italiana a Wired non l’ha detto.

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[Fonte Wired.it]