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martedì, Ott 01

Bitcoin di regime: le criptovalute dal Venezuela alla Corea del Nord


In Corea del Nord una convention internazionale sul bitcoin. L’Iran studia le valute digitali per aggirare l’embargo. E il Venezuela si affida alla Russia

foto: Pixabay

Chissà se Satoshi Nakamoto, al momento di inventare i bitcoin, 11 anni fa, immaginava che avrebbero avuto successo anche in stati come Cuba, Iran, Venezuela, Corea del Nord, che nella geografia delle criptovalute sono ben presenti. Secondo l’ultimo report di Datalight, gran parte dei trader di criptovalute vive e opera negli  Stati Uniti. Seguono Giappone, Corea del Sud, Gran Bretagna e Russia (l’Italia è 14esima). Ma la diffusione di bitcoin e affini in regimi o paesi sotto embargo o sanzioni incide sull’economia.

Nord Corea

Se tra il 24 e il 25 febbraio 2020 non avete impegni particolari, Pyongyang ospita la seconda conferenza nazionale su criptovalute e blockchain. La prima si è tenuta ad aprile di quest’anno e ha attirato un centinaio di partecipanti, tra cui qualche americano. La conferenza si terrà presso il Complesso scientifico e tecnologico di Pyongyang, un edificio a forma di atomo inaugurato da Kim Jong-Un nel 2016.

Più che l’evento in sé, fa notizia il rapporto che la Corea del Nord ha con le criptovalute: secondo un rapporto presentato al comitato per le sanzioni della Corea del Nord del Consiglio di sicurezza dell’Onu ad agosto, hacker coreani avrebbero rubato 2 miliardi di dollari in bitcoin, attaccando sistematicamente scambi di criptovalute e miner. Gli hacker avrebbero agito con la copertura del Reconnaissance General Bureau, un’agenzia di intelligence che gestisce operazioni clandestine. Il rapporto afferma che dirottare gli scambi di criptovalute, giapponesi e sudcoreani soprattutto, ha permesso alla Corea del Nord di “generare reddito in modi più difficili da rintracciare”. Ma le criptovalute sarebbero servite anche a finanziare lo sviluppo di armi letali.

Cuba

Chi è stato sull’Isla Grande lo sa: l’embargo, ormai decennale, degli Stati Uniti la taglia fuori dai tradizionali sistemi di pagamento e dai mercati finanziari. I cubani non possono avere carte di credito o di debito internazionali per usarle in loco e hanno difficoltà a farlo all’estero. Ecco perché un’avanguardia di abitanti di quelle’angolo dei Caraibi, punta sulle criptovalute.

Secondo Alex Sobrino, fondatore del canale Telegram CubaCripto, dove si discute e si scambiano valute digitali, sono almeno 10.000 i cubani che le maneggiano. “Le usiamo per ricaricare i nostri cellulari, per fare acquisti online e ci sono persino persone che prenotano camere d’albergo”, ha spiegato Sobrino a Reuters. Le transazioni avvengono spesso di persona: i bitcoin vengono scambiati “live” contro denaro contante.

A Cuba è operativo anche un exchange, Fusyona, che usa la valuta forte dei cubani che inviano rimesse dall’estero. In realtà la sua sede è in Brasile, perché il governo cubano non ha mai approvato l’uso di criptovalute, ritenuto strumento di “arricchimento illecito”. Ma qualcosa potrebbe cambiare e presto: a luglio membri del governo hanno dichiarato di guardare con attenzione a ciò che fanno in proposito altri paesi sotto le sanzioni statunitensi, come il Venezuela e l’Iran. E sempre Reuters riferisce che durante un soggiorno sull’isola, il creatore del software antivirus McAfee, John McAfee, ha dichiarato che sarebbe disposto ad aiutare Cuba nello sforzo di sposare le criptovalute.

Iran

Le sanzioni americane hanno messo in ginocchio l’economia del paese, già in crisi. Ma le criptovalute non operano all’interno di questo sistema consolidato e così l’anno scorso Mohammad Reza Pourebrahimi, capo della Commissione parlamentare iraniana per gli affari economici, le ha definite il modo per evitare transazioni in dollari Usa. E Alireza Daliri, vicesegretario della divisione Gestione e unvestimenti presso il Direttorato degli affari scientifici e tecnologici, ha dichiarato: “Stiamo cercando di prepararci a utilizzare una valuta digitale nel paese”.

Lo scopo? Facilitare il trasferimento di denaro da e verso qualsiasi parte del mondo. A luglio, inoltre, i principali siti di cripto-news hanno dato la notizia che una commissione economica del governo avrebbe approvato l’estrazione di criptovalute come attività industriale: i costi dell’energia in Iran infatti sono favorevoli al mining e in tempi di magra, meglio controllare la diffusione di criptovalute che lasciarle fuggire verso l’estero.

Venezuela

Del rapporto del Venezuela con i bitcoin abbiamo già parlato. Ma nel frattempo, la questione ha preso la piega di un intrigo internazionale. Sembra che la creazione del Petro, la criptovaluta di stato venezuelana, sia un’idea nientemeno che del presidente russo Vladimir Putin. La fonte è autorevole: la rivista Time, secondo cui il petro sarebbe frutto di una joint venture tra funzionari e uomini d’affari venezuelani e russi, per erodere il potere delle sanzioni statunitensi.

La criptovaluta di stato venezuelana è stata lanciata con una cerimonia a febbraio 2018. “Seduti in prima fila a quella cerimonia – scrive Timec’erano i due consiglieri russi di Maduro, Denis Druzhkov e Fyodor Bogorodsky, che il presidente venezuelano ha ringraziato per averlo aiutato nella lotta contro l’imperialismo americano”. Non solo. Secondo un dirigente di una banca statale russa che si occupa di criptovalute, l’iniziativa è partita da Mosca. “Persone vicine a Putin gli hanno detto che questo (il Petro) era un modo per evitare le sanzioni”. E lo zar ha dato il suo ok.

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