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mercoledì, Nov 27

Black Friday, le ricadute sull’ambiente dei resi


Se si considera il trasporto e l’imballaggio insieme a un costante aumento di volumi dell’ecommerce, il rendere un articolo sbagliato o difettoso ha un forte impatto ambientale

(foto: Getty Images)

Nel 2020 negli Stati Uniti il valore dei resi toccherà 550 miliardi di dollari, una cifra che segna un aumento del 75 per cento rispetto al 2016. Lo riporta Greenbiz sottolineando come ci sia una crescita annuale del 23 per cento dell’e-commerce, con conseguente aumento della produzione di imballaggi e della gestione dei resi. Quando l’utente acquista online ci sarà infatti una probabilità maggiore – una finestra che va dal 15 al 30 per cento – che renda la merce rispetto alla tradizionale vendita al dettaglio. A farlo notare è l’ultimo rapporto annuale di Cbre, la più grande società di servizi immobiliari commerciali al mondo, che prende in considerazione il meccanismo della logistica inversa, ovvero il movimento di beni dopo la vendita e la consegna.

Se quindi l’acquisto di abiti e accessori non sembra arrestarsi, soprattutto nella settimana del Black Friday, non va dimenticato il suo impatto sull’ambiente, soprattutto quando si rimanda indietro un prodotto. Infatti, se si somma il trasporto, una delle maggiori fonti di gas serra nell’atmosfera, e l’imballaggio, che prodotto in quantità record genera altrettanti rifiuti, il risultato è presto chiaro. Secondo il sito Fast Company il numero di pacchi spediti in un anno negli Stati Uniti equivale addirittura all’abbattimento di un miliardo di alberi. Una cifra che crescerebbe, se si considera la tendenza a mandare indietro la merce: una possibilità che secondo vari studi influenzerebbe moltissimo l’acquisto da parte del cliente. Soprattutto se viene fatto gratuitamente: secondo the Journal of Marketing le aziende aumenterebbero, con questa opzione, le loro vendite del 457 per cento.

Certo è che la tendenza a un acquisto sempre più compulsivo che offre sicuramente innumerevoli vantaggi al cliente non sempre si traduce in un buon affare anche per il venditore, costretto a fare i conti anche con i resi, la maggior parte dei quali non sarebbero necessari. Fra le cause principali più fondate che portano il consumatore a rendere l’acquisto c’è, secondo The Business of Fashion, una non corrispondenza fra le misure e la realtà e quindi il fatto che la taglia selezionata non è sempre quella idonea. Questo però, unito all’abuso della possibilità offerta da parte del cliente, comporta costi enormi. Basti pensare che, come spiega Vogue Business, il 10 per cento dei resi online viene donato o incenerito. Inoltre, “gli altri articoli che vengono restituiti devono essere valutati a mano per constatare potenziali danni, e poi sottoposti a lavaggio prima di essere rivenduti”. Se ne deduce così un costo enorme per le aziende, e per l’ambiente.

La tecnologia in soccorso

Per cercare di porre un freno all’aumento di questa tendenza – e quindi tamponare gli effetti collaterali – potrebbe essere impiegata la tecnologia, come qualche azienda sta già facendo. La chiave, per alcuni, è assumere analisti di dati che studino la tipologia dei resi, aiutando le aziende a perfezionare le informazioni degli articoli. C’è chi invece, come il rivenditore britannico di biancheria Figleaves, ha messo sul sito web la possibilità di parlare con un assistente via Skype prima dell’acquisto e ha poi constatato una diminuzione dei resi. Infine, un gruppo di ricercatori indiani ha messo a punto sistema che tramite l’intelligenza artificiale riesce a prevedere le probabilità che un cliente mandi indietro una merce, con un’accuratezza dell’83 per cento.

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