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La Reijn confeziona un thriller a metà tra slasher e whodunnit, tra Scream, Piccoli omicidi tra amici e Chi ha paura di Virginia Woolf?; non è una virtuosa della regia (bazzica più il settore come attrice) ma è furba, e lo dimostra fin dall’apertura del film che strumentalizza la celebrazione dell’inclusione in voyeuristica ostentazione delle effusioni romantiche di Bee e Sophie. Il motore della narrazione è quest’ultima, principessa del vittimismo. Quando i cadaveri cominciano a impilarsi, frecciatine, dosi robuste di gaslighting e insulti sbottati evolvono in pesanti accuse vomitate con rabbia e risentimento. Il cast è sintonizzato e funziona bene in ensemble; buona parte degli interpreti (solo la Stenberg e Davidson lasciano un po’ a desiderare) eleva con la propria performance i propri stereotipati personaggi, impegnandosi a rendere il proprio il più meschino e patetico possibile.

Bodies Bodies Bodies è un film che vi stupirà ma solo se saprete resistere fino all'ultimo

Come satira di classe (quella più abbiente e privilegiata), come critica dell’intera generazione Z e come discorso politico Bodies Bodies Bodies non è particolarmente incisivo, sebbene la sceneggiatura mostri anche la volontà di esplorare in modo esauriente il rapporto tra questi e gli strumenti della modernità, indagando come i social e la tecnologia influenzino le relazioni e le amicizie tra i giovani nell’era digitale. Funziona meno come analisi psicologica perché i personaggi non vanno mai oltre lo stereotipo ma è, come accennato, grazie a finale (che non possiamo argomentare per non rovinarvi la sorpresa), che il film della Reijn va oltre i confini della mediocre disamina generazionale per farsi beffarda parabola grottesca. Tanto impietosa e ironica da spingerci a rivalutare a posteriori l’intera pellicola.



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