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giovedì, Gen 28

Bonding: la seconda stagione della serie sul Bdsm è più matura ed emozionante



Da Wired.it :

I nuovi episodi sono più organici, la rappresentazione di un mondo che in pochi conoscono veramente più documentata così come la disamina dei traumi dei protagonisti

Quando Rightor Doyle portò la sua creazione, la dark comedy indie Bonding, al mercato televisivo del Mipcom a Cannes, non si aspettava che la sua cinica e audace commedia su una dominatrice e le sue esperienze professionali nel Bdsm attirassero venisse acquisita da Netflix. Bonding ha fatto il suo debutto sulla piattaforma streaming sei mesi dopo, nell’aprile del 2019, e da ieri è di nuovo sul canale on demand con la seconda stagione – auspicabilmente conclusiva – inedita. Basata sui ricordi giovanili dello stesso Doyle (il velleitario Nick di Barry) e del periodo passato come assistente di una dominatrice newyorkese, la serie si sofferma di nuovo sul mondo misconosciuto delle dominatrici.

Tiff – studentessa della facoltà di psicologia che si paga gli studi lavorando come dominatrice – e il suo migliore amico del liceo, Pete – cabarettista gay arruolato da quest’ultima come guarda del corpo e assistente – hanno regalato al pubblico della prima stagione una divertentissima e curiosa incursione nel mondo dei dungeon e del sesso sadomaso. Parallelamente, la narrazione si concentrava con piglio cinico e acuto sulle vite dei due protagonisti e una manciata di personaggi secondari, ma senza avventurarsi troppo nella psicologia dell’apparentemente glaciale Tiff e dell’insicuro Pete.

La seconda stagione fa un passo avanti, in ogni senso, raggiungendo un livello superiore sia per quanto riguarda l’approfondimento e la disamina dei personaggi sia per quanto concerne l’esplorazione del mondo del Bdsm. A questo proposito Bonding – e mai titolo fu più azzeccato, con quel suo doppio senso che rimanda sia al legame tra individui che alla pratica del bondage – non era sfuggita alle critiche della comunità di dominatrici e sottomessi per non aver dimostrato sufficiente accuratezza e verosimiglianza nella messa in scena di un mondo che al largo pubblico dell’intrattenimento è noto per lo più grazie alla risibile saga cinematografica di 50 sfumature.

Bonding, come successivamente un’altra serie indie americana presentata a Cannes, Now Apocalypse, forniva una rappresentazione senz’altro più verace dell’imbarazzante blockbuster con Dakota Johnson e Jamie Dornan, tuttavia quella che nei progetti dell’autore della serie Netflix doveva fare solo da sfondo della narrazione diventa protagonista assoluta in questa seconda annata, arricchita dalla presenza nella writer’s room di Olivia Troy. La Troy è una professionista del settore, una “intimacy coordinator” e una produttrice che fornisce consulenze affinché le pratiche sessuali e la filosofia che sottende al sesso sadomaso vengano rispettate. Lei, Doyle e Nana Mensah – l’interprete della new entry della stagione, Mistress Mira – hanno confezionato due episodi totalmente incentrati su questo tema, fornendo quella che è probabilmente una vera e propria rivelazione per i neofiti.

Vero e proprio documentario sul fondamentale consenso tra dominatrice e sottomesso, sul rapporto intimo tra i due e sulla psicologia di mistress e masochisti, Bonding non si limita ad approfondire con senso dell’umorismo e intenti didattici l’universo del Bdsm ma scava anche nelle relazioni dei protagonisti e nei loro traumi. La sceneggiatura di Doyle, in questa seconda stagione, si fa più cesellata, la scrittura è più matura e mostra una maggiore sensibilità nel delineare le personalità di Tiff e Pete e dei loro alter ego professionali May e Carter. Gli otto nuovi episodi fanno meno ridere; i buffissimi approcci di Pete al mondo del Bdsm e alle fantasie sessuali più bizzarre dei clienti ci sono ancora – specialmente la sessione con il masochista della carta di credito e l’incontro con il “furry” appassionato di pinguino – ma i toni della serie declinano più spesso nel dramma.

Tiff (Zoe Levin) deve fare i conti con la propria instabilità emotiva, l’incapacità di portare avanti una relazione amorosa matura e di lasciarsi amare. Pete (il bravo Brendan Scannell di Heathers) è dolorosamente ipersensibile circa il proprio aspetto e maschera le insicurezze con l’umorismo; il suo ego prende il volo quando la carriera di cabarettista decolla, ma il percorso verso l’emancipazione dalla dipendenza affettiva è lungo e tortuoso.

Anche le tragedie personali piccole e grandi dei personaggi secondari trovano il giusto spazio: dalla mistress oppressa dal senso di responsabilità, allo schiavo con la sindrome dell’abbandono, dal gay che non ha il coraggio di fare coming out all’eterno teenager che alla soglia dei trent’anni non ha ancora trovato nessun senso alla propria superficiale esistenza. Doyle si dimostra molto più compiuto come filmaker di quanto lasciato intendere con la prima stagione; non solo come narratore, ma anche come showrunner, dimostrando di saper elaborare una serie attualissima. Lontani i tempi in cui i personaggi del piccolo schermo non evolvevano, oggi sono sempre più reali e vicini alla realtà, qualsiasi questa sia.

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[Fonte Wired.it]