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martedì, Mar 09

Brexit, cosa sapere su vendite ecommerce verso il Regno Unito



Da Wired.it :

I nuovi rapporti tra Unione europea e Londra cambiano anche le regole a cui devono attenersi i venditori che usano le piattaforme di ecommerce. Ecco una rapida guida

(Photo by BEN STANSALL/POOL/AFP via Getty Images)

L’accordo tra il Regno Unito e l’Unione europea siglato a fatica nell’ultima vigilia di Natale non ha solo scongiurato lo spettro di una hard Brexit. Il testo (che dovrà essere ratificato dal Parlamento europeo entro il 28 febbraio 2021) prevede “un accordo di libero scambio” tra Londra e Bruxelles e “contienesintetizza l’Unione europea – disposizioni volte ad agevolare il commercio digitale, rimuovendo gli ostacoli ingiustificati e garantendo un ambiente online aperto, sicuro e affidabile per le imprese e i consumatori”. 

Ma rendere lo spazio libero e rimuovere gli ostacoli non basta a lasciar tutto come prima, nemmeno per le imprese che comprano e vendono online. Dal primo gennaio 2021 Regno Unito e Unione europea sono infatti due mercati separati, due distinti spazi normativi e giuridici” con “barriere – sia commerciali, per beni e servizi, sia per la mobilità e gli scambi transfrontalieri – che per decenni erano state eliminate. Queste barriere si frapporranno agli scambi in entrambe le direzioni, interessando le pubbliche amministrazioni, le imprese, i cittadini e i portatori di interessi di entrambe le parti”, sottolinea la Ue. Le aziende che hanno rapporti con l’isola devono allora fare i conti con imposte e adempimenti, anche per movimenti saltuari. 

L’Eori e l’Iva per l’ecommerce tra Uk e Ue

L’Iva, l’imposta sul valore aggiunto, tornerà a essere un impiccio per le aziende che passano il confine, operatori dell’ecommerce compreso. Il Regno Unito fa una differenza sostanziale tra ordini superiori o inferiori alle 135 sterline. Per chi è oltre la soglia, si legge sul sito di Downing Street, “l’Iva di importazione e i dazi doganali (compresa l’accisa, se dovuta) devono essere pagati dall’acquirente nel Regno Unito e ritirati dall’operatore dei servizi di corriere”.

Per ordini inferiori alle 135 sterline sarà invece necessario pagare l’imposta al momento della vendita, potendo contare su una posizione fiscale attiva a Londra. Le cose si semplificano però enormemente se il commercio di piccolo taglio avviene attraverso marketplace digitali (da Amazon in giù) perché a quel punto è previsto che tocchi a loro la registrazione dell’Iva e il suo versamento. 

Per gli operatori del Regno Unito che invece vendono online – e non solo – in Italia è prevista una procedura meno ingarbugliata, ma non più semplice. L’Agenzia delle entrate ha spiegato di dover ritenere il Regno Unito a tutti gli effetti un paese terzo dopo l’effettiva entrata in vigore della Brexit, nonostante l’ampio accordo di libero scambio. In questo caso non ci sono soglie da superare o contenere: gli operatori britannici dovranno identificare un rappresentante fiscale italiano e chiedere un numero di partita Iva per poter vendere e comprare. 

Scatta anche l’obbligo di possedere il codice Eori per tutti coloro che fanno affari tra Europa e Regno Unito. Il codice identifica il numero di registrazione e identificazioni degli operatori economici (Eori dall’acronimo inglese, appunto) ed è una “combinazione alfanumerica necessaria per la registrazione e identificazione degli operatori economici nei rapporti con l’autorità”. Deve possederlo “qualsiasi operatore economico”, viene sottolineato dall’Istituto per il commercio estero (Ice), ed è richiesto anche nel Regno Unito. “Se le merci arrivano in dogana e non si possiede un codice Eori si potrebbe incorrere nel rischio del blocco della merce, una multa e/o il sequestro del carico”, mette in guardia l’Ice.

Il rallentamento sul reso delle merci

Nodo cruciale per chi fa commercio online è la gestione dei resi. Shippypro, piattaforma per la gestione delle spedizioni e tracking, sottolinea in un report che i resi “da e verso il Regno Unito e la Ue potrebbero subire modifiche. Si prevedono ritardi nelle spedizioni con consequenziale “insoddisfazione” dei clienti in attesa di rimborso. “Il nostro consiglio ai merchant – ha detto Francesco Borghi, ad di ShippyPro – è giocare di anticipo e rivedere la strategia di spedizione ecommerce, senza eliminare la possibilità di reso nei mercati chiave”.

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[Fonte Wired.it]