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giovedì, Nov 21

Carlo Calenda entra in Azione ma a chi parla davvero?


L’ex ministro lancia il suo partito, dedicato all'”Italia che lavora, che fatica, che studia”. Si vedranno le proposte ma il primo rischio è pestarsi i piedi nello stagno del centro-qualchecosa

(Foto Vincenzo Livieri/LaPresse)

Azione è un bel nome. Un po’ mazziniano, ovviamente, un po’ rosselliano e lamalfiano. La conosciamo bene la storia dei due Partiti d’Azione che abbiamo avuto nel nostro paese: il primo risorgimentale, il secondo nato a conflitto mondiale ancora in corso, nel 1942, con in mezzo il fondamentale apporto di Giustizia e Libertà. Carlo Calenda, europarlamentare fuoriuscito dal Pd ed ex competente ministro degli Affari europei e poi dello Sviluppo economico, si pone forse in quella prestigiosa scia? Azzardi e trapianti storici.

Su alcuni quotidiani, e sul sito azione.it (dalle tinte vagamente Ryanair, o anche M5S elezioni 2018), è stato pubblicato oggi il manifesto della nuova creatura dell’ex dirigente di Ferrari e Sky. Ed è davvero un manifesto visto che è un foglione tipograficamente molto faticoso che somiglia più alle pubblicazioni dei tribunali civili che alla brillantezza che serve a un partito che nasce, un “partito-scossa” come lo chiama Calenda in un’intervista al Messaggero. E quindi la scossa: Per una democrazia liberal-progressista. Poi il lancio in conferenza stampa alla Stampa estera e sabato al teatro Eliseo di Roma con un altro ex dem, Matteo Richetti, il Kevin Spacey di Sassuolo, non esattamente un ticket da jackpot, e l’elenco dei primi nomi che aderiscono al partito: Alberto Baban, ex presidente dei piccoli industriali, Walter Ricciardi, ex presidente dell’Istituto superiore di sanità e oggi al vertice del Mission board of cancer, nominato anche all’Human Technopole, l’imprenditore ed ex deputato Luciano Cimmino di Carpisa e Yamamay, amministratori locali come Francesco sindaco di Siracusa, o il sindaco di Cinisi, Gianni Palazzolo, Valentina Grippo, consigliere regionale nel Lazio. E ancora il sociologo Stefano Allevi, il generale Vincenzo Camporini, la storica Emma Fattorini e altri.

Un altro partito che nasce contro?Siamo contro i riformisti che si sono rammolliti. E che si aggregano ai populisti e ai sovranisti – ha spiegato Calenda – questo vale sia per Pd e Italia Viva, che si sono messi al seguito dei 5 stelle, sia per Forza Italia ormai al rimorchio di Salvini. La subalternità dei presunti riformisti è uno dei problemi che affossano il nostro Paese. I sostenitori della democrazia liberale devono essere tosti e coraggiosi”. Noi tosti, voi rammolliti. Magari è pure vero, detto a questo Pd senza bussola. Quindi sì, un altro partito che nasce contro, cioè in opposizione a ciò che c’è, o non c’è, sulla piazza dell’offerta politica. Ma questo, forse, era inevitabile. I vuoti si riempiono sempre.

Un altro partito che punta al fantomatico centro? Stavolta la risposta sembra essere, per fortuna, negativa. Anche se la pratica e l’inconscio non potranno che partorire quella sentenza: “Il centro non esiste nella topografia politica – sostiene Calenda – e neppure userei le categorie moderatismo e moderati. Il discorso è un altro”. Il cuore è quel che si legge anche nel manifesto: Azione dev’essere “il luogo di mobilitazione dell’Italia che lavora, produce, studia e fatica. L’Italia stanca degli scontri inconcludenti tra tifoserie e degli slogan privi di contenuti”. Ma anche l’Italia che “non è in sicurezza” economica, il paese divenuto “profondamente ingiusto” e che deve tornare a rafforzarsi nei suoi pilastri fondamentali: scuola, sanità e sicurezza-giustizia e in cui la prima sia “presidio democratico”. Con una politica economica che investa, protegga e “liberi”. Contro ogni “decrescita (in)felice”.

Sono le parole d’ordine di Calenda, non molto di nuovo per chi lo segua almeno da un certo periodo di tempo e spesso profondamente condivisibili. Quelle con cui in questi mesi ha provato – o forse si è illuso, dopo l’eccezionale riscontro alle europee con 275mila voti al Nord-Est – di poter cambiare o almeno orientare il Pd, su tutti trattenendolo dall’abbraccio mortale dell’esecutivo Conte Bis con i grillini. Un esecutivo in stallo, quello giallorosso, che in effetti gli sta dando ragione. Nonostante il burionismo che di tanto in tanto lo sfiora.

Il rischio è tuttavia che il movimento dell’ex ministro esca un po’ come un partito degli imprenditori, un partito sì della società civile ma quella delle aziende, delle imprese e dei professionisti, dei Parioli insomma. Che dà lavoro e ovviamente dev’essere sostenuta, che fa sfoggio di grande serietà e buonsenso, ma che è giocoforza incompleta in termini di rappresentanza. La sfida sarà ampliare quell’ombrello, “l’Italia che lavora, che fatica, che studia” a fasce sempre più ampie di popolazione con punti precisi, cercando di influenzare l’agenda delle priorità, semmai si schioderà dal fatidico 1,niente per cento a cui sono condannati i partitini di centro-qualchecosa in Italia.

Il primo equilibrismo sarà evitare di pestarsi i piedi con Italia Viva di Matteo Renzi, che in fondo sta già pasturando da qualche settimana sempre dallo stesso stagno di elettori, come +Europa e alcuni altri lillipuziani, a dire il vero senza grande successo: quello della Forza Italia in putrefazione, delle frange del Pd stufe di meline senza direzione e dei governi con Di Maio, dei disillusi dall’incompetenza che puntino ad affidarsi a chi, per lo meno, sa quel che dice. O almeno fa finta di saperlo. Buona fortuna.

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