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venerdì, Ago 30

Carnival Row: la serie fantasy noir è un’occasione sprecata


Su Amazon Prime Video da oggi, la serie con Orlando Bloom e Cara Delevingne sembra From Hell senza il genio di Alan Moore

Carnival Row è la serie fantasy con Orlando Bloom e Cara Delevingne in onda da oggi su Amazon Prime Video. Da un soggetto di Travis Beacham, lo sceneggiatore di un gioiello di fantascienza e geekness come Pacific Rim, questo show in otto puntate segue le indagini di Rycroft Philostrate (i nomi dei personaggi sono alquanto pittoreschi), investigatore solitario di una cittadina che evoca la Londra dell’ultimo decennio del XIX secolo impegnato a indagare su alcuni delitti perpetrati ai danni di creature soprannaturali.

La premessa di Carnival Row è l’esistenza di esseri fantastici che gli umani hanno perseguitato, sterminato e poi messo in schiavitù. Le fate sono tutt’ora vittime di un genocidio che ne ha ridotto quasi all’estinzione la specie; le poche sopravvissute a esecuzioni sommarie sono impiegate come governanti, prostitute o vivono ai margini della società. Vignette Stonemoss è una fata indomita che ha aiutato innumerevoli suoi simili a sfuggire alle persecuzioni; quando sbarca ai Burgues, località caotica, sporca e spietata, è costretta a servire come cameriera presso una coppia di fratelli altezzosi e pieni di pregiudizi.

Carnival Row è creata dal menzionato Beacham con René Echevarria, veterano del piccolo schermo che ha firmato decine di produzioni degli ultimi tre decenni come Star Trek: Deep Space Nine, Dark Angel, Castle e Teen Wolf e che confeziona uno show superficiale, di maniera, poco emozionante, ma che funziona sotto altri aspetti. A partire dalle cupe ambientazioni vittoriane e dalle atmosfere vagamente steampunk che si rifanno alla miriade di film e serie collocate in quel punto fondamentale della letteratura britannica che è la Londra del 1895. La serie di Beachem ed Echevarria vuole essere From Hell in salsa fantasy; al posto del pingue investigatore di mezz’età Frederick Abberline della graphic novel di Alan Moore (nella versione cinematografica trasformato nell’aitante Johhny Depp…) c’è il risoluto e atletico “Philo” interpretato da un Orlando Bloom più inespressivo del solito, e in quelli della prostituta (coi capelli blu al posto che rossi) la sveglia Tourmaline (Karla Crome).

Cara Delevingne è Vignette Stonemoss: un casting azzeccato, anche solo banalmente per l’aspetto della modella britannica molto simile a quello dell’iconografia delle creature fatate. La pettinatura da pixie – che in inglese vuol dire fata – adottata dall’attrice già in tempi non sospetti, i lineamenti delicati e i grandi occhi bastano a supplire la debolezza della recitazione. Cara sembra nata per interpretare una fata quanto Evangeline Lilly per impersonare un elfo.

Se la cavano meglio gli interpreti dei personaggi secondari, da Karla Crome (la prostituta Tourmaline) a Jared Harris (Absalom Breakspear) e alla sempre strepitosa Indira Varma (Game of Thrones, Torchwood) qui nei panni di Piety Breakspear, consorte manipolatrice di Absalom. Tutti sono coinvolti, in un modo o nell’altro, nell’omicidio, efferato e raccapricciante, di una fata morta sventrata. Sempre sulla falsariga di From Hell, la risoluzione è lontana dall’essere ascrivibile a un atto di violenza cieca ma riconduce alle immancabili e machiavelliche cospirazioni che l’incorruttibile Philostrate persegue senza pietà.

Carnival Row oscilla tra fantasy e period, tra noir e thriller quanto tra dramma e romance: la storia d’amore c’è perché sembra inserita a forza dal saggio Echevarria che conosce il pubblico seriale e ritiene che non possa mancare. Probabilmente ha ragione, eppure Delevingne e Bloom, come i rispettivi personaggi, non condividono grande alchimia. Molto più intrigante è la coppia formata da una umana spocchiosa e viziata e una creatura (non vi diremo quali) che dimostra quanto la passione e l’attrazione vincano sempre e inevitabilmente sulla ragione, i pregiudizi e la pruderie.

Il pregio maggiore di Carnival Row resta quello di vantare un buon budget e di averlo sfruttato bene per creare le belle scenografia, fotografia e i costumi di un mondo opprimente, dark ma suggestivo e pittoresco; il difetto più grande è di prendersi sul serio: priva di ironia – e di autoironia – finisce per impelagarsi nella critica sociale perdendosi nell’ennesima parabola sul razzismo tramite l’analogia con creature non umane – qui sono le fate, ma prima di loro ci sono stati i mutanti, i licantropi, i vampiri, gli alieni – e in quella politica, con un finale scontato e fatalista. Carnival Row è un fantasy noir (poco più) che guardabile, se si sanno ignorare le pretese dei suoi autori di essere più di uno svago.

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