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sabato, Nov 07

Caro Conte, quando saranno pubblicati dati e parametri sul coronavirus?



Da Wired.it :

Le zone gialle, arancioni e rosse sono attive, eppure ancora i cittadini non possono conoscere i dati puntuali dei 21 criteri decisivi, né il meccanismo esatto di elaborazione da cui le decisioni sono dipese. Un ritardo nell’esercizio della trasparenza che si fa sempre più grave

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Giuseppe Conte alla conferenza stampa del 4 novembre

“Questi dati li dobbiamo rendere assolutamente accessibili, con i relativi indicatori. È giusto che in questo momento – in termini di accountability – ci sia trasparenza, e che siano accessibili anche gli indicatori e i meccanismi, a tutta la comunità scientifica. Il confronto deve avvenire, oltre che con la comunità scientifica, con i cittadini, che in questo momento sono fuori da questo sistema”.

Sono le parole esatte pronunciate intorno alle 20:40 di mercoledì 4 novembre dal premier Giuseppe Conte rispondendo alle domande della conferenza stampa di presentazione dell’ultimo Dpcm, quello che stabilisce il meccanismo giallo-arancione-rosso delle regioni. Il riferimento è naturalmente ai 21 indicatori e criteri che (con un meccanismo per ora non molto chiaro) definiscono il livello di misure restrittive a cui ciascuna regione debba essere sottoposta.

La dichiarazione del premier con riferimento al tema dell’open data e alla necessità di rendicontare ai cittadini le scelte governative, soprattutto in una fase delicata come quella che stiamo affrontando, non può che trovare tutti d’accordo. A maggior ragione in un momento storico in cui da un lato la disponibilità di dati è cruciale per prendere decisioni razionali e consapevoli, e allo stesso tempo si moltiplicano le richieste di trasparenza sui criteri quantitativi che hanno portato a catalogare ciascuna regione in uno dei tre livelli cromatici.

Il punto, però, è che questi dati continuano a non esserci. Se già da mesi a più voci si è alzata la richiesta corale del dateci i dati (Wired lo ha fatto ad aprile e a ottobre, per esempio), ora l’urgenza si è fatta più stringente che mai. Non a caso proprio oggi, venerdì 6 novembre, è stata pubblicata una lettera aperta indirizzata al governo italiano da parte di #datiBeneComune, con una serie di precise richieste relative a dati aperti, interoperabili e disaggregati, accompagnati da evidenze scientifiche e con la messa a punto di un metodo standardizzato nei tempi e nei formati. Un’iniziativa trasversale promossa, peraltro, anche da giornalisti e collaboratori di Wired.

La comunità scientifica e i cittadini citati da Conte, infatti, avrebbero il diritto di conoscere i dati puntuali che guidano le decisioni prima che le decisioni siano comunicate, o al più tardi contestualmente alle decisioni stesse. Insomma, i dati non possono essere usati come giustificazione a posteriori (e da attendersi in un futuro non meglio definito) per ciò che è già accaduto, ma dovrebbero anticipare i provvedimenti, di modo che i cittadini possano più facilmente comprendere la situazione e la logica dietro alle regole a cui sono invitati ad adeguarsi.

In questa particolare settimana, poi, ai semplici dati in arrivo da comuni, province e regioni si aggiungono anche altri elementi decisivi. L’insieme degli indicatori riportati nei provvedimenti ufficiali, infatti, è stato presentato come utile e decisivo per individuare il livello di rischio attraverso il sistema di sorveglianza integrata (ministero della Salute, Comitato tecnico scientifico e Istituto superiore di sanità). Ma poi, almeno per il momento, dal punto di vista del cittadino resta solo una grande black box da cui con un procedimento non noto deriva il verdetto sul colore di ciascuna regione.

Sempre nella medesima conferenza stampa, Conte ha definito “predefiniti” e “oggettivi” – nonché inflessibili a “qualsiasi contrattazione” – i criteri utilizzati dal sistema di sorveglianza integrata per “leggere e interpretare i dati”.

Ammesso e non concesso che questi dati complessi e puntuali esistano per tutte le regioni – e che siano stati utilizzati per arrivare a regolare le chiusure secondo un processo decisionale ben definito – come mai non sono ancora stati resi pubblici? Quali sono le soglie che, per ciascun parametro, individuano i diversi livelli di stress della sanità regionale? E poi, soprattutto, in che modo si combinano i 21 indicatori nella cosiddetta matrice del rischio per dare una valutazione unica e complessiva della situazione regionale? Banalmente, hanno tutti lo stesso peso?

E se a diverse ore dall’annuncio ancora non si sa nulla, i casi sono evidentemente due. Opzione uno: ci sono grandi difficoltà nel reperire i dati stessi, tanto che di fatto anche nel sistema di sorveglianza integrata ci si è basati solo su informazioni sparse e frammentarie per arrivare alla valutazione finale. In questo caso sarebbe interessante che la situazione fosse resa nota e che, per pochi che siano, i dati fossero comunque comunicati.

Seconda possibilità: i dati ci sono, ma per qualche ragione si sta scegliendo di non renderli pubblicamente disponibili. Se poi questa ragione sia di carattere tecnico-informatico, di scelta politica per non rivelare situazioni contraddittorie e fomentare le già accese polemiche per regioni come Piemonte o Campania, di sicurezza nazionale per motivi inimmaginabili, per una situazione caotica nell’effettivo algoritmo che combina i dati o per qualunque altra ragione, è difficile saperlo.

In tutti i casi, però, quello di rendere accessibili dati e criteri, oppure di comunicare apertamente con un’adeguata motivazione che questi dati non verranno mai forniti, è un esercizio di trasparenza che non può più aspettare. Come peraltro ha affermato Conte stesso.

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[Fonte Wired.it]