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Threads punta al fediverso | Wired Italia

Threads punta al fediverso | Wired Italia



Da Wired.it :

Threads fa un passo verso il fediverso, l’insieme di server interconnessi ma indipendenti che punta a fornire agli utenti un’alternativa ai social media – e, più in generale, a internet -. Puntando su un approccio decentralizzato, ed eliminando ogni possibile rapporto di dipendenza tra utenti e piattaforme, il fediverso permette a ognuno di noi di essere proprietario della propria identità digitale, spostandola da un server all’altro a proprio piacimento. Inoltre, come se non bastasse, questo sistema consente agli utenti di pubblicare i propri contenuti su più piattaforme e server contemporaneamente, così da incrementare la visibilità all’interno della comunità. Considerando l’enorme successo riscosso da Mastodon e da altre realtà del fediverso negli ultimi mesi, non c’è da stupirsi che Meta abbia deciso di intraprendere la strada della decentralizzazione.

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In una recente intervista rilasciata a Wired la project manager della società, Rachel Lambert, ha dichiarato che gli utenti di Threads potrebbero essere in grado di accedere alle nuove funzionalità del fediverso tra un paio di mesi, grazie al supporto del protocollo ActivityPub. “Ci stiamo lavorando – ha dichiarato la Lambert -. Ma credo che la cosa più importante sia assicurarci che l’esperienza sia davvero buona e che le cose funzionino davvero“. A confermare l’ipotesi di integrazione tra la piattaforma e il fediverso arriva anche l’esperto Alessandro Paluzzi, che proprio ieri ha condiviso su X uno screenshot che mostra l’opzione “condivisione nel fediverso” tra le impostazioni di un account Instagram, il che consentirà senza dubbio una visibilità maggiore ai post degli utenti della nuova piattaforma di Meta.

Ma se questo da un lato rappresenta un enorme passo in avanti per chi utilizza Threads, dall’altro è un pericolo enorme per i sostenitori del fediverso, che da sempre hanno voluto creare un’alternativa all’internet delle Big Tech – di cui Meta è invece una protagonista assoluta. A rendere ancora più complessa questa situazione c’è l’incertezza che gli utenti di Threads possano davvero apprezzare l’integrazione con il fediverso. Finora, infatti, il pubblico delle piattaforme di Meta si è sempre dimostrato interessato a creare un proprio profilo per utilizzare l’app singola, senza preoccuparsi di inserirsi in un contesto interconnesso come quello a cui appartiene Mastodon. Che si tratti, allora, di una mossa per studiare l’universo alternativo dei social decentralizzati?





[Fonte Wired.it]

I deepfake truffa nelle video riunioni

I deepfake truffa nelle video riunioni



Da Wired.it :

Ancora cattive notizie legate ai deepfake. Appena qualche settimana fa un dipendente della filiale di Hong Kong di una nota multinazionale è stato indotto con l’inganno a pagare oltre 25 milioni di dollari locali (circa 3 milioni di euro), dopo essere stato invitato a partecipare a una finta riunione di lavoro, i cui partecipanti si sono rivelati creati dalla tecnologia. Secondo quanto riportato dal South China Morning Post, a gennaio lo sfortunato dipendente avrebbe ricevuto un’email dal presunto direttore finanziario della sede del Regno Unito, che lo informava della necessità di effettuare una transazione segreta. E anche se all’inizio il dubbio era che potesse trattarsi di un’email di phishing, si è convinto che tutto fosse a posto dopo aver partecipato a una videochiamata in cui erano presenti altri dipendenti della compagnia.

Solo dopo aver riconosciuto i suoi colleghi, infatti, il dipendente del dipartimento finanziario della multinazionale ha deciso di trasferire 25,6 milioni di dollari su diversi conti bancari di Hong Kong. Ma è bastata una settimana affinché si rendesse conto di essere rimasto vittima di una truffa perfettamente orchestrata, grazie anche al video deepfake della riunione in cui era stato coinvolto. Una volta capito l’inganno, l’uomo – la cui identità rimane anonima, così come l’azienda di appartenenza – ha subito contattato la sede centrale della compagnia, che si è mossa per contattare le forze dell’ordine.

Una storia incredibile, che dimostra quanto possano essere pericolosi i deepfake, soprattutto quando finiscono nelle mani sbagliate. La stessa polizia di Hong Kong, infatti, ha rivelato che negli ultimi mesi molti criminali hanno utilizzato questa tecnologia per mettere a segno le proprie truffe, o addirittura per ingannare i sistemi di riconoscimento facciale utilizzando l’immagine di persone a cui erano state rubati i documenti di identità. Per non parlare del caos Taylor Swift della scorsa settimana, durante la quale la cantante si è vista protagonista di video deepfake porno che hanno letteralmente invaso la rete. La questione è complessa, ed estremamente pericolosa. Pertanto, adesso non resta altro che aspettare che le autorità si muovano per cercare di regolamentare l’uso di questa tecnologia.



[Fonte Wired.it]

Microsoft , le 3 sfide vinte sotto la guida di Satya Nadella

Microsoft , le 3 sfide vinte sotto la guida di Satya Nadella



Da Wired.it :

Quando nel 2013 il giornalista di Cnbc Jim Cramer coniò il termine Faang per raggruppare in un termine le big tech che guidavano il mercato globale, escluse Microsoft da una cerchia che comprendeva Facebook, Apple, Amazon, Netflix e Google. Di lì a qualche mese, precisamente il 4 febbraio 2014, Satya Nadella sarebbe diventato il nuovo amministratore delegato dell’azienda di Redmond, prendendo il posto che fu di Bill Gates prima e di Steve Ballmer poi.

Se a dieci anni di distanza Microsoft ha compiuto il sorpasso su Apple diventando la più grande azienda al mondo per capitalizzazione di mercato, per un valore totale che ha anche superato quota tremila miliardi di dollari, buona parte del merito è anche di quell’ingegnere di Hyderābād entrato in azienda nel 1992 a 25 anni e divenuto vicepresidente prima del reparto ricerca e sviluppo della divisione servizi online, poi del reparto Business, vicepresidente esecutivo del settore cloud e aziendale e, per l’appunto, amministratore delegato. È infatti proprio a Nadella che il colosso di Redmond deve la spinta nel cloud computing, gli investimenti nell’intelligenza artificiale e la politica di acquisizioni che ne ha ampliato il target di riferimento.

Il cloud computing

Sin dal suo insediamento, l’ad ha puntato su una strategia che seguisse la filosofia mobile first, cloud first. La prima mossa in questo senso fu la scelta di rendere gratuito Office Mobile anche per gli universi iOs e Android. Una mossa che oggi qualcuno definirebbe “win-win”, poiché votata a mantenere gli utenti nell’ecosistema Windows, stimolandoli al contempo a esplorare tutto il mondo cloud di Microsoft.

Nel 2019, a metà del percorso compiuto finora da Nadella nel suo attuale ruolo, cloud fu la parola chiave del discorso che pronunciò davanti a un pubblico di mille persone corse ad ascoltarlo all’università Bocconi di Milano per il Microsoft innovation summit. Già allora, d’altronde, i ricavi da servizi cloud e server per la società erano cresciuti, anno su anno, del 27%. Un risultato legato soprattutto al boom del 73% della piattaforma Azure, oggi peraltro al centro di accordi da miliardi di dollari, come quello stretto a gennaio con Vodafone.

L’intelligenza artificiale

Per quanto riguarda l’intelligenza artificiale, Microsoft è stata la prima big tech a credere davvero in OpenAI, iniziando a partecipare ai progetti di sviluppo della tecnologia della creatura di Sam Altman già nel 2019 con un investimento iniziale da un miliardo di dollari. Il merito di Satya Nadella è stato quello di aver capito subito quanto la collaborazione con la società di San Francisco potesse assicurare alla sua un ruolo di rilievo nel comparto dell’IA. Aspettativa che si è tradotta in realtà anche grazie a Copilot, un sistema basato sull’intelligenza artificiale che automatizza alcuni aspetti della programmazione.

Le acquisizioni

Il rilancio di Microsoft negli ultimi dieci anni non è passato però solo dal cloud computing e dall’intelligenza artificiale. Un ruolo importante è stato ricoperto infatti dalle acquisizioni portate a termine dal colosso di Redmond sotto la guida di Nadella. Per capirne l’effettiva portata, basta citare quelle di LinkedIn e di Activision Blizzard, che ben evidenziano l’obiettivo della politica dell’ad: ampliare il pubblico dell’universo dell’azienda.

Nel giugno 2016 Microsoft rileva il social network professionale in un’operazione da circa 26,2 miliardi di dollari, 6,2 in più di quanti ne sono serviti a Facebook per far proprie Instagram (1) e Whatsapp (19), quasi 20 in più di quanti la stessa azienda di Redmond ne ha spesi per comprare Skype (8,5). Tra il 2022 e il 2023, con un investimento da 69 miliardi di dollari, la società di Redmond compra Activision Blizzard, con lo scopo di diventare la terza società videoludica più grande al mondo dietro a Tencent e Sony e crescere sempre di più anche nell’ambito del cloud gaming.

In borsa

Il primo giorno dell’undicesimo anno di gestione Nadella per Microsoft si è aperto con un valore per azione del proprio titolo a Wall Street di 411,22 dollari. Un volo che per molti addetti ai lavori è destinato a non arrestarsi.



[Fonte Wired.it]

Sanremo, perché il festival si fa proprio nella città ligure?

Sanremo, perché il festival si fa proprio nella città ligure?



Da Wired.it :

Tutti conoscono il noto claim in voga nell’era Pippo Baudo: “Perché Sanremo è Sanremo”. Molti meno, invece, sanno perché il Festival di Sanremo si fa proprio a Sanremo. Arrivati alla 74esima edizione, forse, è arrivato il momento di conoscere il motivo per cui, ogni anno, la città della riviera ligure diventa un Super Bowl italiano di cinque giorni. Possiamo dire che a Sanremo la musica è arrivata partendo dalla Toscana. Tutto è iniziato nei primi mesi del 1948 quando Achille Franceschi, il fondatore del celebre locale “La Capannina” di Forte dei Marmi, ebbe l’idea di portare nell’estate della Versilia i maggiori cantanti dell’epoca per attirare una clientela sempre più ampia. La gara musicale fu l’escamotage che sfruttò Franceschi per aggirare in qualche modo gli onerosi cachet degli artisti. Il premio fu chiamato Festival Canoro Nazionale. Il nome suonava bene e garantiva anche un ché di prestigioso. Il successo fu incredibile. Il format era diverso da come lo conosciamo oggi: solo due serate e dieci cantanti in gara. Bastarono, per l’epoca, a far parlare tutta la stampa locale. La Capannina attirò clienti da tutta la Toscana e in quei due anni giovò delle prime edizioni ante litteram del Festival.

Il Festival di Sanremo nel Casinò della città ligure

Mondadori Portfolio/Getty Images

Da La Capannina al Casinò di Sanremo

Quello che sarebbe potuto diventare il Festival di Forte dei Marmi o, più, in generale della Versilia, finì però lì. La terza edizione, infatti, non vide mai la luce. I cantanti, infatti, visto il successo dei primi due anni iniziarono a chiedere un ingaggio molto più alto. Richieste che Achille Franceschi non voleva e non poteva assecondare. Gli sponsor, allora, non erano determinati come oggi. E allora, come siamo arrivati a Sanremo? Alla seconda edizione del Festival Canoro Nazionale organizzato alla Capannina aveva assistito anche un certo Angelo Nizza. A molti dirà poco, ma oltre a essere un giornalista, Nizza era anche il direttore artistico del Casinò di Sanremo. Il collegamento, però, non è così immediato come si potrebbe intuire. Venuto a sapere della mancata terza edizione della manifestazione organizzata a La Capannina, all’inizio del 1950, Nizza propose di replicare l’idea a Pier Busseti, gestore del celebre Casinò da pochi mesi. L’idea non entusiasmava particolarmente Busseti, soprattutto per i costi. Angelo Nizza, però, era deciso ad andare avanti e provò a convincerlo del fatto che un evento simile avrebbe potuto richiamare i turisti al di fuori della stagione balneare.

Lo zampino del ciclismo sul Festival

Se il Festival oggi è l’evento principale della città di Sanremo, lo si deve anche al ciclismo. Proprio nel periodo in cui Nizza e Bussetti discutevano della possibilità o meno di appropriarsi in qualche modo dell’idea del Festival tenutosi negli anni precedenti a La Capannina, un altro evento attirava l’attenzione di molti turisti. La classica del ciclismo italiano che apre la stagione delle corse: la Milano-Sanremo. Migliaia di persone riempivano le strade della Riviera per vedere i grandi ciclisti dell’epoca nel clou dell’era in cui Fausto Coppi e Gino Bartali si dividevano successi e gloria dando vita a una delle rivalità più avvincenti dello sport italiano. A vedere la vittoria di Bartali nella corsa che si tenne il 18 marzo 1950 non c’erano però solo semplici appassionati ma anche molti ricchi turisti che avevano colto l’occasione anche per fare una visita al Casinò. Questo successo di pubblico (e di incassi per il Casinò) convinse Busseti a dare il via al Festival. Secondo le cronache dell’epoca riportate qua e là ancora oggi sembra che Nizza, grandissimo tifoso di Coppi, sosteneva di dover ringraziare Bartali per la realizzazione della sua idea di maggior fortuna.

Nunzio Filogamo presenta il primo Festival di Sanremo.

Mondadori Portfolio/Getty Images

Dall’idea alla realizzazione

A quel punto era fatta, o quasi. Mancava l’autorizzazione del comune e un po’ di sponsor che sostenessero l’evento. Il via libera del Municipio fu praticamente immediato: nel 1950 il sindaco di Sanremo era il democristiano Paolo Mauel Gismondi. La sua idea era quella di trasformare la città nella capitale della ricca borghesia vacanziera del nord-ovest: una manifestazione simile, di valenza nazionale, non poteva che essere in linea con il suo programma politico. Gismondi diede il suo benestare dichiarandosi disposto anche a investire fondi pubblici nell’evento, a patto però che il Festival fosse trasmesso via radio. E lo stesso volevano anche le aziende che a Nizza avevano dichiarato il proprio interesse nel finanziare l’evento. Il giornalista e direttore artistico del Casinò aveva già riallacciato i contatti con i suoi vecchi colleghi dell’Eiar (l’Ente italiano per le audizioni radiofoniche) e che lavoravano ancora in Rai. Il 14 novembre 1950 dalla sede Rai di Roma fu spedita una lettera a tutti gli editori musicali che comunicava “l’indizione del Festival della canzone italiana di San Remo, d’intesa con la Direzione del Casinò Municipale di San Remo, nuovo contributo della Rai per la valorizzazione della canzone italiana”.Nel messaggio si invitava a inviare: “entro il 30 novembre una canzone inedita di autore e compositore italiano, che, qualora selezionate dalla commissione, sarebbero state eseguite da un’orchestra della Rai in un doppio spettacolo (in programma, ndr) verso la fine di gennaio, presso il Casinò di Sanremo e trasmesso in radiofonicamente e sui radiocorrieri”. Il resto è storia: il 29 gennaio 1951 vide la luce il primo Festival di Sanremo, in scena al Casinò della città. La manifestazione, condotta da Nunzio Filogamo, vedeva la partecipazione di soli tre interpreti che si alternavano sul palco per interpretare le 20 canzoni in concorso. Erano: Nilla Pizzi, il Duo Fasano e Achille Togliani. Come tutti sanno, vinse Nilla Pizzi con Grazie dei fiori.



[Fonte Wired.it]

Oleg Kononenko batte il record di permanenza nello Spazio

Oleg Kononenko batte il record di permanenza nello Spazio



Da Wired.it :

Più di 878 giorni. È il record mondiale di permanenza in nello spazio appena battuto da Oleg Kononenko. A riferirlo è l’agenzia spaziale Roscosmos, secondo cui domenica scorsa il cosmonauta russo ha trascorso un tempo totale di permanenza in orbita di oltre 878 giorni in 5 missioni spaziali diverse. Battendo così il precedente record stabilito nel 2015 da un suo connazionale, l’astronauta russo Gennady Padalka, che consisteva in 878 giorni, 11 ore e 29 minuti. “Sono orgoglioso di tutti i miei successi, ma sono ancora più orgoglioso del fatto che il record per la durata totale della permanenza umana nello spazio sia ancora detenuto da un cosmonauta russo”, ha commentato Kononenko all’agenzia di stampa russa Tass, riportato da Reuters.

Il record di Oleg Kononenko

Il 59enne Kononenko ha battuto il record mentre si trovava sulla Stazione Spaziale Internazionale (Iss), raggiunta il 15 settembre dello scorso anno, insieme all’astronauta russo Nikolai Chub e l’astronauta della Nasa Loral O’Hara. Kononenko, secondo le previsioni, dovrebbe raggiungere anche i mille giorni nello spazio il 5 giugno 2024. “Volo nello spazio per fare la mia cosa preferita, non per stabilire record”, ha aggiunto Kononenko. La Iss, ricordiamo, è tra i pochi progetti internazionali rimasti in cui gli Stati Uniti continuano a cooperare strettamente con la Russia, nonostante la guerra in corso in Ucraina. Lo scorso anno, Roscosmos ha annunciato l’estensione del programma di voli con la Nasa alla Iss fino al 2025.

I record di permanenza

E se da una parte per i cosmonauti uomini, Padalka e oggi Kononenko, si parla di oltre gli 878 giorni (Luca Parmitano ha trascorso 366 giorni 23 ore e 1 minuto con due voli), per le donne il record di permanenza nello Spazio appartiene alla statunitense Peggy Whitson che ha raggiunto quota 665 giorni. Seguita poi dall’italiana Samantha Cristoforetti che con due viaggi ha trascorso nello Spazio 370 giorni 5 ore e 45 minuti e dalla cosmonauta della Nasa Shannon Walker che, sempre in 2 missioni, ha raggiunto quota 330 giorni, 13 ore e 40 minuti. L’attuale record di permanenza ininterrotta nello Spazio, invece, è di Valerij Poljakov, cosmonatua e medico russo che ha trascorso 437 giorni in orbita tra il 1994 e il 1995.



[Fonte Wired.it]

Stati Uniti, la rabbia nascosta è l’asso nella manica di Trump

Stati Uniti, la rabbia nascosta è l’asso nella manica di Trump



Da Wired.it :

Trump è riuscito a convincere il suo esercito delle cose più assurde, la peggiore delle quali le elezioni del 2020 rubate da Biden: la goccia che ha fatto traboccare il vaso per chi finalmente aveva votato, si era sentito rappresentato. Ha detto loro che era venuto il momento di “fargliela vedere”, a questa Washington cieca e a questi liberal che fanno tanta paura. Il popolo MAGA non si ferma davanti a nulla e la sua energia inebriante gonfia il Donald come se fosse un re, un dittatore.

Un palloncino arancione

Poco più del 66% dei repubblicani appoggia Trump. Più della metà. Grazie a Dio, però, non tutti sono come quelli che vediamo in televisione, con i cappellini rossi. Una piccola parte del partito ha mantenuto una certa dignità che ormai puzza quasi di vecchio. Una minoranza che non è mai caduta nella trappola populista. Mi riferisco a Chris Christy, a Liz Cheney, a Mitt Romney che ancora non credono ai propri occhi e che hanno voce in capitolo grazie a una manciata di fedelissimi. Sono loro i repubblicani moderati che vantano di non aver mai votato per l’ex presidente.

Poi, al di fuori del marasma MAGA, ci sono gli indipendenti, i non affiliati a nessuno dei due partiti. Le recenti primarie nel New Hampshire, vinte da Donald Trump, mostrano alcuni dati interessanti: tra di loro, la maggior parte ha scelto Nikki Haley, per esempio. Chissà in quanti sceglieranno Biden? Saranno loro, molto probabilmente, a fare il buono e il cattivo tempo in politica.

Anche i democratici, a modo loro, hanno subito dei cambiamenti radicali. Il grande partito democratico degli Stati Uniti, quello di Kennedy, di Obama e adesso di Biden, è come un grande dinosauro lento, ma inesorabile. I vecchi, sani principi di uguaglianza, di diritti, di interventi pubblici per chi ha più bisogno, di risorse per l’istruzione, l’ambiente, per le minoranze sono sempre lì, inattaccabili. Ma all’interno di questa macchina si è fatto strada un gruppo sempre più numeroso di estrema sinistra (lo so, fa ridere in America). Sono quelli che appoggiano il politically correct più estremo e il movimento woke; quelli che scendono in piazza, quelli che supportano una società gender fluid. Sono quelli impegnati. Sono i figli di Bernie Sanders, per dire: giovani laureati, che hanno famiglie benestanti e che hanno voglia di crearsi uno spazio loro, con i loro principi e che sperano di influenzare il resto del partito, il resto dell’America. Non sono chiassosi, non indossano nessuna divisa, non emulano nessuno, ma ci sono, e stanno influenzando diversi settori della cultura e della società americane, tentando disperatamente di oliare l’America, renderla più fluida, più simpatica e molto, molto più giovane.

Siamo di fronte a un’America divisa profondamente e che se mai si dovesse trovare faccia a faccia nelle piazze, farebbe un po’ paura. Qualcuno dice che la rivoluzione civile è dietro l’angolo. Per ora facciamo molta attenzione a cosa succederà a novembre. E incrociamo le dita.



[Fonte Wired.it]