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Mac, le migliori app per facilitarvi la vita
| Wired Italia

Mac, le migliori app per facilitarvi la vita | Wired Italia



Da Wired.it :

Highland 2

Photograph: Quote-Unquote Apps 

Highland è un editor di testo semplice destinato principalmente a sceneggiature e opere teatrali, ma ci sono anche modelli per scrivere altre cose, per esempio romanzi. La cosa bella è che configura automaticamente i copioni esportati in formati standard del settore, e c’è un nuovo strumento di analisi di genere che scompone le battute recitate dai personaggi, suddivise per genere. La versione base (che applica in filigrana sui pdf il logo dell’azienda) è gratuita, ma l’acquisto unico di 59,99 € vi permette di avere upgrade e più funzionalità, liberandovi dell’invadente filigrana.

Siete confusi su quali caratteri vadano dentro le virgolette e quali fuori? Potete fare in modo che nessuno abbia qualcosa da ridere sulla grammatica, l’ortografia e la sintassi dei vostri testi in inglese con Grammarly, un’applicazione che funziona sia su browser che desktop. Che stiate scrivendo in un client di posta elettronica, in un elaboratore di testo o in un’altra applicazione, Grammarly funziona sempre. Sebbene esista una versione gratuita, la versione Premium da 12 euro al mese offre un servizio molto più attivo con la riscrittura di intere frasi, idee di vocabolario e suggerimenti sul tono. Inoltre, anche se Word ha un editor altrettanto utile, è possibile utilizzare Grammarly sul software di Microsoft grazie a un plugin facile da installare.

Tenere un diario è un’esperienza meditativa ma se siete come me e la vostra calligrafia sembra un messaggio di sos inciso su una roccia, tendenzialmente eviterete la carta. Day One è un fantastico diario digitale che vi permette di inserire fotografie, salvare registrazioni vocali ed esportare le vostre annotazioni in vari formati, tra cui il pdf. Le vostre note sono crittografate end-to-end, hanno un back up automatico, e sono protette da un passcode o anche da dati biometrici. C’è una versione gratuita, ma è molto limitata, quindi è meglio pagare i 37,99 € all’anno per la serie completa di funzioni. È previsto un periodo di prova gratuito di sette giorni.

Lavorare in un posto rumoroso, o particolarmente silenzioso, può essere un’enorme distrazione. Dark Noise ti permette di mixare in modo personalizzato i suoi 50 suoni incorporati per creare perfette illusioni audio, dove “perfetto” può traursi gocce di pioggia che cadono su una tenda o un ventilatore che ronza su un davanzale. Anche se se non siete sotto attacco sonoro, un di rumore di fondo uniforme potrebbe migliorare la vostra concentrazione.

Immagini e video

VLC Media Player

Courtesy of VideoLAN

Se avete bisogno di un visualizzatore di immagini che vi permetta di modificare e visualizzare i metadati, di elaborare in batch cataloghi di file di immagini Raw e di impostare processi automatici per ordinare e classificare le foto, allora passate ad ApolloOne. È un programma per veri fotografi, o quanto meno per persone che scattano molte fotografie e vogliono organizzarle. La prova gratuita di 14 giorni limita quello che potete fare, ma è un buon modo per capire se volete pagare 11,99 € all’anno per la Standard Edition o 20,49 € annui per la Pro Edition (potete sfruttare la prova gratuita anche oltre i 14 giorni se non vi disturbano i fastidiosi pop-up che vi ricordano di abbonarti.) Un’alternativa gratuita è XnView MP.

In Lightroom ho trovato il giusto equilibrio tra la profondità dei potenti strumenti di editing e l’intuitività dell’interfaccia utente, con tutte le opzioni per regolare il contrasto del colore, la temperatura, la distorsione e altro ancora. Per modificare e archiviare le immagini sul desktop, invece di utilizzare 1 tb di spazio di archiviazione nel Cloud di Adobe, è necessario passare a un piano più costoso, che però include anche Photoshop. Se fate sul serio con l’editing fotografico, questo è il pacchetto che fa per voi. Sebbene la curva di apprendimento di Photoshop sia ripida, è uno standard del settore. Il pagamento di una licenza consente di utilizzarlo su qualsiasi dispositivo, dal cellulare al tablet al computer. È disponibile una versione di prova gratuita di sette giorni, se desiderate testarlo prima di impegnarvi nell’acquisto.

Nonostante siano diffusissimi, i computer rendono difficile utilizzare i pdf. Se sono finiti i tempi in cui si doveva scaricare un programma a parte solo per leggerli, è comunque necessario un software stand-alone per compilare campi e inserire la firma digitale sui moduli. La prossima volta che qualcuno vi invia un pdf da firmare e compilare, risparmiati la fatica di stamparlo, firmarlo e scansionarlo di nuovo. Usate Adobe Reader e nel giro di pochi minuti il gioco è fatto.

Questo vecchio classico del 2001 è un ottimo riproduttore di video che continua a essere supportato. Funziona con una valanga di formati di file e codec, vi permette di convertire un tipo di file in un altro, e offre una gamma di metodi di compressione di audio e video per ottenere file più piccoli dai Raw o quelli più grandi. Se scaricate molti video, è di una facilità assoluta. È anche un prodotto open source, quindi siate gentile e donate qualche euro se finite per usarlo molto.

Realizzata dai creatori di Evernote, Skitch ha una marcia in più della app per screenshot incorporata in MacOs. Quando immortalate una finestra, una porzione dello schermo o lo schermo intero, potete modificarlo e inserire frecce, forme, richiami testuali e altro ancora. Potete anche pixelare parti di un’immagine per nascondere informazioni sensibili, o focalizzare l’attenzione su un punto.

Organizzazione

Paprika Recipe Manager

Courtesy of Paprika App

Riordinare le cartelle è una faticaccia, e non si finisce mai classificare tutti i file. È qui che entra in gioco Hazel. Voi indicate all’app le cartelleda controllare — per esempio, i Download — e lei sposta automaticamente i file a nuove cartelle di destinazione e li suddivide per nome, data, tipo, il sito da cui provengono e altro ancora. I file appena creati o scaricati vengono spostati automaticamente. E dovete pagare una volta sola.

Invece di dover effettuare a tutti gli account che usate per la posta elettronica, il lavoro, e i social media in singole schede del browser, potete collegarli tutti con Shift. Questo significa che avrete solo una finestra aperta per tutte le tue mansioni lavorative. Potete collegareGmail, Slack, Instagram, Facebook Messenger, Airbnb, LinkedIn, Spotify, Google Docs e altro ancora (anche le estensioni di Chrome). Il livello Advanced sblocca tutto quello potreste desiderare a 149 dollari all’anno. Ma provate prima il livello base, che è gratuito.

iCloud di Apple funziona abbastanza bene per la maggior parte degli utenti che hanno solo bisogno di un modo per accedere a file e fotografie sul cloud. Ma iCloud è un po’ complicato da usaresui dispositivi non Apple. Dropbox è un’opzione migliore per chi ha un mix di dispositivi Apple, Android e Windows. Offre anche una migliore finestra di anteprima dei file e l’integrazione con Microsoft Office. La versione gratuita di Dropbox offre fino a 2 GB di spazio di archiviazione, sufficienti per file semplici, come i documenti; ma se volete archiviare file più grandi è necessario spendere 9,99 € al mese per il piano a pagamento più economico. In questo modo avrete ben 2 Tb di archiviazione e potrete recuperare le versioni precedenti dei vostri documenti degli ultimi 30 giorni. Dropbox non è un’applicazione di backup. I file in Dropbox rispecchiano quelli presenti nella cartella del computer, quindi se un file viene eliminato sul desktop, è cancellato anche dal cloud.

Ascoltatemi bene. Anche se questo caposaldo del mondo aziendale potrebbe farvi tornare in mente il vostro lavoro, è comunque una piattaforma fantastica per le chat che organizzano gruppi di appassionati. La pressione a rispondere immediatamente è minore rispetto ai messaggi di testo, e a differenza dei gruppi di WhatsApp, ci sono molte opzioni per filtrare le intrusioni quando non volete essere disturbato. Puoi impostare orari in cui non volete essere disturbati, ricevere notifiche quando qualcuno vi manda un messaggio diretto o vi cita in un canale, e silenziare del tutto alcuni canali.



[Fonte Wired.it]

Emoji, come le legge il nostro cervello legge
| Wired Italia

Emoji, come le legge il nostro cervello legge | Wired Italia



Da Wired.it :

Le caratteristiche elettriche registrate, inoltre, facevano dedurre che fosse più semplice capire una faccina che un volto, al punto che il numero di risposte corrette era più elevato per le emoji che per i volti umani: 92,7% contro 82,4%, riassume Proverbio: “In altre parole le persone riconoscevano con maggiore precisione e chiarezza le emozioni trasmesse dalle faccine piuttosto che dai volti reali“.

Non tutte le emozioni sono uguali

Ci si potrebbe chiedere perché sia più facile leggere (emotivamente) un’emoji che un volto. La risposta che le due ricercatrici danno nel paper è questa: “Le faccine, per la loro natura schematica, possano essere più facili da riconoscere rispetto ai volti, soprattutto per le emozioni negative come la paura, la rabbia, o il disgusto”.

Una emoji – a prescindere dalla piattaforma digitale utilizzata – è in genere infatti abbastanza minimal: le uniche variabili sono nella posizione della bocca, delle sopracciglia, degli occhi, nel colore delle guance. Le facce vere, a contrario, parlano di più: “Le facce trasmettono un numero molto maggiore di informazioni morfologiche complesse, attraverso un grande numero di dettagli che sono irrilevanti per il riconoscimento dello stato d’animo delle persone, ma utilizzati per riconoscerne l’identità, l’età, il sesso, l’etnia, come la grossezza e forma del naso, la presenza di rughe, il tipo di incarnato, la distanza, la forma ed il colore degli occhi, la sottigliezza delle labbra”, ricorda Proverbio. Al tempo stesso, così come le faccine sono più immediate dei volti, alcune emozioni lo sono più di altre, come la felicità rispetto alla paura e questo perché, continua la ricercatrice, alcune emozioni si somigliano di più ed è più difficile capire cosa vogliano significare realmente (basti pensare agli occhi spalancati e alla bocca aperta, che possono indicare al tempo stesso paura o sorpresa).

Il cervello sociale di un’emoji

Le ricercatrici hanno quindi cercato di capire come il cervello interpreti le emoji scoprendo che le vede sì come volti, ma solo in parte, come già suggerito da altri studi nel campo, riprende Proverbio. In altre parole, il cervello sociale delle emoji è diverso da quello legato ai volti reali: “Non si attivano le aree innate per il riconoscimento delle facce (come FFA e STS). Infatti inizialmente le faccette vengono considerate piccoli oggetti ed elaborate come tali dall’area temporale sinistra – spiegano le autrici nel paper – Allo stesso tempo, le loro componenti interne verrebbero riconosciute come parti del volto e dettagli facciali dall’OFA, e la morfologia facciale – per esempio, la curvatura delle sopracciglia e della bocca – sarebbe in grado di indirizzare l’interpretazione emotiva, attivando le aree del sistema limbico, dell’uncus e del cingolato”.

In realtà, oltre alla parte emotiva, il cervello vede le faccine come facce di qualcuno: le emoji in sostanza verrebbero antropomorfizzate e usate per capire la mente dell’altro dall’area orbitofrontale, concludono le ricercatrici. Ed è in questo modo che capiremmo l’altro. Quasi sempre, considerato che a volte è facile (e per fortuna) sbagliarsi leggendo un’emoji.



[Fonte Wired.it]

Cina, i piani spaziali
| Wired Italia

Cina, i piani spaziali | Wired Italia



Da Wired.it :

Taipei – La lunga marcia è cominciata con Qian Xuesen, ma ora è diventata una corsa. La Cina accelera sul suo programma spaziale, di fatto avviato nel 1956 con lo scienziato espulso dagli Stati Uniti durante l’epoca del Maccartismo. Ne è passato di tempo dal varo del Progetto 581 e dal lancio del primo satellite, giunto solo nel 1970. E anche dal 2003, quando con la missione Shenzhou 5 la Cina è diventata il terzo paese al mondo a inviare un uomo nello spazio.

Ricerca scientifica, sviluppo tecnologico, mitologia del sogno cinese. Lo spazio occupa da tempo un ruolo importante nella retorica dell’ascesa della Repubblica Popolare. E ora le autorità di Pechino fissano roadmap sempre più ambiziose sull’argomento. La Cina prevede di inviare due razzi sulla Luna entro il 2030, uno per trasportare la navicella che atterrerà sulla superficie e l’altro per trasportare gli astronauti. Entrambi i razzi entreranno nell’orbita lunare e dopo un aggancio riuscito gli astronauti entreranno nel lander lunare per scendere sulla superficie lunare, ha riferito qualche settimana fa la China Manned Space Agency.

Atterraggio con equipaggio sulla Luna entro il 2030

Il piano a due razzi consentirebbe di superare l’annoso ostacolo tecnologico dello sviluppo di un razzo sufficientemente potente per inviare sia gli astronauti che il lander, che trasporterà l’equipaggio sulla navicella orbitante su cui torneranno sulla Terra, dopo aver completato i loro compiti scientifici e raccolto campioni. Nel 2020, la Cina ha riportato campioni lunari dalla Luna con una missione senza equipaggio, diventando così la terza nazione ad aver recuperato campioni lunari dopo gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica.

Ma entro il 2030 la Cina prevede di mettere per la prima volta gli scarponi sulla Luna. Un annuncio arrivato anche per rispondere al programma degli Stati Uniti, che dopo aver effettuato l’ultimo atterraggio con equipaggio nel 1972 prevede di tornare nel 2025. Ma l’impegno è stato preso ufficialmente durante una conferenza stampa dell’agenzia spaziale. Segnale che si fa sul serio, vista la tradizionale cautela nell’annunciare obiettivi così precisi. Un atterraggio lunare con equipaggio sarebbe una pietra miliare per la Cina e non solo. Ed entro il 2050 Pechino prevede che possa essere operativa una stazione di ricerca lunare permanente.

Come riuscirci? Per raggiungere gli obiettivi lunari della Cina, i ricercatori cinesi stanno sviluppando il razzo vettore superpesante Long March 10, un veicolo spaziale di nuova generazione con equipaggio, un lander lunare e un rover lunare con equipaggio. Nel frattempo, la Cina è già l’unico paese ad essere atterrato con successo sulla Luna nel XXI secolo e nel 2019 è stata la prima a far atterrare una sonda sul lato più lontano (la faccia nascosta del satellite). E lo scorso novembre è stata completata la stazione spaziale Tiangong (letteralmente “palazzo celeste”) con l’aggiunta del terzo e ultimo modulo. L’intera stazione è in grado di ospitare tre astronauti, o fino a sei persone durante le rotazioni dell’equipaggio.

L’intreccio civile-militare e la nuova spinta dei privati

La Cina ha costruito una propria stazione spaziale dopo essere stata esclusa dalla Stazione Spaziale Internazionale degli Stati Uniti nel 2011, soprattutto a causa delle preoccupazioni dei funzionari americani sui legami dei programmi spaziali cinesi con l’esercito popolare di liberazione. E il tema è diventato molto sensibile anche nella cooperazione della Cina con paesi terzi, come sa bene l’Italia che col governo Conte bis ha operato una parziale retromarcia in materia dopo le perplessità (per usare un eufemismo) espresse da Washington in concomitanza della firma del memorandum of understanding sulla Belt and Road Initiative.



[Fonte Wired.it]

Progetto Manhattan, cos’era il piano Usa per realizzare la bomba atomica
| Wired Italia

Progetto Manhattan, cos’era il piano Usa per realizzare la bomba atomica | Wired Italia



Da Wired.it :

Sono trascorsi più di 75 anni, ma gli effetti delle bombe atomiche che nell’agosto del 1945 hanno colpito Hiroshima e Nagasaki, in Giappone, ancora oggi si fanno sentire, perlomeno a livello emotivo. Questi ordigni che hanno determinato – più o meno direttamente – la fine della Seconda guerra mondiale, sono stati realizzati all’interno del cosiddetto Progetto Manhattan, un programma di ricerca degli Stati Uniti per la realizzazione delle prime armi nucleari. Nato dal timore dei progressi della ricerca tedesca in materia atomica, il Manhattan è diventato in breve tempo un progetto totalizzante, che ha determinato per anni lo sforzo di un intero paese per il raggiungimento di un obiettivo militare tanto ambizioso quanto estremo.

Parteciparono al progetto alcuni dei più noti fisici del Novecento, come il premio Nobel italiano Enrico Fermi, l’inventore del ciclotrone Ernest Lawrence e Robert Oppenheimer. Nello specifico, quest’ultimo è il protagonista dell’omonimo film di Christopher Nolan in uscita al cinema il prossimo 23 agosto. Un’opera che ripercorre uno dei momenti più controversi del secolo scorso, tra le vicissitudini del Progetto Manhattan e la realizzazione delle prime bombe atomiche.

Le origini del Progetto Manhattan

Tutto cominciò nel 1938 con la scoperta della fissione nucleare da parte degli scienziati tedeschi Otto Hahn e Fritz Strassmann. Da qui nacque il timore statunitense che i nazisti potessero in breve tempo realizzare un’arma di distruzione di massa dalla potenza mai conosciuta prima: la bomba atomica. Fu lo stesso Albert Einstein, insieme a un gruppo di noti scienziati del tempo, a scrivere al presidente Franklin Delano Roosvelt, mettendolo in guardia riguardo ai presunti intenti dei nazisti. Per questo motivo, in breve tempo iniziarono anche negli Stati Uniti i primi studi nel campo della fisica nucleare, principalmente all’università della California, a Berkley, e alla Columbia University, a New York. I primi progressi nell’ambito della ricerca pura richiesero poi ulteriori risorse, e uno sforzo ancora più deciso, per svolgere quello che oggi chiameremmo il trasferimento tecnologico e giungere quindi rapidamente all’obiettivo finale.

Così nel 1942, nel pieno della Seconda guerra mondiale, il governo statunitense si impegnò per creare prima dei nazisti dei laboratori capaci di produrre un ordigno atomico. Il progetto Manhattan fu ufficialmente istituito il 13 agosto 1942 e coinvolse in pochissimo tempo esperti provenienti da ogni parte del mondo e di svariati settori: oltre a chimici, fisici, ingegneri e specialisti di esplosivi, collaborarono ingegneri, militari e medici. La supervisione scientifica fu affidata a Robert Oppenheimer, motivo per cui gli venne convenzionalmente attribuito l’appellativo di inventore della bomba atomica. All’interno del progetto Manhattan, alcune persone furono anche inviate in territorio nemico per indagare il programma nucleare militare tedesco, con l’obiettivo di raccogliere segretamente materiale e documenti utili per favorire la ricerca.

Intere città dedicate alla ricerca nucleare

Una delle sfide più complesse che dovette affrontare il governo nordamericano riguardò la scelta del luogo dove realizzare i centri di ricerca nucleare. Bisognava trovare un luogo ampio, isolato, distante dalla costa e lontano dai grandi centri abitati. Era impossibile riunire tutti i laboratori in un unico sito e per questo ne furono scelti tre, lontani tra loro: Oak Ridge (nel Tennessee), Los Alamos (nel Nuovo Messico) e Hanford (Washington). Insomma, nonostante si chiamasse Manhattan, conosciuto come il distretto più famoso e importante di New York, i centri di ricerca furono dislocati in vari luoghi del territorio statunitense.



[Fonte Wired.it]

12 laghi dai colori incredibili
| Wired Italia

12 laghi dai colori incredibili | Wired Italia



Da Wired.it :

Nei laghi si nasconde un arcobaleno di colori. Letteralmente. Sparsi per il mondo ci sono specchi d’acqua dalle sfumature decisamente particolari: rosa, verde, turchese… Tonalità rese possibili da mix naturali di materiali nel terreno, grande salinità e organismi che li abitano. Ecco i più spettacolari.



[Fonte Wired.it]

Australia, comunità aborigena entra nell’industria delle rinnovabili
| Wired Italia

Australia, comunità aborigena entra nell’industria delle rinnovabili | Wired Italia



Da Wired.it :

Fino all’arrivo degli europei, la popolazione aborigena degli Yindjibarndi viveva lungo la zona centrale della valle attraversata dal fiume Fortescue, nella regione del Pilbara, in Australia. Una lingua di territorio arido e poco popolato nella zona centro-occidentale del Paese conosciuta per il caratteristico colore rosso della terra che la ricopre e i vasti depositi di minerali. A partire dal 1860 i pastori stabilirono allevamenti di bestiame nella loro terra natale, e gli Yindjibarndi furono ammassati in nuovi insediamenti. Oggi la maggior parte di loro è riunita intorno alla città costiera di Roebourne, un’area ambita dalle compagnie energetiche perché vicina alle principali infrastrutture di trasmissione elettrica.

È anche da questa condizione che è nato lo storico accordo siglato dal colosso filippino Acen Corp e dalla Yindjibarndi Aboriginal Corp, consolidato con la nascita della Yindjibarndi Energy Corporation (Yec), società che avrà il compito di portare avanti importanti progetti di energia rinnovabile nell’area in cui il popolo aborigeno si è visto riconoscere dalle autorità statali i diritti di proprietà nativi esclusivi. La leadership dello Yec comprende il direttore e presidente nominato dall’Acen, Anton Rohner, e un direttore nominato dagli Yindjibarndi, Craig Ricato, con ruoli paritari. Si tratta di una partnership storica che apre la strada a una rivoluzione energetica a partire dal cuore minerario dell’Australia, ma che soprattutto coinvolge attivamente le comunità indigene in iniziative simili, riconoscendole non più come entità da marginalizzare o sfruttare ma come risorsa vista la loro conoscenza radicata sul territorio.

Il contenuto del patto

Come parte dell’accordo, la Yindjibarndi Aboriginal Corp riceverà una quota di partecipazione dal 25% al ​​50% in tutti i progetti e sarà tenuta ad approvare qualsiasi costruzione da realizzarsi nell’area di sua competenza. Le aziende di proprietà del popolo Yindjibarndi saranno inoltre avvantaggiate nei contratti di appalto e i membri della comunità riceveranno formazione e nuove opportunità di lavoro.

L’Acen e il popolo aborigeno svilupperanno congiuntamente progetti eolici, solari e di accumulo di energia rinnovabile in un’area di circa 13mila chilometri quadrati: in primo luogo hanno in programma di costruire 750 MW di impianti in sistemi combinati rinnovabili, con un investimento da 1 miliardo di dollari australiani (680 milioni di dollari americani), mentre nelle fasi successive avranno come obiettivo altri 2-3 GW di energia verde. Kane Thornton, amministratore delegato del Clean Energy Council australiano, l’ente di riferimento per la transizione energetica del Paese, ha affermato che “l’accordo tra il popolo Yindjibarndi e Acen stabilisce un nuovo punto di riferimento per una partecipazione significativa degli indigeni australiani al passaggio verso un futuro di energia pulita”.

Il precedente contro Fortescue Metals Group

Le sue parole non arrivano a caso. In passato infatti gli Yindjibarndi avevano fatto partire una lunga battaglia legale contro Fortescue Metals Group, quarto produttore di minerale di ferro al mondo, accusando il colosso di aver avviato i lavori di estrazione senza un accordo appropriato sull’uso del suolo. Nel 2017, una sentenza del tribunale federale australiano ha conferito al popolo Yindjibarndi diritti esclusivi di titolo nativo sul territorio in cui sorgeva un hub estrattivo di proprietà di Fortescue. Il gigante minerario aveva iniziato a estrarre nel 2013, senza mai cercare un’intesa con gli aborigeni.

Ad oggi ha esaurito tutte le vie legali di ricorso, con l’Alta Corte che nel 2020 ha negato alla società il permesso speciale di presentare nuove istanze e ha confermato una precedente decisione del tribunale federale che le impedisce di lavorare nell’area senza permesso. Conflitti simili hanno caratterizzato la storia dell’Australia, nonostante le popolazioni indigene rappresentino più del 3% degli abitanti complessivi del Paese. A marzo il presidente australiano Anthony Albanese ha avviato una campagna affinché la Costituzione del Paese tuteli i loro interessi istituendo per loro un organo di rappresentanza permanente in Parlamento. La questione verrà affrontata con un referendum che dovrebbe tenersi entro la fine del 2023.



[Fonte Wired.it]