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Che cos’è E11, il virus che ha causato la morte di 9 neonati in Europa
| Wired Italia

Che cos’è E11, il virus che ha causato la morte di 9 neonati in Europa | Wired Italia



Da Wired.it :

L’European Centre for Disease Prevention and Control (Ecdc) ha rilasciato un aggiornamento sull’aumento dei casi accertati di infezioni da enterovirus Echovirus 11 (o E11): da luglio 2022 a oggi sono 19 i neonati colpiti, tra Francia (9), Croazia (2), Svezia (4), Spagna (2) e anche Italia (3), a cui si aggiungono altri 2 casi nel Regno Unito. Si tratta di un patogeno conosciuto, ma le indagini hanno appurato che l’aumento dei casi dell’ultimo anno è da attribuire a un sierotipo nuovo, forse più virulento (i decessi sono stati 9). L’Ecdc e l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) sono in allerta, ma – va sottolineato – non in allarme: la situazione va monitorata ma a oggi l’infezione grave è rara e il rischio per la popolazione neonatale rimane basso. Ecco cosa sappiamo di E11.

È un enterovirus

Echovirus 11, o E11, è un enterovirus a Rna, cioè un patogeno che si trasmette solitamente per via oro-fecale e respiratoria. In genere le infezioni nell’essere umano, quando non asintomatiche, causano malattie lievi, autolimitanti, con febbre e sintomi gastrointestinali. In alcune popolazioni più vulnerabili, come i neonati, però, in particolare alcuni sierotipi possono dare luogo a manifestazioni gravi che compromettono la sopravvivenza, quali sepsi, miocardite e meningite. Come riporta l’Ecdc, “la sindrome clinica più caratteristica nei neonati infettati da E11 è l’epatite fulminante che si presenta con irrequietezza, vomito, ittero, diminuzione della crescita, epatomegalia, squilibrio elettrolitico, acidosi metabolica, ascite, edema periferico, ipoglicemia e diatesi emorragica”.

Come si ammalano i neonati

Questo tipo di virus può essere trasmesso dalla madre al bambino durante il parto, per contatto con feci, sangue o altri fluidi corporei. Il contagio può avvenire anche nelle unità di terapia intensiva neonatale da parte degli operatori sanitari. Inoltre, è possibile anche la trasmissione tramite allattamento al seno. Fattori che aumentano il rischio di infezione da E11 sono, per esempio, la prematurità o il basso peso alla nascita.

Per quanto riguarda i casi segnalati nell’ultimo anno, per molti è stata accertata la positività delle madri al patogeno.

Come si cura E11

Non esiste un vaccino né una terapia antivirale specifica, anche se sono in corso ricerche per sviluppare farmaci antivirali ad ampio spettro e per verificare eventuali benefici di una terapia endovenosa con immunoglobuline. I trattamenti, al momento, sono sintomatici e hanno l’intento di ridurre al minimo l’impatto dell’infezione.

Un nuovo sierotipo

Infezioni da E11 si registrano normalmente nei paesi europei. Tuttavia da luglio 2022 in alcuni stati, Francia in primis, si è verificato un aumento importante delle infezioni gravi nei neonati. Le indagini condotte hanno permesso di identificare l’emergere di un nuovo sierotipo di E11, un ricombinante, che potrebbe essere associato a malattie più gravi. Tuttavia, servono ulteriori dati per dirlo con certezza.

Ecdc e Oms sono in allerta ma non in allarme: la situazione va monitorata, se possibile migliorando il sistema di raccolta dati e sensibilizzando gli operatori sanitari verso l’identificazione precoce dei sintomi e le pratiche igieniche. In base alle informazioni disponibili, comunque, le infezioni gravi da E11 rimangono molto rare e il rischio per la popolazione neonatale generale viene considerato basso.



[Fonte Wired.it]

Caldo estremo, come programmare il lavoro
| Wired Italia

Caldo estremo, come programmare il lavoro | Wired Italia



Da Wired.it :

Termometri che non scendono, aria ferma, umidità tropicale: il caldo che ha colpito l’Italia rende le giornate di lavoro sempre più pesanti. I sindacati hanno chiesto da giorni attenzione per i lavoratori di settori come quello agricolo e delle costruzioni. Per aiutare le amministrazioni nella tutela di chi è costretto a stare all’aperto, si è mosso anche il Consiglio nazionale delle ricerche (assieme all’Istituto di bioeconomia di Sesto Fiorentino, all’Inail e ad altri partner): il Cnr ha rilasciato una piattaforma previsionale con mappe che indicano le zone d’Italia in cui verranno presumibilmente superati i trentacinque gradi.

Del caldo torrido ha tenuto conto anche l’Inps, e non da quest’anno: dal 2017 l’istituto ha previsto la possibilità di richiedere la cassa integrazione per alcune categorie di lavoratori nel caso il caldo superi i 35 gradi. Come recita il sito, sono inclusi “i lavori di stesura del manto stradale, i lavori di rifacimento di facciate e tetti di costruzioni, le lavorazioni all’aperto che richiedono indumenti di protezione e, in generale, tutte le fasi lavorative che avvengono in luoghi non proteggibili dal sole o che comportino l’utilizzo di materiali o macchinari particolarmente sensibili al forte calore. Inoltre, possono essere prese in considerazione anche le lavorazioni al chiuso allorché non possano beneficiare di sistemi di ventilazione o raffreddamento per circostanze imprevedibili e non imputabili al datore di lavoro”.

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Il caldo può comportare seri rischi per alcune categorie di lavoratori. Se la temperatura supera i 35 gradi, per l’Inps è possibile sospendere l’attività lavorativa e richiedere l’integrazione salariale ordinaria

Il Cnr ha dato alcuni consigli aggiuntivi per l’organizzazione del lavoro in questi giorni di caldo estremo, al netto delle solite buone pratiche, come mantenersi idratati e indossare abiti leggeri. Il primo è di spezzare l’attività con pause frequenti. Per chi organizza i turni, può essere una buona idea quella di prevedere pause di un quarto d’ora ogni trenta minuti per i lavoratori. Questi momenti di sosta, che devono essere trascorsi all’ombra, oltre a quello ovvio del riposo, hanno un altro vantaggio: consentono di monitorare le condizioni di salute ed eventuali sintomi da affaticamento e disidratazione, correndo ai ripari prima che la situazione si aggravi.

Poi, per chi lavora all’aperto, il consiglio è di condizionare il proprio fisico a lavorare all’esterno e programmare le attività più pesanti per il mattino o la sera, per poi riposarsi al chiuso. Utile anche qualche semplice trucco, come portarsi un asciugamano fresco da mettere sul collo per mantenere la temperatura corporea sotto controllo. Infine, sempre a livello di pianificazione, è bene mantenere un ritmo costante e controllare il meteo del giorno dopo. Inutile strafare: meglio mantenere lo stesso ritmo per tutta la giornata evitando corse per finire prima. È importante capire che, sotto il solleone, la produttività non può essere la stessa delle giornate fresche: con una accurata pianificazione si può però limitare il ritardo accumulato. Non solo: chi organizza le attività dei colleghi dovrebbe sempre ricordarsi di guardare il meteo del giorno dopo e tenerne conto per prendere le precauzioni del caso.



[Fonte Wired.it]

Privacy, Europa e Stati Uniti hanno davvero fatto la pace?
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Privacy, Europa e Stati Uniti hanno davvero fatto la pace? | Wired Italia



Da Wired.it :

Quindi una risposta potrebbe essere l’incremento dei servizi totalmente anonimi sul modello di Tutanota. Sarebbe legale negli USA?

A questo proposito c’è un bellissimo precedente che mi piace ricordare. Dopo l’Undici Settembre il FBI ha iniziato a raccogliere informazioni in ogni luogo possibile, incluse le biblioteche, dalle quali intendeva sapere chi avesse richiesto libri sulla fabbricazione di ordigni, o di contenuti estremisti. Di fronte a questa situazione, l’American Library Association invitò le biblioteche a distruggere tutte le schede sul prestito, visto che la loro compilazione (e dunque, conservazione) non era obbligatoria per legge. In questo modo, quando il FBI si presentò per richiedere informazioni sulle richieste di prestito, gli venne risposto che non erano disponibili. Quindi, si, fornire un servizio totalmente anonimo sarebbe assolutamente legale negli USA.

Tuttavia, le aziende che fornissero servizi del genere non potrebbero opporsi, per esempio, all’ordine di installare apparati di intercettazione o altri sistemi per eliminare l’anonimato.

No, ma innanzi tutto dovrebbe esserci un ordine del giudice; in secondo luogo, se ad esempio il servizio è totalmente cifrato lato utente, più che consegnare una copia dei dati crittografati il provider non potrebbe fare.

Quindi se un’azienda americana fornisse servizi totalmente anonimizzati a cittadini europei anche senza entrare nel DPF, potrebbe farlo perché in realtà non ha alcun modo per raccogliere informazioni sui clienti

Si, potrebbe essere, ma in questo caso il punto diventa essere veramente certi che i dati siano e rimangano anonimi, altrimenti si rientrerebbe nel perimetro del GDPR e quindi del DPF. Però vorrei tornare alla questione del CLOUD Act e della possibilità per i governi stranieri di chiedere direttamente ai provider USA i dati che interessano loro, senza dover passare per il sistema giudiziario americano.

Quali sono gli altri aspetti che le suscitano preoccupazione?

Innanzi tutto, in linea di principio, il fatto che formalmente le libertà dei cittadini americani sono a rischio nel momento in cui informazioni che li riguardano sono direttamente accessibili da altri governi.

L’amministrazione USA è consapevole di questo problema?

Si, e la risposta è stata che per potersi avvalere di questo potere di accesso diretto ai dati localizzati in USA è necessario stipulare un accordo bilaterale fra Stati e gli Stati con i quali accordarsi saranno scelti con estrema attenzione. Ad oggi, ci sono accordi bilaterali con il Regno Unito e l’Australia, e negoziati in corso con il Canada.



[Fonte Wired.it]

10 casi nella cultura pop
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10 casi nella cultura pop | Wired Italia



Da Wired.it :

Per effetto Mandela si intende un ricordo comune a un gran numero di persone che, però, altro non è che una distorsione creata dalla memoria collettiva. La ricostruzione, riportata nella mente di molti, corrisponde infatti a un evento che non si è mai verificato nella realtà o a un particolare visivo che non è mai esistito. Estranei sparsi per tutto il globo condividono, in pratica, un ricordo totalmente errato.

Queste immagini fallaci vengono anche dette “menzogne oneste” perchè sono diffuse senza alcun dolo: chi le porta avanti è infatti totalmente e seriamente convinto di dire la verità.

Com’è possibile? La scienza ha tentato di spiegarlo più volte ma senza risultati davvero convincenti e, per questo, l’effetto Mandela è diventato un dogma pop particolarmente discusso negli anni che, secondo alcuni, ha a che vedere con il multiverso.

Perché si chiama effetto Mandela

Il nome dello strano fenomeno che riguarda la memoria si deve ovviamente a Nelson Mandela. O meglio, a un evento alquanto bizzarro che ha coinvolto l’ex Presidente del Sudafrica. Come tutti sanno, durante la segregazione razziale dovuta all’apartheid, Mandela trascorse oltre vent’anni in carcere. In molti ricordano che morì durante la sua detenzione. Nel 2009 la studiosa Fiona Broome ammise, nel corso di un convegno pubblico, di ricordare persino la trasmissione in diretta dei funerali negli anni ’80 e il discorso della vedova addolorata. Tra i presenti all’incontro erano tanti quelli che, come lei, ricordavano esattamente le stesse cose e, ancora oggi, sono moltissime le persone che possono giurare di aver visto il funerale in tv. Eppure Nelson Mandela morì all’età di 95 anni nel 2013 e non nel secolo scorso. Il che significa non solo che la sua scomparsa non è in alcun modo riconducibile al carcere – da cui è uscito vivo e vegeto – ma che, all’epoca del convegno in cui la news si diffuse, l’attivista e leader politico…era ancora vivo!

Le cause dell’effetto Mandela

Perché, allora, in tanti potevano contare su un ricordo comune che riguardava il politico sudafricano? E perché questa distorsione collettiva della memoria non è l’unica in cui è possibile imbattersi?

La scienza ritiene che l’effetto Mandela sia una sorta di scorciatoia cognitiva intrecciata all’interpretazione della realtà. Nel caso che regala il nome al fenomeno, ad esempio, è più semplice legare la dipartita di questo personaggio famoso a un evento traumatico che lo ha riguardato, come appunto è la detenzione. È come se le menti umane, quando non hanno una conoscenza diretta di un fatto storico, tentassero di ricordare la sequenza di eventi più plausibile e probabile.



[Fonte Wired.it]

Pirateria online, il cavallo di Troia per bloccarla
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Pirateria online, il cavallo di Troia per bloccarla | Wired Italia



Da Wired.it :

Per combattere la pirateria serve una mano dai sistemi di pagamento: se rinunciassero a intermediare le transazioni verso le Iptv illegali, i pirati dovrebbero “passare ad alternative come le criptovalute”, eventualità che “scoraggerebbe molti consumatori” a scegliere i loro servizi. Oggi invece le piattaforme che trasmettono in abbonamento film ed eventi sportivi possono contare sull’efficienza e la sicurezza dei più popolari sistemi di pagamento per gestire le transazioni con la base clienti. L’accusa a PayPal, Visa e Mastercard è in un report di Enders Analysis Sports Video Piracy, presentato a luglio da Freshfields e Dazn (proprio nei giorni in cui in Italia ha lanciato i nuovi pacchetti). Secondo gli analisti, chi intermedia la compravendita delle immagini potrebbe fare “molto di più” per tutelare il diritto d’autore.

Il rapporto sostiene che “molti consumatori che pagano per contenuti pirata sarebbero disposti ad abbonarsi a un servizio legale”. Ma i broadcaster che acquistano i diritti televisivi combattono con “le principali aziende di internet che permettono di scoprire e accedere a contenuti pirata” e con “i gateway di pagamento legittimi che facilitano la monetizzazione dei servizi”. Non solo: “Gli operatori dei sistemi di pagamento – attaccano gli autori del report – sono solo leggermente collaborativi con i titolari della proprietà intellettuale”.

Francois Godard di Enders Analysis ha sottolineato l’importanza per le piattaforme di pagamento di conoscere i propri clienti. È necessario che questo semplice diktat venga seguito dalle società di pagamento, intese come società di carte di credito. Loro girano la responsabilità sulle banche che hanno il contatto diretto con i consumatori e con i potenziali pirati. Eppure – ha evidenziato – lo stesso non viene applicato ad esempio nell’industria pornografica, dove vengono effettuati dei controlli: c’è una consapevolezza diversa per le industrie illegali in alcuni Paesi”.

Meno blocchi, impedire la monetizzazione

Finora le strategie adottate dalle emittenti e dai policy maker europei per contrastare la pirateria si sono concentrate su una maggiore capacità giurisdizionale per bloccare più facilmente i siti internet che trasmettono le immagini. Poco è stato fatto proprio sul fronte dei pagamenti. “L’attenzione è stata minore per impedire ai pirati di monetizzare i servizi illegali. Le società di carte di credito applicano commissioni più elevate alle imprese ‘più rischiose’, tra cui quelle che praticano la pirateria”. E quindi “nonostante le loro smentite – si legge – sanno con chi fanno affari, o almeno dovrebbero farlo”.

L’invito rivolto all’industria media è di “sviluppare una risposta coordinata in collaborazione con i fornitori di pagamenti” per fermare i pirati. Anche perché la qualità che riescono a garantire le Iptv illegali e l’utilizzo di sistemi di pagamento comuni “spesso ingannano i consumatori facendo credere loro di pagare per un servizio legittimo”.

Pirateria online

L’Agcom potrà bloccare entro 30 minuti i siti che trasmettono illegalmente le partite di calcio. Il tracciamento dei pagamenti renderà più semplice risalire a chi trasmette il segnale. Ma esiste il rischio di blocchi errati

In Italia una legge che non guarda ai pagamenti

L’Unione europea a maggio ha sottolineato il ruolo giocato dagli operatori di pagamento che possono contribuire a combattere la pirateria. “I fornitori di pubblicità e i fornitori di servizi di pagamento, grazie agli obblighi imposti dal quadro normativo dell’Ue in materia di antiriciclaggio, possono contribuire alla lotta contro la pirateria online. Nelle sue raccomandazioni l’Unione europea ha detto che, a suo avviso, “i servizi di pagamento dovrebbero essere incoraggiati a garantire che i loro servizi non facilitino la promozione e il funzionamento di operatori” pirata.

In Italia, dove secondo le stime della Fapav sono 3 milioni gli utilizzatori di Iptv illegale per un giro d’affari da 24 milioni di euro al mese, è stata approvata a luglio la prima legge contro la pirateria. La norma, tra le altre particolarità, attribuisce all’Agcom il potere di ordinare ai provider internet di disabilitare l’accesso a contenuti diffusi in maniera illecita, anche adottando provvedimenti cautelari in via d’urgenza. Ma il testo, come avvenuto anche in Francia e Gran Bretagna, non si focalizza sul passaggio di denaro. Lasciando mare aperto ai pirati.



[Fonte Wired.it]

Così nascono le viti a brugola
| Wired Italia

Così nascono le viti a brugola | Wired Italia



Da Wired.it :

La Brugola è una delle aziende italiane con il nome più iconico, tanto da far parte del lessico italiano, dove, sotto il termine brugola, viene riportato testualmente: “Chiave maschio, di forma esagonale, per viti con testa cava: chiave a b.; vite a b.”. Il successo di questa denominazione lo si deve a Egidio Brugola, fondatore nel 1926 dell’omonima azienda, che ha avuto l’intuizione di brevettare nel 1945 la vite con la testa cava esagonale e gambo a torciglione, che ha migliorato la geometria delle viti Allen, utilizzate in precedenza. La Brugola è un’azienda familiare che dal 2015 è amministrata da Egidio Stefano Giovanni, detto “Jody”, Brugola, nipote di Egidio e figlio di Giannantonio. Jody, che abbiamo incontrato al termine della visita in azienda, si è dimostrato un imprenditore pragmatico vecchia scuola, nel senso benevolo del termine. Un industriale che crede ancora nel rapporto umano con i clienti.

Oggi la Brugola OEB (Officine Egidio Brugola) è leader nella fornitura nel settore automotive, producendo le viti a testa cava difetto zero per i motori di tutte le principali case automobilistiche. Ma non solo, perché produce anche delle viti e delle componenti destinate alla mobilità elettrica.

L’importanza delle viti destinate alle auto

L’auto, a prescindere dal sistema di trazione, ha un sistema produttivo che ancora oggi è molto simile a quello di diversi anni fa. Certo, oggi c’è molta più automazione nelle linee di assemblaggio, ma, semplificando al massimo, le vetture sono costituite da tre componenti fondamentali: telaio, carrozzeria e motore. Per andare avanti nel processo produttivo dell’auto, banalmente per ancorare la carrozzeria al telaio, c’è però bisogno che siano presenti le viti, che, a tutti gli effetti, possono essere considerate componenti critiche. Viti di serraggio che sono presenti anche nei motori; basti pensare che l’unità termica della Bugatti Super Sport presenta 50 viti di fissaggio testata fornite proprio dalla Brugola. L’azienda negli anni si è specializzata proprio in questo, ossia nella fornitura di viti a “difetto zero” dotate di adeguata resistenza meccanica. Ma come nascono queste viti e quali sono le procedure che l’azienda applica per garantire un controllo qualità all’altezza? Per rispondere a questa e ad altre domande abbiamo fatto una visita negli stabilimenti produttivi.



[Fonte Wired.it]