La sindrome dell’Avana viene studiata dal 2016, quando colpì alcuni ufficiali governativi statunitensi e canadesi stanziati, appunto, all’Avana, Cuba. Si tratta di una sindrome di origine ignota, che si presenta con sintomi come mal di testa, nausea, vertigini, percezione di rumori molto forti seguiti da una sensazione di pressione alla testa. Negli anni a seguire, scrive il Washington Post, sono stati segnalati un totale di circa 200 casi di questo tipo, che hanno riguardato personale militare e dell’intelligence statunitense (o i relativi familiari) residente in molti altri paesi oltre a Cuba, fra cui Cina, Russia, Colombia e gli stessi Stati Uniti. Per capire se i sintomi riportati siano correlati con lesioni cerebrali o altri segnali clinicamente rilevabili, gli scienziati del National Institutes of Health (Nih) Clinical Center hanno condotto due studi in parallelo appena pubblicati su Jama. Rispetto ai volontari sani, le persone affette dalla sindrome e coinvolte nei due studi (più di 80) non hanno mostrato differenze cliniche tali da poter spiegare i sintomi.
I due studi
Globalmente i due studi hanno coinvolto 86 persone fra dipendenti governativi e loro familiari, per lo più residenti all’estero, che hanno riportato i sintomi relativi alla cosiddetta Sindrome dell’Avana. Tutti e 86 (42 uomini e 44 donne, di età media pari a 42 anni) sono stati sottoposti a test di funzionalità uditiva, cognitiva, visiva e vestibolare (ossia dell’orecchio interno, dalle cui disfunzioni possono avere origine alcuni dei sintomi correlati alla sindrome, come le vertigini). I partecipanti sono stati inoltre sottoposti a test riguardanti la possibile presenza nel sangue di specifici biomarcatori. Infine, 81 degli 86 partecipanti totali sono stati sottoposti a diversi tipi di risonanza magnetica per valutare il volume, la struttura e la funzionalità cerebrali. In media, le analisi sono state effettuate circa 80 giorni dopo l’ultimo evento correlabile alla sindrome. I due studi hanno inoltre coinvolto, rispettivamente, 30 e 48 volontari sani, ossia persone che non hanno mai manifestato i sintomi tipici della Havana Syndrome ma che svolgono mansioni lavorative simili a quelle delle persone affette.
I risultati
I ricercatori non hanno riscontrato differenze cliniche rilevanti fra pazienti e volontari sani, ad eccezione dei sintomi auto-riferiti. “Anche se non abbiamo identificato differenze significative nei partecipanti con Ahi [Anomalous Health Incidents, acronimo utilizzato per riferirsi ai sintomi collegati con la Havana Syndrome, nda], è importante riconoscere che questi sintomi sono molto reali, causano notevoli disagi nella vita di chi ne è affetto e possono essere piuttosto prolungati, invalidanti e difficili da trattare”, sottolinea Leighton Chan, direttore scientifico del Nih Clinical Center e autore principale di uno dei due studi. Rispetto ai volontari sani, infatti, i partecipanti affetti dalla Havana Syndrome hanno riferito più spesso sintomi di affaticamento cronico, stress post-traumatico e depressione.
Inoltre, il 41% ha mostrato disturbi neurologici funzionali, come vertigini, capogiri e instabilità, associabili a situazioni di ansia e forte stress, e che non possono essere spiegati da disturbi neurologici più specifici. Sintomi, questi ultimi, che non stupiscono, spiega Louis French, neuropsicologo e co-autore di uno dei due studi: “Spesso questi individui hanno subito notevoli sconvolgimenti nella loro vita e continuano a nutrire preoccupazioni per la loro salute e il loro futuro. Questo livello di stress può avere un impatto negativo significativo sul processo di recupero”.
Per quanto riguarda i segnali clinici analizzati nel corso dei due studi, gli autori sottolineano che l’assenza di differenze rispetto ai volontari sani potrebbe anche essere legata al fatto che i marcatori fisiologici della sindrome non siano più rilevabili o non siano identificabili attraverso le metodologie attualmente esistenti. “La mancanza di prove di una differenza rilevabile con la risonanza magnetica tra gli individui con Ahi e i controlli non esclude che al momento dell’Ahi si sia verificato un evento avverso che ha avuto un impatto sul cervello”, conclude Carlo Pierpaoli, autore principale di uno dei due articoli scientifici: “È possibile che gli individui con un Ahi stiano sperimentando i risultati di un evento che ha portato ai loro sintomi, ma che la lesione non abbia prodotto i cambiamenti di neuroimaging a lungo termine che si osservano tipicamente dopo un trauma grave o un ictus”.