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Vacanze, cosa fare (e non fare) per organizzarle con l’Ai

Vacanze, cosa fare (e non fare) per organizzarle con l’Ai



Da Wired.it :

Fra i mestieri a rischio per gli sviluppi dell’Ai ci sono anche gli agenti di viaggio? ChatGPT, Bing e simili sono in grado di organizzare vacanze e tragitti, perciò possono essere usati per programmare le ferie, nonché semplici escursioni e percorsi nelle città d’arte. Tuttavia, i chatbot non possono sostituirsi ancora a un’agenzia di viaggio dato che possono dare informazioni inesatte. Con un po’ di pratica e seguendo i consigli successivi, le intelligenze artificiali sono utili per impostare le tappe e scoprire cosa vedere nella location prescelta per le proprie vacanze.

Come usare ChatGpt o Bing per le vacanze

Già oggi, immettendo un prompt di testo semplice come “organizzami le vacanze a Roma a settembre”, ChatGPT e Bing riescono a mostrare consigli e suggerimenti. All’inizio, i due programmi si concentrano sui pacchetti vacanze, offrendo link a compagnie e agenzie di viaggio che organizzano viaggi tutto compreso. Ma, come per le altre funzioni, aggiungendo più dettagli le soluzioni saranno migliori. Con un prompt come “voglio andare in treno a Firenze da Milano a Pasqua in un hotel centrale e visitare un museo e fare cena vegetariana”, Bing trova delle soluzioni a ogni richiesta indicando orari, location e possibili costi.

ChatGPT è un programma generativo, quindi può analizzare o riassumere il contenuto da un enorme set di informazioni, comprese pagine web, libri e altri testi disponibili su internet al fine di creare nuovi contenuti originali. Le sue avanzate capacità di linguaggio naturale significano anche che capisce e risponde in modo più colloquiale. Per ora, secondo un’inchiesta del New York Times, gli agenti di viaggio sfruttano l’intelligenza artificiale per creare guide e liste da inviare ai clienti. Iniziano ad essere di tendenza video e articoli in cui si descrivono i viaggi fatti seguendo completamente quanto suggerito da ChatGPT. In vista dell’estate, è probabile che sui social ci sarà un boom di vacanze suggerite dai programmi di intelligenza artificiale.

Pro e contro dell’Ai per le vacanze

Fra gli aspetti positivi dell’usare l’intelligenza artificiale per organizzare le vacanze c’è sicuramente l’efficienza dei programmi. L’Ai può elaborare grandi quantità di dati in pochissimo tempo, il che significa che può trovare rapidamente le migliori offerte di voli, hotel e attività per le vacanze. Inoltre, può utilizzare i dati sugli interessi e preferenze personali per creare un itinerario di viaggio personalizzato che soddisfi le esigenze di ogni utente. Nelle limitazioni, sicuramente il rischio di dare informazioni sbagliate, come orari di apertura errati o non aggiornati. Non va dimenticato che l’utilizzo dell’Ai per organizzare le vacanze comporta la condivisione di dati personali come le preferenze di viaggio e le informazioni di pagamento. Ciò potrebbe sollevare preoccupazioni sulla privacy e sulla sicurezza dei dati personali degli utenti.



[Fonte Wired.it]

Batterie, il piano per costruire in Sardegna il più grande impianto di riciclo
| Wired Italia

Batterie, il piano per costruire in Sardegna il più grande impianto di riciclo | Wired Italia



Da Wired.it :

Nel sud della Sardegna, a Portovesme, potrebbe nascere un enorme impianto per il riciclo delle batterie agli ioni di litio. Il piano per realizzare lo stabilimento (che, stando a quanto dichiarato, potrebbe diventare il più grande d’Europa) è allo studio di una joint venture formata dall’azienda canadese Ly-Cycle, attiva nel recupero degli accumulatori, e dalla svizzera Glencore, che commercia in materie prime. Quello del riciclo è un tema fondamentale per il continente, data l’evoluzione normativa spinta dall’intenzione di Bruxelles di mettere al bando i motori termici nel giro di poco più di un decennio. Una politica che rende indispensabile elaborare una strategia per l’usato automotive: innanzitutto immaginando nuovi impieghi.

Oggi è possibile allungare la vita delle batterie di oltre dieci anni con una serie di tecniche di riutilizzo, dallo stoccaggio di energia da fonti rinnovabili al contrasto dei picchi energetici, dalla stabilizzazione della rete elettrica all’ applicazione in veicoli con requisiti di prestazioni energetiche inferiori come traghetti e carrelli elevatori. Quindi, e solo nel caso di dispositivi inservibili, avviando percorsi di recupero dei materiali.

I numeri parlano di un impatto enorme sulla filiera continentale. I volumi destinati al riciclo, costituiti da batterie a fine prima vita danneggiate, batterie a fine seconda vita e scarti di produzione, al 2050 raggiungeranno circa 3,4 milioni di tonnellate in Europa, di cui circa 0,4 milioni in Italia (dati: Motus E, Politecnico di Milano, Pwc). La crescita dei volumi immessi sul mercato in termini di peso (tonnellate) è determinata dalla progressiva diffusione di categorie di veicoli elettrici di grandi dimensioni, la cui alta capacità impatta sul peso.

Torri elettriche a Civitavecchia

Per accogliere e gestire una quantità sempre maggiore di fonti rinnovabili, la rete elettrica dovrà diventare più grande e più flessibile. Ma i territori potrebbero opporsi alla costruzione di nuovi tralicci e linee di trasmissione

Metalli rari                                            

A marzo Glencore ha annunciato un investimento da 200 milioni di dollari nella società canadese nell’ambito di una strategia per entrare nella catena di fornitura dell’industria automobilistica. In questo senso, le batterie usate sono viste come giacimenti di materie prime in grado di evitare i problemi dell’estrazione dalle miniere: una pratica i cui costi economici, ambientali, sociali e climatici si stanno dimostrando insostenibili, e andrà sempre peggio nel medio e lungo periodo. Le procedure impiegate, anche quando non prevedono lo scavo (come nel caso del litio) hanno un impatto devastante sugli ecosistemi, come testimoniato dalle proteste contro le miniere in Argentina. Non bastasse, molti dei metalli rari si trovano in Paesi retti da regimi autoritari, come la Repubblica democratica del Congo, in cui la legislazione sul lavoro è lassa, quando non inesistente. Non va, infine, trascurato l’aspetto dei costi, inclusi quelli legati al trasporto.

L’industria ha individuato una finestra di opportunità, e si sta muovendo di conseguenza. L’accordo non è il primo tra un gigante del comparto estrattivo e una società che si occupa di riciclo: qualche mese fa il gruppo transalpino Eramez (attivo nel mining) ha annunciato un progetto di accordo con la utility francese Suez per realizzare oltralpe uno stabilimento entro il 2024. L’impianto sorgerebbe in Francia.

Lo stabilimento sardo

Anche l’Italia potrebbe avere un ruolo in questa nuova geografia. L’impianto di Portovesme, ha specificato LY-cycle, avrebbe capacità da cinquantamila a settantamila tonnellate di massa nera l’anno, pari a circa 36 Gwh di batterie agli ioni di litio. Il sito individuato sarebbe quello dell’impianto idrometallurgico esistente di proprietà di Glencore, che verrebbe in parte riconvertito. Avviato nel 1929, ha lavorato alla produzione di piombo e zinco e, particolare non secondario, è dotato di accesso al porto. Secondo quando comunicato da Ly-Cycle, l’azienda e Glencore lavoreranno a uno studio di fattibilità che inizierà nel giro di due mesi e sarà completato entro la metà del 2024. Nel caso arrivasse il semaforo verde, i lavori potrebbero partire tra la fine del 2026 e i primi mesi del 2027, con una joint venture al 50%.

Motore elettrico di una Tesla Model Y

L’azienda di Elon Musk ha annunciato che rinuncerà ai materiali, una componente fondamentale delle sue auto elettriche. Ma non è chiaro come vogliano sostituirli

Scaricare batterie in quindici minuti

Il riciclo delle batterie è un frontiera interessante, su cui la ricerca ha ancora molto da dire. Nuove soluzioni sono allo studio e in quache caso stanno entrando nei capannoni. Nei giorni scorsi Battery Lifecycle Company (joint venture tra Tsr Recycling, consociata dell’azienda di riciclo Remondis, e la società di logistica Rhenus Automotive) ha annunciato la realizzazione di un nuovo impianto a Magdeburgo, in Germania: secondo l’azienda, si tratterà del primo in Europa ad automatizzare gran parte delle operazioni. A causa della mancanza di uno standard costruttivo condiviso, infatti, le procedure di smantellamento e recupero prevedono ancora largo impiego di personale umano specializzato, esposto peraltro a rischi. L’Europa sta cercando di migliorare la situazione con la creazione di un battery pass digitale che conterrà tutte le informazioni rilevanti: data di produzione, marca, ma soprattutto informazioni relative alla composizione chimica, fondamentali per ottimizzare i processi e aumentare l’efficienza della filiera del riciclo. Ma il salto di qualità avverrà quando tutti i nuovi dispositivi saranno prodotti seguendo la stella polare del riuso.



[Fonte Wired.it]

Le migliori tastiere wireless per tablet (e non solo)
| Wired Italia

Le migliori tastiere wireless per tablet (e non solo) | Wired Italia



Da Wired.it :

Se c’è una cosa che i tablet non sono nati per fare, è scrivere. Per questo sul mercato hanno iniziato a fioccare da subito centinaia di tastiere per tablet pensate per accoppiarsi senza fili anche alle primissime tavolette prodotte. Con il tempo il software di questi prodotti ha iniziato a evolversi per supportare in modo sempre più robusto l’input delle tastiere, fino a far diventare i tablet dei temibili concorrenti dei computer portatili, almeno in alcuni ambiti. Resta da capire quali sono le tastiere giuste – affidabili, precise, comode e veloci – e quali prodotti andrebbero invece lasciati sugli scaffali dei negozi. A scegliere i prodotti più affidabili ci abbiamo pensato noi nella gallery che segue.

Tastiere per tablet: cosa cercare

Il panorama delle tastiere per tablet è piuttosto vasto e, come avrete modo di vedere in questa galleria, comprende modelli che spaziano tra differenti fasce di prezzo. Prima di operare qualunque tipo di scelta, è importante però avere chiaro in mente quali sono le caratteristiche principali da tenere d’occhio:

  • Dimensioni: le tastiere per tablet sono, in linea di principio, una tipologia di gadget progettata per essere abbastanza comoda da trasportare. Detto questo esistono modelli ultraleggeri che si mantengono sotto i 200 grammi di peso, e che per questo motivo possono restare per ore all’interno di una borsa senza essere di nessun impiccio. Interessanti, per chi vuole ridurre al minimo gli ingombri, le tastiere pieghevoli, che una volta richiuse si infilano comodamente anche nel tascone di un giubbotto.
  • Funzioni: anche le tastiere per tablet, proprio come i modelli per computer, sono disponibili in diverse configurazioni. Alcune dispongono di un maggior numero di tasti funzione, o integrano un touchpad che permette di controllare il cursore senza dover spostare la mano sullo schermo.
  • Compatibilità: oltre alle tastiere universali, che grazie al collegamento bluetooth sono utilizzabili comodamente con qualunque dispositivo, esistono modelli che sono stati progettati per specifiche tipologie di tablet. È il caso, giusto per citare l’esempio più eclatante, delle tastiere Apple per iPad. Prima di effettuare l’acquisto, è quindi consigliabile controllare che il proprio dispositivo sia “compatibile” con la tastiera che state osservando.
  • Extra: la lista degli optional delle tastiere per tablet non è particolarmente lunga, ma esistono comunque alcuni extra piuttosto interessanti da tenere in considerazione. Alcuni modelli possono essere associati tramite bluetooth a più dispositivi contemporaneamente, con la possibilità di passare da uno all’altro mediante la semplice pressione di un tasto. Altri sono dotati di basi integrate per il posizionamento del tablet con, per i modelli top di gamma, inclinazione regolabile e chiusura che li trasforma in vere e proprie cover protettive.

Tastiere per tablet: le nostre scelte

Nello scegliere le migliori tastiere per tablet attualmente disponibili, abbiamo cercato di spaziare in tutto quanto il mercato ha da offrire, muovendoci tra diverse dimensioni, pesi e fasce di prezzo. Abbiamo selezionato modelli dedicati a tablet specifici, affiancandoli ad altri universali, che possono essere tranquillamente utilizzati anche con computer e smartphone.



[Fonte Wired.it]

il ritorno dei grandi carnivori in Italia
| Wired Italia

il ritorno dei grandi carnivori in Italia | Wired Italia



Da Wired.it :

Paura: nelle fiabe per bambini è questo il senso ultimo della funzione narrativa del lupo . E quando il lupo diventa reale, quando le paure ancestrali si trasformano in fatti di cronaca, molte reazioni sembrano irrazionali. Sarà per il fatto che più si avvicina la quarta rivoluzione industriale, la robotica e il metaverso, più cominciamo a temere l’aspetto fisico della natura umana.

Prova ne è la polemica politica innescata dalla dinamica tragica della morte del corridore Andrea Papi a causa dell’aggressione di un orso in Trentino. Come se questi enormi animali avessero valicato i recinti della nostra tranquilla vita moderna. Come se improvvisamente non sapessimo più come affrontare questi grandi carnivori. E come reagiremmo se oltre agli orsi ci trovassimo davanti un lupo oppure uno sciacallo? Difficile, ma possibile: Wired ha inquadrato con l’aiuto di Paola Aragno, zoologa dell’Ispra, la presenza dei grandi carnivori in Italia.

L’orso

Secondo la ricostruzione di Aragno, in Italia vivono due tipologie di orsi: quello bruno euroasiatico (Ursus arctos arctos), che vive nelle Alpi Centro-Orientali (principalmente in Trentino) dove è stato reintrodotto negli anni 1999-2002 e l’Orso bruno marsicano (Ursus arctos marsicanus), che vive nell’Appennino centrale (principalmente in Lazio, Abruzzo e Molise).

La tipologia più diffusa, quella degli ormai noti JJ4 o MJ5 e in generale di quelli presenti in Trentino, contava una popolazione che variava da un minimo di 45 ad un massimo di 63 individui tra il 2013 e il 2018 (IV rapporto redatto dall’Italia in base alla Direttiva Habitat). Nel 2021 il numero minimo certo di individui geneticamente è stato di 68 ma in base al “metodo della cattura-marcatura-ricattura che si basa sull’identificazione genetica degli individui” si arriva intorno ai 78 esemplari. Per cui, anche se la popolazione di questi orsi è classificata “in uno stato di conservazione non favorevole-inadeguato” è sicuramente in crescita. Tutto il contrario degli orsi bruni marsicani, che sono a rischio di estinzione. Secondo lo stesso rapporto citato per il bruno euroasiatico, tra il 2013 e il 2018, la popolazione presente risultava compresa tra un minimo di 45 e un massimo di 69 individui. Nel 2021, la presenza minima certa era di 44 esemplari.

La lince

La lince (Lynx lynx) è presente solo con pochissimi esemplari nelle Alpi Sud-Orientali. Secondo i dati italiani relativi alla Direttiva Habitat, nel periodo 2013-2018 ne sono stati individuate solo 2. Tanto che, spiega la zoologa dell’Ispra, “oggi il progetto ULyCA (Urgent Lynx Conservation Action) ha come obiettivo quello di favorire la ricostruzione di un nucleo vitale di linci nel settore sud-orientale delle Alpi, che sia connesso con la popolazione dinarica, garantendone quindi la sopravvivenza a lungo termine” proprio per “favorire il ritorno della specie nel nostro territorio”. Nel 2021 è stata avvistata in assoluto solo una lince nel nostro Paese, e sempre in Trentino. E pensare che un tempo le linci erano diffusissime in tutta Italia.

Il lupo

Il lupo (Canis lupus) vive in tutti gli ambienti della penisola ma è totalmente assente dalle isole. Del monitoraggio quantitativo di questo esemplare, tra il 2020 e il 2021 se ne è occupata direttamente l’Ispra, che suddivide la popolazione di questi animali in due componenti: una alpina e una peninsulare. ” Le due porzioni di popolazione, infatti, pur essendo biologicamente connesse, sono diverse sul piano ecologico, dell’evoluzione storica e del contesto gestionale – spiega Aragno – Per la zona delle regioni alpine la stima è stata di 946 individui mentre per la zona delle regioni dell’Italia peninsulare la stima è stata di 2.388.

Chiaramente, in questo caso lo stato di conservazione di questi animali risulta favorevole e in crescita. “Ad oggi è possibile affermare che la popolazione di lupo italiana non è più a rischio di estinzione. Nel contesto peninsulare la specie è ormai arrivata ad occupare tutti gli ambienti disponibili e continuerà l’espansione, occupando anche contesti dove un tempo non ci si aspettava di osservarla. Nel contesto delle regioni alpine la popolazione è ancora in forte espansione ” Attenzione, però: nell’ambito della Red List Iucn, che monitora le specie a rischio estinzione, la popolazione di lupo italiana viene attualmente valutata ‘Near Threatened’ (trad. Quasi minacciata) Come spiega la zoologa, “è tutt’oggi presente un rilevante fattore di minaccia rappresentato dal rischio di ibridazione con il cane.

Lo sciacallo dorato

In grande espansione è lo sciacallo dorato (Canis aureus), che dopo aver colonizzato i Balcani si sta espandendo anche in tutta la penisola italiana. Comparso negli anni ’80 dal Friuli-Venezia Giulia, oggi si sta rapidamente espandendo in tutta Italia: come riferisce la zoologa, la segnalazione più meridionale è stata recentemente nel Lazio.

I rischi per l’uomo

Sarebbe assurdo dire che ci sono dei grandi rischi per la popolazione italiana a contatto con i grandi carnivori. D’altro canto, Aragno spiega:

Nello specifico di queste singole specie, partendo dal lupo, sarebbe importante introdurre delle modifiche alle norme che consentano di agire più efficacemente sul randagismo, secondo l’Ispra. Per quanto riguarda invece l’orso, la popolazione delle Alpi Centro-Orientali ha superato la soglia dei 50 individui e risulta quindi in grado di mantenersi nel tempo. Mentre secondo Paola Aragno “bisognerebbe agire per limitare il bracconaggio , le uccisioni accidentali nell’ambito dell’attività venatoria e gli investimenti stradali che stanno condannando all’estinzione l’Orso bruno marsicano”.



[Fonte Wired.it]

10 isole indimenticabili
| Wired Italia

10 isole indimenticabili | Wired Italia



Da Wired.it :

La spiaggia del film The Beach, uno dei grandi successi di Leonardo Di Caprio, è un piccolo paradiso diventato una meta mainstream grazie alla pubblicità del grande schermo. Si chiama Maya Bay, si trova nell’isola di Ko Phi Phi Leh, in Thailandia, e dopo essere stata chiusa per qualche anno, per preservarne l’ecosistema, è di nuovo accessibile.

L’isola d’If  (Il Conte di Montecristo)

Nell’immaginario l’isola d’If, nel cui castello venne segregato per anni Edmond Dantès, ha un gusto tutto particolare, affascina e intimorisce al tempo stesso. L’isola descritta ne Il Conte di Montecristo, il capolavoro di Dumas, si trova nel Golfo di Marsiglia. Prima di partire, si può fare un ripasso veloce guardando lo sceneggiato con Andrea Giordana, o la serie tv con Gérard Depardieu.

Fantasy Island

Uno scenario naturale di grande impatto è uno degli ingredienti del successo di Fantasy Island, Fantasilandia nella versione italiana, una serie televisiva che ha imperversato negli anni ‘70 e ‘80, le cui storie si svolgevano in un resort dove gli ospiti potevano realizzare i propri sogni. Foreste, palmizi e cascate sono la cornice delle magiche cronache quotidiane di Ricardo Montalbán e Hervé Villechaize. Per ritrovare quelle location dal vero, basta andare a Kauai, l’isola più antica delle Hawaii.



[Fonte Wired.it]

c’è una nuova ipotesi sul perché non li abbiamo ancora incontrati
| Wired Italia

c’è una nuova ipotesi sul perché non li abbiamo ancora incontrati | Wired Italia



Da Wired.it :

Un giorno Edward Teller, fisico statunitense, passeggiava con il collega Enrico Fermi: stavano andando a pranzo, e chiacchieravano amabilmente di un argomento vagamente collegato ai viaggi spaziali. Teller stesso dice di non ricordarlo con certezza, ma che probabilmente si erano soffermati a parlare dei dischi volanti, e del fatto che naturalmente non fossero reali. “Ricordo anche – continua Teller – che fu proprio Fermi a sollevare esplicitamente la questione, chiedendomi cosa ne pensassi e quanto ritenessi probabile che entro i dieci anni successivi [siamo nel 1950, nda] avremmo osservato un oggetto materiale muoversi più veloce della luce. Risposi 10-6, e Fermi disse che era una probabilità troppo bassa. Secondo lui era superiore al dieci per cento. Qualche minuto dopo, mentre stavamo pranzando e parlando di tutt’altro, Fermi se ne uscì con la domanda ‘Ma allora dove sono tutti?’, che provoco una risata generale perché, nonostante la frase fosse totalmente avulsa dal contesto, tutti capimmo che stava parlando della vita extraterrestre”. Una domanda non da poco, che sarebbe passata alla storia come paradosso di Fermi, per l’appunto, e che oggi può essere riformulata in termini più moderni: se soltanto la Via Lattea ospita (si presume) 10 miliardi di pianeti abitabili, e se nell’Universo ci sono miliardi di galassie, è mai possibile che la vita si sia sviluppata solo sulla Terra? Se così fosse avrebbe ragione Carl Sagan a sostenere che “sarebbe davvero un enorme spreco di spazio”: e allora, se è molto ragionevole pensare che non siamo soli (ma c’è anche chi è convinto del contrario), dove sono tutti quanti?Perché non siamo ancora riusciti a intercettare alcun segnale di un’intelligenza extraterrestre? Certamente non si può dire che non ci abbiamo provato, né che non ci stiamo provando, anzi: negli ultimi sessant’anni non abbiamo lesinato alcuno sforzo, anche se, al momento, i risultati della ricerca sono tutt’altro che soddisfacenti.

Un punto di vista inedito

E oggi Claudio Grimaldi, ricercatore del laboratorio di biofisica statistica alla École Polytechnique Fédérale de Lausanne (Epfl), in Svizzera, e affiliato del Centro Ricerche Enrico Fermi (Cref) di Roma, ha formulato una nuova ipotesi che potrebbe spiegare il perché di questo assordante silenzio che dura da oltre mezzo secolo. Il lavoro di Grimaldi, che abbiamo raggiunto per delucidazioni, è stato pubblicato sulla rivista The Astronomical Journal.

“In generale – ci ha spiegato – quando si parla di ricerca di segnali provenienti da civiltà extraterrestri intelligenti ci si riferisce alla ricerca di segnali elettromagnetici, le cosiddette technosignature. È un’attività di ricerca che va avanti da 63 anni [da quando Frank Drake ottenne l’approvazione per il progetto Ozma, il primo tentativo di ricerca sistematica di segnali alieni, e ogni giorno, per alcune ore, puntò un radiotelescopio di ventisei metri verso Tau Ceti e una manciata di altre stelle, nda] ma fino a oggi non abbiamo ancora trovato niente. Le principali spiegazioni sono due, una molto ottimista e una molto pessimista. Secondo la prima, la Terra sarebbe in realtà continuamente attraversata da segnali extraterrestri, ma i nostri telescopi non sono abbastanza sensibili per rivelarli, oppure puntano nella direzione sbagliata (la regione che effettivamente osservano sta all’intero Universo come l’acqua di una piscina sta all’acqua di tutti gli oceani). Secondo l’ipotesi pessimista, invece, non abbiamo osservato alcun segnale perché, semplicemente, non c’è alcun segnale da osservare. Oppure perché è così lontano che è come se non ci fosse.

Piccola parentesi matematica, necessaria

Il già citato Frank Drake, nel 1961, mise a punto un’equazione (che porta il suo nome) probabilistica per stimare il numero di civiltà extraterrestri e in grado di comunicare nella nostra galassia. Cioè:

N = R* × fp × ne × fl × fi × fc × L

I fattori dell’equazione sono: il tasso medio annuo di formazione di nuove stelle nella Via Lattea; la frazione di stelle che possiedono pianeti; il numero medio di pianeti che si trovano nella cosiddetta zona abitabile, cioè alla distanza giusta dalla propria stella, quella che consentirebbe la presenza di acqua liquida sulla loro superficie; la frazione di questi pianeti su cui effettivamente si è sviluppata la vita; la frazione di pianeti che ospitano vita intelligente; la frazione di pianeti in cui la vita intelligente è abbastanza evoluta da riuscire a comunicare con noialtri; la durata temporale di esistenza di queste civiltà. Alcuni di questi fattori, al momento, sono abbastanza noti: nella Via Lattea, per esempio, nasce in media una nuova stella ogni anno, e vi risiedono centinaia di miliardi di pianeti, un quinto dei quali si troverebbero nella zona abitabile. Sugli altri fattori, invece, brancoliamo ancora nel buio, e molte delle assunzioni avanzate finora sono semplici speculazioni o poco più: per questo, il valore di N è compreso in una forbice ancora molto allargata, che va da uno a diecimila.

In medio stat virtus

Torniamo a Grimaldi. Il suo lavoro, ci spiega, si colloca a metà tra le due ipotesi. “Mi sono ispirato ai materiali porosi, come per esempio le spugne, costituite da pori che si aprono e si chiudono, e ho costruito per analogia un modello della Via Lattea immaginando che sia, per l’appunto, simile a una spugna. Il mio modello parte dall’assunzione che nella Via Lattea ci sia almeno un segnale elettromagnetico di origine tecnologica e che la Terra si trovi da almeno sessant’anni in un “poro silenzioso” della spugna: se le cose stanno così, allora vuol dire che, statisticamente, dovrebbero esserci tra i 2 e i 5 segnali elettromagnetici ogni secolo. Un tasso più o meno simile a quello delle supernovae, cioè abbastanza basso. Ora, nello scenario più ottimista dovremmo aspettare almeno 60 anni prima di rivelare un segnale; in quello più pessimista (parliamo sempre di scenari probabilistici) dovremmo aspettare 2mila anni”. Cosa vuol dire, in pratica? Due cose: anzitutto che dobbiamo armarci di molta pazienza, e poi che non conviene costruire telescopi ad hoc per la ricerca di segnali alieni: “La migliore strategia potrebbe essere quella già adottata in passato dal Seti: analizzare i dati provenienti dai telescopi che già ci sono, e che sono già usati per altri fini, e vedere se vi sono nascosti segnali elettromagnetici potenzialmente alieni. Questa dovrebbe diventare la pratica standard”.



[Fonte Wired.it]