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martedì, Ott 29

Caterina la Grande e le altre: la rappresentazione delle regine nelle serie


Caterina di Russia è l’ultima monarca in ordine di tempo a diventare l’eroina di un biopic sfarzoso. Ecco come si è evoluto il modo di mettere in scena le vite delle regnanti, tra amore e intrighi di corte

I drammi in costume sono l’analogo cinematografico e televisivo iconograficamente spettacolare dei romanzi da feuilleton della letteratura, un’espressione dispendiosa e opulenta che in molti amiamo. Gli sceneggiati e i period televisivi in generale hanno trovato la loro declinazione ideale nella serialità recente con i biopic reali al femminile – la messa in scena delle vite di regine e principesse – come nel caso di Caterina la Grande, miniserie britannica in quattro episodi con la magnifica Helen Mirren che ha debuttato a inizio mese sul canale via cavo americano Hbo e sbarca da noi su Sky Atlantic e Now Tv il 1° novembre. La produzione si concentra sugli anni della maturità di Caterina, longeva monarca della Russia del Settecento che a pochi mesi dalla sua incoronazione, detronizzò il marito e si accaparrò la corona.

Caterina la Grande fa parte di una nutrita lista di drammi in costume sfarzosi e di sapore letterario che nel corso dell’ultimo lustro sono stati prodotti negli Stati Uniti e nel Regno Unito. Non che i biopic sulle più potenti e famigerate regine europee non esistessero anche prima: per comprendere la fascinazione del pubblico verso questo sottogenere basta dare un’occhiata a osannati precedenti come le inglesi The Virgin Queen (2005) e I Tudor (2007). La prima, con un’ottima Anne-Marie Duff e uno strepitoso Tom Hardy, si concentrava sulla gioventù di Elisabetta I d’Inghilterra; la seconda seguiva gli anni del regno del padre, Enrico VIII (interpretato dall’irlandese Jonathan Rhys Meyers) scanditi dal passaggio da una moglie all’altra. Entrambi si concentravano sui tormenti amorosi e sensuali dei rispettivi protagonisti, dilaniati da passioni screziate di diffidenza e tradimento.

Qualche anno dopo, nel 2013, si manifesta un fenomeno curioso: le regine (inglesi) del piccolo schermo diventano appannaggio delle produzioni americane. Ancora più bizzarro, il target è teen o young adult e le protagoniste sono tutte giovani nobili che conducono esistenze scabrose (per l’epoca) e vivono amori passionali e turbolenti. Eroine di svariati capitoli di sensualità a corte sono la giovane Maria Stuarda di Reign (al suo debuttò su The Cw, il canale di The Vampire Diaries) e Elisabetta Woodville di The White Queen (serie firmata Starz, la via cavo di Spartacus). I seguiti di The White Queen sono The White Princess – che conclude la ricostruzione della Guerra delle due rose seguendo le vicende dell’omonima figlia di Elisabetta – e The Spanish Princess, biopic sulla gioventù di Caterina d’Aragona (la prima moglie di Enrico VIII). Ognuna di queste serie ha visto la luce su canali poco avvezzi ai biopic reali, ognuna ha optato per trasformare le protagoniste in eroine da romanzi rosa con pretenziose ambientazioni storiche.

Il 2016 riporta il genere nella sua patria ideale, il Regno Unito, dove sono nati i capolavori di genere period targati Bbc che ripercorrono la storia – della monarchia o meno – ma si rifanno anche ai classici della letteratura (dalle sorelle Bronte a Jane Austen). The Virgin Queen è l’erede di questi sceneggiati: l’Elisabetta I incarnata da Anne Marie Duff è un’eroina letteraria intelligente e bruttina che sogna l’amore e l’indipendenza ma che si scontra con la prospettiva di un amante sleale e di una corte popolata di alleati inaffidabili.

Victoria, prodotta da Itv (in Italia va su LaF) e The Crown (Netflix) debuttano nello stesso anno come biopic delle due più grandi e longeve regine della Gran Bretagna, Vittoria (Jenna Coleman) e Elisabetta II (Claire Foy). Entrambe sono ancora molto giovani, entrambe sono divise tra amore, famiglia e Stato. Le differenze tra i due show sono tante e varie, ma l’aspetto più interessante è che la prima si rifà al modello di sceneggiato della tradizione britannica, il secondo sviluppa con successo un approccio più moderno e politico.

Con Caterina la Grande assistiamo a un curioso ibrido: da una parte gli sceneggiatori ci affrancano dall’ennesima biografia concentrata sul personaggio da giovane, nel quale la regina o principessa affronta un coming of age tra cotte sentimentali e risveglio sessuale intrecciato con gli intrighi di corte. Caterina è, infatti, già avanti con gli anni. Dall’altra, la disamina dell’abilità politica della monarca è più una scusa – Caterina è troppo in gamba per imbattersi in avversari in grado di batterla – per seguire l’evoluzione della sua storia d’amore con l’ultimo (?) dei suoi numerosi amanti. Forte, scaltra, geniale e sessualmente disinibita, la regina della Mirren è una vincente. Tuttavia, a prevalere nella narrazione dell’esistenza di Sua maestà, è per lo più l’aspetto sentimentale. Il dubbio, lecito, è che siamo ancora al punto in cui l’amore sia imprescindibilmente la cosa più importante nella vita di un personaggio femminile, anche quando è un’imperatrice.

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