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martedì, Ago 18

C’è davvero da disperarsi se le discoteche rimangono chiuse?



Da Wired.it :

Luoghi simbolo del divertimento degli anni ’80 e ’90 (quelli della deriva ideologica e del pensiero vuoto), su ordinanza del ministro della Salute rimarranno a luci spente fino al 7 settembre: che sia l’occasione di un ripensamento del divertirsi

Sul tema discoteche sono di parte, quindi non pretendo di fare un discorso ragionato; le ho sempre detestate: vi spiego come mai e nel farlo vi passo anche qualche informazione di carattere biografico. Sono nato nel 1973 a Milano, città dove ho sempre vissuto. Ho conosciuto questa città e l’ della quale la cosiddetta capitale morale è spesso stata considerata come una sintesi nel bene e nel male, in varie fasi. Una delle più critiche ha coinciso con gli anni Ottanta e, in parte, i Novanta. Sono gli anni durante i quali il paese ha conosciuto il suo apice di ricchezza ma si è anche aperto a certi fenomeni che hanno condotto alla crisi ideologica e culturale nella quale è precipitato e a cui, in qualche modo, è legata a quella economica che stiamo vivendo. Anni di benessere, di corruzione. Anni di rampantismo identificatisi prima con il Partito socialista di Craxi, poi con il berlusconismo. Anni in cui è cambiato un po’ tutto. Simboli e icone hanno avuto la meglio sul pensiero (basti pensare ai paninari, l’unico movimento giovanile nato in Italia che si fondava sul benessere e le griffe che lo contraddistinguevano, gran bel movimento) e anche il linguaggio è cambiato.

Negli anni Ottanta le discoteche hanno conosciuto un enorme successo fino diventare le protagoniste del sabato sera. Cominciano le lunghe code davanti all’entrata, tutti accalcati per passare la selezione del buttafuori, individuo che assume la valenza quasi sacrale di una sfinge e che decide chi può essere ammesso al tempio del divertimento. Chi entra ha accesso a un luogo in cui ogni occasione di socialità è azzerata dal rumore assordante con cui la musica viene pompata e dal bombardamento di luci intermittenti. Il rituale di mettersi in coda in attesa di un segno di riconoscimento della propria esistenza si ripete al bancone del barman – altro personaggio che, dato il potere che ha di registrare e servire ordinazioni di bevande alcoliche, assume una valenza quasi sacerdotale. In discoteca si va per fare sostanzialmente due cose, si dice: ballare e abbordare. Sul ballo sorvoliamo. Non so, io ho bazzicato le discoteche milanesi – passivamente, perché ci andavano i miei amici – e quelle nei luoghi di vacanza, e sono state rare le volte in cui sono rimasto a bordo pista ammirato dalle doti di ballerino di qualcuno. Sull’abbordare, in genere la cosa riesce difficile, dato che la musica esclude ogni possibilità di dialogo.

Con gli anni Novanta abbiamo visto l’emergere di una nuova figura culturale che sottolinea la valenza sacrale del luogo: la cubista, una ragazza che s’inerpica su un cubo e balla. Come per ogni tempio che si rispetti, anche le discoteche vantano il loro sommo sacerdote, il dj oppure deejay o anche disc jokey; insomma, il tizio che si occupa della musica. E che oggi che le discoteche rimangono chiuse per decisione governativa fino al 7 settembre, insorge: e con lui vari seguaci del culto mistico della disco.

Ci fosse stato Gianni De Michelis, ministro e vicepremier dal 1980 al 1992 di area socialista, uno dei politici più potenti e che più potentemente è stato colpito da Tangentopoli, grande appassionato di discoteche (argomento sul quale aveva scritto anche un noto libro, Dove andiamo a ballare questa sera – guida a 250 discoteche italiane). non sarebbe successo, si potrebbe pensare. Matteo Salvini, politico che ha mostrato tutta la sua pochezza durante la crisi da coronavirus, è contrario: “Solo oggi sono sbarcati più di 200 clandestini e che il problema siano gli italiani, i baristi, i ristoratori, i ragazzi, i lavoratori è surrealeQuesto governo è incapace di difendere i confini, la salute e i risparmi degli italiani e se la prende con i ragazzi che escono e che si vogliono divertire. È una follia“. Insomma, quelli scampati a guerra e miseria ballano sulle nostre spiagge e i nostri ragazzi non li facciamo ballare in discoteca? Poveri i nostri ragazzi!

Dicevo: in questo discorso sono di parte. Il mio è un punto di vista individuale, forse alimentato da una scarsa predisposizione al ballo, al lasciarsi andare, a riconoscersi in certi tempi in cui mi è capitato di crescere. Insomma, non metto in dubbio che le discoteche siano anche luoghi di svago e una valvola di sfogo importante di cui le cosiddette stragi del sabato sera non sono che la deriva oscura. Però per come le ho vissute sono state anche un’occasione mancata di una generazione di conoscersi, di confrontarsi e sì, di divertirsi in un modo più strutturato, più intellettualmente stimolante. E a parte questo, trovo ridicolo che oggi che assistiamo a una ripresa dei contagi in Italia e in tutta Europa e che vediamo a rischio per l’ennesima volta la nostra libertà e il ritorno a scuola, ci si lamenti perché le discoteche rimangono chiuse, luoghi dove il distanziamento sociale è impossibile.

Gli italiani passavano per gente che sapeva divertirsi, troveranno alternative meno assordanti e meno rischiose, si spera. E magari scopriranno che il divertimento vero è altro.

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[Fonte Wired.it]