Questo vale per i fornitori extraeuropei di legno “fragili” e grandi, come Brasile, Indonesia e Vietnam, quanto per i “fragili” ma piccoli, che rischiano di diventare invisibili, come per esempio i Paesi Balcani. Sono alle stesse latitudini su cui lo smart forest monitoring italiano è già efficace, sono vicini, ma il loro piccolo contributo al nostro mercato del legno li esclude dalla lista di priorità. Albania, Bosnia Erzegovina e Macedonia del Nord, rappresentano tutte delle percentuali sotto l’unità del totale import italiano, ma sulle loro economie di settore l’Italia pesa rispettivamente il 47, l’11, e il 3%. Tutte e tre si stanno preparando ad entrare in Ue, ciascuna coi propri tempi, ma tutte entro fine 2025 dovranno assicurarsi di poter continuare a esportare legno in Europa anche con l’entrata in vigore dell’Eudr. Rispondere alle sue richieste non è banale, ma può trasformarsi in opportunità di innovazione sia tecnologica che amministrativa.
La Macedonia del Nord sembrerebbe crederci e sta provando a colmare il gap di competenze e strumenti introducendo un nuovo sistema informativo forestale, la bolla di consegna elettronica e sistemi di tracciabilità elettronica del legname “dal ceppo al consumatore finale”, facendo leva su meccanismi di sostegno dell’Unione Europea (Ipa). Secondo Sasho Petrovski, presidente di Reford (Centro regionale per la silvicoltura e lo sviluppo rurale), “oltre alla tecnologia serve anche un adeguato supporto amministrativo per il controllo e il monitoraggio dell’attuazione, oltre a nuovo personale formato”.
In Bosnia Erzegovina, “si intrecciano sfide vecchie e nuove, una struttura amministrativa complessa e un attuale clima politico molto pesante” spiega la cronista Sanja Mlađenović Stević, denunciando “un atteggiamento irresponsabile del governo, ma anche della popolazione e, soprattutto, degli investitori stranieri, a scapito delle risorse naturali”. La vita delle foreste bosniache, secondo Mlađenović Stević è nelle mani delle organizzazioni ambientaliste, in particolare della rete informale EkoBiH che ne riunisce circa 40 e sta affrontando diverse battaglie, tra le più recenti quella con la società belga Green-Invest e le sue tre mini centrali idroelettriche.
In Albania la voce della società civile non è altrettanto potente, secondo il cronista Gjon Rapiki di Tirana Times a sovrastarla c’e quella di una “corruzione sistemica che permea il settore forestale, minando la gestione sostenibile a più livelli”. Nel contesto della transizione da un’economia centralizzata a un’economia di mercato e del processo di adesione all’Ue in corso, la silvicoltura non è solo un problema ambientale, ma anche una questione socio-economica e di governance critica. E non è solo un problema dell’Albania, ma anche di chi traina il suo export di legno: l’Italia.
Questo articolo è stato prodotto nell’ambito delle Reti tematiche di PULSE, un’iniziativa europea che sostiene le collaborazioni giornalistiche transnazionali.