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mercoledì, Giu 10

C’eravamo tanto innovati: le promesse mancate della tecnologia



Da Wired.it :

Intelligenza artificiale, blockchain, realtà virtuale e aumentata: cosa rimane delle nostre fantascientifiche aspettative degli anni Dieci?

Ripercorrere le principali innovazioni tecnologiche dell’ultimo decennio fa una certa impressione. L’improvviso successo di una tecnica datata come il deep learning, avvenuto grazie alla crescente quantità di dati e di potere computazionale a disposizione dei ricercatori, ha lanciato definitivamente, attorno al 2010, uno dei fenomeni scientifico-informatici che più stanno segnando la nostra epoca digitale: l’intelligenza artificiale. Negli stessi anni, la persona o il gruppo che si cela dietro lo pseudonimo di Satoshi Nakamoto creava i bitcoin, la moneta elettronica resa possibile dall’altra sua ideazione: la blockchain. E ancora: Palmer Luckey fondava nel 2012 Oculus, rilanciando dalla California una tecnologia che per decenni era stata considerata sconfitta dalla storia: la realtà virtuale. Sull’altra costa, un paio d’anni prima, una startup della Florida dalle grandi ambizioni come Magic Leap puntava invece tutto sulla realtà aumentata.

La promessa di un mondo cyberpunk

Intelligenza artificiale, blockchain, realtà virtuale, realtà aumentata. Nel giro di pochissimi anni, quattro innovazioni sono diventate le protagoniste incontrastate di Silicon Valley & dintorni, attirando cifre colossali di investimenti, e con essi l’attenzione dei mass media e dell’industria dell’intrattenimento. Da un momento all’altro è parso a tutti di essere precipitati in un scenario fantascientifico: grazie all’intelligenza artificiale, le automobili si sarebbero guidate da sole e i nostri assistenti sarebbero stati dei software in grado di dialogare con noi in totale naturalezza. E a quel punto avremmo dovuto soprattutto preoccuparci che l’intelligenza artificiale non si trasformasse improvvisamente in una superintelligenza, mettendo a repentaglio la stessa umanità nell’ormai celebre scenario Terminator.

I bitcoin promettevano invece di travolgere il mondo della finanza tradizionale, arrivando a sostituire la sovranità monetaria degli stati con un nuovo sistema decentralizzato, anarchico e automatico. Nel frattempo, la blockchain pareva in procinto di rivoluzionare tutto: il voto, i documenti d’identità, i contratti, il diritto d’autore. Grazie alla blockchain, in combinazione con la internet of things, le automobili connesse avrebbero pagato da sole la benzina e gli smart contract avrebbero consentito ai frigoriferi di fare la spesa in autonomia. Sempre grazie alla blockchain sarebbe sorto un “governo decentralizzato delle smart cities”, in cui l’amministrazione urbana sarebbe passata dai consigli comunali ai computer dei cittadini.

Ma non è tutto. La realtà virtuale avrebbe dovuto creare un nuovo piano dell’esistenza – come visto in Ready Player One o nell’episodio di Black Mirror intitolato Stricking Vipers – o più realisticamente sostituire musei, uffici, negozi, agenzie immobiliari e altro ancora. Avremmo, in poche parole, barattato una parte della nostra vita nel mondo fisico con esperienze digitali ultrarealistiche. E la realtà aumentata? Semplice: avrebbe fuso in tutt’uno questi due piani dell’esistenza, dando vita a una iperrealtà in cui – attraverso visori sempre più simili a normali occhiali – avremmo visto manifesti pubblicitari personalizzati, avremmo proiettato le indicazioni del Gps e le notifiche dei social network davanti ai nostri occhi, ottenuto informazioni digitali per ogni monumento visitato e vissuto in un mondo in cui non ci sarebbe più stata alcuna distanza tra online e offline, digitale e fisico: tutto sarebbe stato unito dalle potenzialità della realtà aumentata. E vogliamo gettare nel mucchio anche i promessi robot da compagnia (per ogni tipo di compagnia) o la riproduzione digitale della mente umana, che ci avrebbe consentito di vivere per sempre sotto forma di avatar virtuale?

Un brusco risveglio

La concretizzazione di alcune di queste innovazioni – tra cui le auto autonome e la replica digitale del cervello – era tra l’altro prevista proprio per il 2020. Ed è per questo che è giunto il momento di fare un bilancio.

[Silenzio imbarazzato]

Non ci sono molte parole per descrivere la quantità di delusioni a cui è andato incontro chi sperava che almeno una parte di queste innovazioni potesse diventare realtà. Ma non si è trattato di poveri illusi che speravano di veder tramutati in realtà i loro sogni nerd. Nel 2015, per esempio, i più importanti quotidiani del mondo annunciavano l’imminente arrivo delle auto autonome, mentre i più noti filosofi e scienziati del mondo discutevano dei rischi della superintelligenza artificiale. Nello stesso periodo, i bitcoin iniziavano a crescere di valore giorno dopo giorno, al punto da sembrare incapaci di rallentare la loro corsa, mentre la blockchain stessa diventava protagonista di tensioni geopolitiche.

E poi i bitcoin sono crollati – senza che praticamente nessuno li abbia mai utilizzati per comprare qualcosa – mentre della blockchain non si parla quasi più (se non per i pochi e noiosissimi settori in cui ha effettivamente trovato una sua utilità, come la logistica e la filiera produttiva). Le auto autonome resteranno un’utopia, mentre Magic Leap, la più importante startup per la realtà aumentata, rischia il fallimento (e anche i numeri della realtà virtuale continuano a non soddisfare le aspettative).

La riproduzione digitale della mente è un campo in cui si continua a fare ricerca, ma per il momento il supercomputer più avanzato in questo settore è riuscito al massimo a riprodurre un millimetro quadrato del nostro cervello (circa 77mila neuroni su 86 miliardi). Un lavoro che ha portato inoltre avanti solo per qualche ora prima di arrendersi di fronte alla complessità dell’impresa.

Dal lato dell’intelligenza artificiale, invece, uno degli strumenti più evoluti (Duplex di Google) sarà anche stato capace di prenotare il ristorante spacciandosi per un essere umano, ma le sue abilità si fermano lì e – secondo esperti come Gary Marcus“non si ha nemmeno la più pallida idea di come andare oltre”. Nel frattempo, dietro la maggior parte dei bot (i software con cui comunicare per via testuale) utilizzati per l’assistenza clienti dei siti aziendali si nascondono degli esseri umani, per sopperire al fatto che le intelligenze artificiali che governano questi strumenti sono in grado di rispondere solo alle domande più banali e formulate nella maniera più elementare possibile.

Ci siamo cascati di nuovo?

Non fraintendete: le innovazioni menzionate finora hanno tutte trovato un loro ruolo nel mondo, e alcune di queste hanno avuto un’impatto straordinario. Allo stesso tempo, hanno clamorosamente mancato le colossali aspettative che in esse erano state riposte. Che cos’è andato storto? Probabilmente, si è trattato di un paradossale mix di ingenuità e cinismo. Ingenuità, perché non è facile rendersi conto – prendendo il caso dell’intelligenza artificiale – che quella che a noi pare una crescita esponenziale inarrestabile possa invece tramutarsi in una curva a S, in cui la fase di rapidissima avanzata viene seguita da una di rallentamento e poi di appiattimento (come segnalava Luciano Floridi già nel 2016).

In un momento in cui, ogni mese, l’intelligenza artificiale raggiungeva nuovi traguardi era forse comprensibile che moltissimi esperti ritenessero che questa crescita fosse inarrestabile e che, grazie al potere computazionale sempre crescente, entro breve la AI avrebbe raggiunto l’intelligenza umana. Peccato che si sia presto scoperto – al netto degli innumerevoli ruoli in cui il deep learning ha trovato applicazioni anche rivoluzionarie – che una tecnologia basata sulle correlazioni statistiche, ma che noi abbiamo scelto di definire “intelligente”, non riesce nemmeno lontanamente a eguagliare la flessibilità dell’intelligenza umana e presenta inoltre una straordinaria quantità di limiti, problemi e criticità (a partire dagli “algoritmi razzisti”).

Il cinismo, invece, è quello incarnato da startup e incubatori d’impresa fin troppo rapidi a scegliere dal mazzo una tecnologia promettente (per esempio, la realtà aumentata), dare forma concreta alle sue prime basilari applicazioni (di cui i Pokémon Go possono essere un esempio) e da qui immaginare – pur di far aprire il portafogli agli investitori – che in pochi anni tutti circoleremo per strada immersi in un mondo in cui fisico e digitale sono fusi (salvo poi arrendersi all’evidenza e chiudere i battenti). Le potenzialità della realtà aumentata si scontrano infatti – almeno per il tempo a venire – con i limiti di visori pesanti e ingombranti, di batterie che si scaricano rapidamente, di connessioni mai abbastanza veloci e con altri effetti collaterali di vario tipo (tra cui la nausea indotta da un cervello umano – troppo umano – che non riesce a elaborare che cosa gli stia accadendo quando è immerso in un mondo digitale).

È stato bello sognare di vivere in un mondo cyberpunk che, se mai, sarà forse realtà tra svariati decenni. Tutto sommato, quanto avvenuto nella nostra epoca di accelerazione tecnologica si era già verificato durante la corsa allo spazio, epoca in cui ci si immaginava che il mondo in cui oggi noi viviamo sarebbe stato popolato da macchine volanti (quelle di Blade Runner o dei Jetsons), da colonie spaziali e anche, ebbene sì, da superintelligenze artificiali (basti pensare a 2001: Odissea nello Spazio). La differenza è che la nostra generazione non si è limitata a immaginare il futuro in opere di finzione, ma ci ha scritto saggi accademici riferiti al presente.

Ci siamo cascati di nuovo. Ci siamo cascati ancora più di prima. E adesso resta da capire quanto ci sia di concreto nelle colossali aspettative riposte nella nuova tecnologia che, ancora una volta, promette di rivoluzionare tutto: il 5G. Sperando di non scoprire che, alla fine, tutto queste aspettative non si tramuteranno in una connessione più veloce.

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[Fonte Wired.it]