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giovedì, Dic 05

Certo che un titolo come “Black Friday” è razzista


Evidentemente c’è ancora bisogno di dirlo: accomunare due calciatori solamente per il colore della loro pelle denuncia un razzismo inconscio, e una cultura che è ora di combattere

Black Friday. Il nome della svendita più celebre al mondo campeggia a caratteri cubitali sulla prima pagina del Corriere dello Sport, con una settimana di ritardo rispetto al giorno dopo il Ringraziamento. E stavolta non c’entrano i saldi che abbiamo importato dagli Stati Uniti, ma due ragazzi che superano il metro e 90 e che domani, venerdì, per l’appunto, si sfideranno nell’uno contro uno a San Siro, nell’anticipo della 15esima giornata di Serie A tra Inter e Roma.

Romelu Lukaku e Chris Smalling, attaccante e difensore, belga e inglese, interista e romanista, sono accomunati da un passato da compagni di squadra al Manchester United – e dalla capacità di raggiungere velocità di punta notevolissime una volta lanciati in progressione. Ma i titolisti del Corriere dello Sport hanno deciso di puntare su un’altra caratteristica comune, una sola: il colore della loro pelle. E di strillarlo sulla prima pagina del giornale alla vigilia dello scontro.

Black Friday”, il titolo che fa discutere, accompagnato da un catenaccio di rarissima illogicità messo lì solo a giustificare un gioco di parole che in redazione devono aver pensato troppo brillante per poterci rinunciare. “Scudetto e Champions in offerta”, recita, come se la vittoria del campionato di Serie A e un piazzamento tra le prime quattro in campionato fossero oggetto di una svendita promozionale (e non di una dura e lunga battaglia) che vedrà luogo a San Siro, il 6 dicembre, a più di un girone dalla fine del campionato. Nonsense che si aggiunge al cattivo gusto, insomma.

La prima a prendere le distanze dall’iniziativa del quotidiano è stata la Roma, con un tweet che richiama uno dei meme più popolari al mondo. Giusto a spiegare che una cosa del genere, nel 2019, non verrebbe in mente a nessuno. O quasi.

Anche il Milan ha twittato tutto il suo disappunto: “Non sono più tollerabili superficialità e ignoranza sul tema del razzismo. Non resteremo più in silenzio davanti a questo problema”. L’Inter non ha fatto un riferimento diretto al titolo del Corriere dello Sport ma ha pubblicato una frase di per sé piuttosto eloquente, ed è difficile pensare a una mera coincidenza: “Il calcio è passione, cultura e fratellanza. Siamo e saremo sempre contro ogni forma di discriminazione”. E la polemica è finita sugli organi di stampa internazionali, unanimi nella loro condanna alla scelta del giornale.

Un titolo così è inopportuno sempre, anche se non venissimo da giorni di polemiche per la registrazione rubata in cui l’ad della Lega di Serie A Luigi De Siervo rivela di aver chiesto di spegnere i microfoni puntati verso le curve per non far sentire in tv gli ululati razzisti negli stadi. Bisogna sgombrare il campo da equivoci: dietro quel titolo c’è un pensiero figlio di un razzismo inconscio e introiettato.

Non il più palese ed evidente, quello che nessuno può negare, delle violenze contro gli immigrati o degli insulti alle persone afrodiscendenti dentro e fuori da uno stadio, quello che ha fatto scappare l’ormai ex attaccante della Juventus Eniola Aluko dall’Italia. Ma qualcosa di più sottile e subdolo. Il razzismo talvolta segue percorsi contorti, si insinua nelle nostre menti in punta di piedi, ci si installa e viene interiorizzato, facendo fatica a uscirne. Verosimilmente non c’è stata nessuna discussione dentro la redazione del giornale su quel titolo: nessuno deve aver alzato il dito per esprimere la propria perplessità, altrimenti è logico pensare che non sarebbe stato pubblicato, non fosse altro che per una semplice questione di opportunità.

D’altra parte a nessuno sarebbe mai venuto in mente di titolare White Christmas se la partita si fosse disputata sotto Natale e al centro della sfida ci fossero stati Zaniolo e Barella. Nessuno penserebbe mai di evidenziare il colore della pelle di un bianco, una caratteristica secondaria che passa del tutto inosservata perché, per dirla con il presidente della Lazio Claudio Lotito, noi siamo quelli “normali”. Loro invece sono neri, è evidente e salta all’occhio, ed è l’unica caratteristica che sembra contare. Vengono privati della loro soggettività, spersonalizzati, spogliati delle caratteristiche individuali e mostrati alla stregua di oggetti prodotti in serie.

Ecco perché la replica del direttore del Corriere dello Sport Ivan Zazzaroni, che in un breve editoriale apparso online motiva la scelta del titolo con “l’elogio della differenza” stona ancora più della prima esibizione. Di che differenza parla Zazzaroni? Evidentemente non di quelle che corrono tra Lukaku e Smalling, che invece vengono considerati uguali, sovrapposti, affiancati, per il solo fatto di avere la pelle più scura di quella della maggioranza dominante nel paese dove vivono e giocano.

Bastava dire scusate, davvero non ci avevamo pensato, la prossima volta lo faremo. Perché dietro una scelta del genere non può che esserci una carenza di cultura collettiva, una scelta di schieramento precisa che sarebbe ipotizzabile se si parlasse di Libero o La Verità, o un pessimo esperto di marketing convinto ancora del motto secondo cui bene o male, basta che se ne parli. Delle tre una, quartum non datur. “Non penso sia una buona scelta di parole” – ha detto l’allenatore della Roma Paulo Fonseca – “Dobbiamo essere più consapevoli quando parliamo di tematiche che hanno a che fare col razzismo. Dobbiamo essere più premurosi”. Sarebbe l’ora di iniziare a seguire il suo consiglio.

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