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martedì, Gen 25

Cervello, 10 strategie per studiare meglio



Da Wired.it :

L’auto-test può avere poi le forme più disparate. Un esempio è quello di sua ideazione che chiama Metodo Excel: in pratica si costruisce su un foglio di calcolo un riassunto breve ma dettagliato dell’argomento da studiare, lasciando però dei buchi i cui completamenti sono scritti in una colonna a lato. A quel punto ci si può auto-interrogare verificando di volta in volta se si ha azzeccato il completamento giusto, direttamente davanti al computer oppure in modalità cartacea con l’ausilio di un cartoncino sagomato. “Ho applicato questo metodo per più di un quarto dei miei esami – scrive Deangeli – ed è a di tale agilità che è possibile convertire facilmente un intero programma d’esame in un testo a buchi di questo tipo”.

3. Superare lo stigma sociale da studio

Vale a dire, non avere timore nel fare vedere che si sta studiando, anche in pubblico. In questo caso, più che una tecnica di apprendimento, si tratta di prendere coscienza di quanto i tempi morti che intervallano le nostre giornate possano essere riempiti da attività di studio. Perché non ripetere – anche a voce alta – mentre si cammina verso la scuola, o quando ci si sta spostando in auto o con i mezzi, o mentre si è in attesa dal dentista? 

I Lungarni di Pisa hanno avuto Deangeli come frequentatore assiduo, per esempio.

Il primo passo di questo metodo è la trasformazione di tutto il contenuto di un esame su piccoli foglietti (poco più grandi di una card da gioco), ciascuno dei quali corrisponde a una specifica domanda. Un formato abbastanza grande da poterci fare stare dentro tutte le informazioni che servono, ma allo stesso tempo abbastanza piccolo da essere tascabile

Una volta preparato il mazzo di card, si applicano i due punti precedenti, ossia ci si auto-interroga e lo si può fare in qualunque situazione, portando il mazzo sempre con sé.

5. Non essere multitasking… 

Secondo quanto ricavato da esperimenti ad hoc, se praticassimo le stesse attività dislocandole una dopo l’altra in blocchi separati, risparmieremmo fino al 75% del tempo. La spiegazione neuroscientifica (dimostrata tramite analisi dei segnali elettrici celebrali) è che per raggiungere la piena concentrazione su un argomento servono alcuni minuti e un notevole sforzo mentale: dedicandosi a più attività contemporaneamente, in sostanza, paghiamo di continuo lo scotto di doverci riconcentrare, con risultati disastrosi.

6. … ma prediligere la multidisciplinarità

“Al posto del multitasking, che è un rapido oscillare tra attività diverse, ha grande efficacia scientifica la multidisciplinarità, chiarisce Deangeli. “Nella sua espressione massima, significa contaminare la propria forma mentis con diversi campi confinanti con il proprio, per avere punti di vista e approcci diversi”

Di questo aveva parlato, peraltro, anche al Wired Next Fest 2020 (qui il video completo). Una conoscenza multi-prospettiva è in grado di trasformare un atto esecutivo in un gesto creativo, ripete spesso, rendendoci capaci di pensare e agire secondo i dettami propri di diverse identità disciplinari.

7. Il numero magico è 7, o almeno sta tra 5 e 9

“Una caratteristica sorprendente della memoria di lavoro (quella che poi si trasforma in memoria a lungo termine, ndr) è l’essere straordinariamente simile da un individuo all’altro – spiega Deangeli -. Il numero di item che le persone possono tenere a mente in un elenco è tra 5 e 9, e quasi nessuno esce da questo range”

In termini pratici, questo principio significa che tutti gli elenchi più lunghi di 7 (o perlomeno che non stanno nel range 5-9) risultano indigesti per il nostro cervello e andrebbero riorganizzati con un’operazione di agglomerazione, in modo che alla fine si abbiano 7 (più o meno 2) item complessivi. “Il bello però è che questi item possono avere un modesto grado di complessità: per esempio, anziché memorizzare 14 cifre è molto più efficace memorizzarne 7 coppie”, spiega l’autore.

8. Tecniche mnemoniche? Solo quando non ne puoi fare a meno

Un aspetto peculiare de Il metodo geniale, rispetto ad altri tentativi analoghi, è che ridimensiona (o quantomeno non loda così apertamente) le mnemotecniche. “Lo studio è intessere relazioni tra i dati, e oggi la scienza ci indica un paradigma relazionale della memoria, chiarisce. Dal momento che le tecniche mnemoniche sono finalizzate a creare relazioni fittizie, possono avere senso quando non ci sono già di per sé delle relazioni vere e reali. 



[Fonte Wired.it]