Seleziona una pagina
venerdì, Mag 19

ChatGpt, sugli app store ci sono già i fake-truffa | Wired Italia



Da Wired.it :

Google e Apple mettono a disposizione degli sviluppatori meccanismi che permettono di offrire acquisti in-app, sia una tantum che in forma ricorrente. Le aziende ottengono poi una parte dei guadagni ogni volta che le applicazioni nei loro app store ricevono pagamenti da parte degli utenti.

Nel caso di Open Chat Gbt per Android, gli utenti potevano scaricare gratuitamente l’applicazione, ma si trovavano immediatamente sommersi da un’enorme quantità di annunci pubblicitari e potevano provare il chatbot solo tre volte prima di perdere l’accesso alle sue funzionalità e ricevere una richiesta di abbonamento. Per impostazione predefinita, era possibile sottoscrivere una prova gratuita di tre giorni per continuare a utilizzare l’app, che sarebbe poi diventata un abbonamento mensile da 10 dollari (Open Chat Gbt offriva anche un abbonamento annuale da 30 dollari). I ricercatori hanno trovato un’applicazione molto simile, ma con un nome diverso, all’interno dell’App Store, realizzata dallo stesso sviluppatore della versione per iOs.

I ricercatori di Sophos fanno notare che Apple e Google hanno eliminato alcune delle app Ai fasulle esaminate prima della divulgazione del rapporto. Altre, invece, erano ancora disponibili nonostante il team della società di sicurezza le avesse segnalate a Google e Apple. Entrambe le aziende hanno dichiarato di aver ricevuto le segnalazioni di Sophos, e Google ha eliminato un’altra app. Google e Apple non hanno risposto immediatamente a una richiesta di commento di Wired US.

Attenzione alle vostre app

I ricercatori sospettano anche che alcune delle app truffa utilizzino l’interfaccia di programmazione dell’applicazione (Api) di ChatGpt 3 per generare i loro contenuti, mentre altre sarebbero alimentate da funzionalità chatbot di qualità inferiore. Alcune di queste applicazioni forniscono solo un anteprima delle risposte generate dall’Ai se gli utenti non sottoscrivono un abbonamento.

Per Gallagher uno dei principali problemi dei fleeceware è che gli utenti non sempre sanno come gestire i loro abbonamenti e non si rendono conto che anche quando eliminano un’app, i pagamenti continuano a essere attivi.

Definiamo fleeceware qualsiasi cosa faccia pagare una cifra spropositata per una funzione che altrove è disponibile gratuitamente o a un costo molto basso – dice il ricercatore –; è una tattica efficace, perché anche io a volte mi chiedo perché Apple mi faccia pagare così tanto ogni mese. E poi mi dico: ‘Ok, c’è l’archiviazione condivisa per la famiglia, c’è AppleCare per il mio telefono, c’è Duolingo…’. Bisogna fare molta attenzione e gestire attivamente gli abbonamenti alle app“.

Questo articolo è comparso originariamente su Wired US.



[Fonte Wired.it]